Con questo secondo articolo possiamo cominciare a discutere, oltre che di prognosi, di analisi dei dati. Cominciamo subito con il dire che la previsione fatta nel primo outlook stagionale, a riguardo delle dinamiche stratosferiche, è andata complessivamente a buon fine sia nei tempi indicati che, a carattere generale, nei metodi, sia pure con le opportune declinazioni (al tempo inimmaginabili) che vedremo. Ora che l’evento stratosferico estremo è nella realtà dei fatti abbiamo l’opportunità di valutare il fenomeno e quindi di cominciare a discutere di possibili dinamiche troposferiche evolutive.
Nel precedente outlook si immaginava una dinamica che portasse ad un MMW con split del vortice di tipo classico invece si è giunti all’evento, e lo si consumerà, in maniera non esattamente canonica. Purtroppo lo shutdown che ha coinvolto alcuni servizi pubblici statunitensi non ci permette di usare i dati di reanalisi ma cercherò validi sostituti a supporto.
Iniziamo con il valutare la dinamica degli impulsi troposferici che hanno guidato l’intero evolversi del fenomeno sia in fase preparatoria che nella sua consumazione.
Dalla figura 1 è possibile notare il fitto gioco di sponda tra la troposfera e la stratosfera che lentamente hanno intessuto il Major Midwinter Warming con superamento della fatidica soglia dei -3 di fine dicembre scorso. Seguendo la numerazione possiamo vedere come fasi di espansione e raffreddamento della massa tra l’alta e la medio-bassa stratosfera abbia corrisposto una compressione della massa tra la bassa stratosfera e la troposfera e così via (vedi dal punto 1 nel grafico). Dal punto 6 si apprezza il primo risultato di questa “comunicazione” con il preavviso di cambio di marcia che inverte il gioco di sponda con la massa stratosferica medio-alta in debole compressione e la bassa stratosfera e troposfera in espansione (punti 7 e 8). Il punto 8 lo possiamo definire un punto di chiusura dell’intera tessitura avviata nella prima fase autunnale. Il punto 9 è il vero e proprio impulso che dalla troposfera sfonda in stratosfera grazie al transito della convezione equatoriale (MJO) dalla zona 1 e poi in zona 2 per concludere questa fase nella zona 3 sempre in buona ampiezza, anche se non eccessiva. Il passaggio in zona 3 è avvenuto nei giorni dal 7 all’11 dicembre scorsi attivando un aumento del geopotenziale dalla bassa alla media stratosfera (7-10hPa) amplificandone il segnale e determinando una sempre maggiore convergenza di flusso orizzontale in zona siberiana orientale che dinamicamente comporta una compressione della massa per effetto di caduta verticale del flusso e quindi un riscaldamento (vedi gli effetti in figura 2).
La successiva fase di espansione della massa atmosferica nella colonna troposferica e bassa stratosferica fino a circa 70hPa, contrassegnata al numero 10, corrisponde al successivo transito della MJO in zona 4 che tende generalmente a spegnere la dinamica sopra descritta (più avanti definiremo un po’ meglio). La zona sempre contrassegnata al numero 9 ma tra i livelli compresi tra 5hPa circa e 0,4hPa non è altro che la risposta all’azione di compressione della massa atmosferica sottostante con espansione di quella sovrastante. L’entrata della convezione equatoriale in zona 5 il giorno 18 dicembre rappresenta l’accensione della miccia che porterà al superamento della soglia di -3 dell’indice NAM10hPa e dell’indice SEI (Stratospheric Event Index) il giorno 29 dicembre, conclamando l’Evento Stratosferico Estremo (vedi figura 3).
Nelle figure 4 e 5 sono evidenziati, tra le curve in nero, rispettivamente l’impulso troposferico alla quota isobarica di 500hPa e i successivi effetti di propagazione in bassa stratosfera evidenziati alla quota isobarica di 200hPa.
Da notare che l’impulso troposferico è indotto dal transito in zona 1 della MJO con i successivi effetti nel trasferimento nelle zone 2 e 3 che sono stati sopra discussi.
Il realizzarsi di tutta questa dinamica, fino al conclamarsi dell’Evento Stratosferico Estremo, ha però una radice piuttosto importante ovvero il gradiente meridionale di geopotenziale alla quota isobarica di 10hPa.
Dalla figura 6 possiamo notare la curva arancione rappresentante l’anomalia del geopotenziale alla quota isobarica di 10hPa tra le latitudini di 20°N e 30°N che è stata, fin dal primo luglio scorso, sempre al di sotto del valore medio del relativo periodo. Tale caratteristica ha contribuito ad attenuare notevolmente il valore di gradiente meridionale tra le alte e le basse latitudini (vedi curva tratteggiata verde) anche in presenza di un vortice in sede polare anche più profondo del normale (vedi curva in blu) sottraendo velocità zonale al vortice stesso (vedi figura 7). Da qui la cronica difficoltà del vortice polare stratosferico ad approfondirsi molto durante l’avanzare stagionale nonostante i bassi valori di temperatura raggiunti nella fase autunnale (vedi figura 8) toccando il 19 novembre scorso il valore minimo di circa -73,8°C.
Tutta questa dinamica ha poi portato il giorno 4 gennaio allo split del vortice polare alla quota isobarica di 10hPa. Da questo punto arrivano le novità… Nella dinamica classica degli eventi che portano allo split del vortice polare nella media stratosfera si vede mediamente l’azione congiunta delle due onde planetarie che lasciano il vortice principale, quello più profondo, sul comparto canadese e quello secondario sul comparto europeo. Quanto avvenuto invece è riconducibili a quei casi in cui la scissione è affidata alla sola, o quasi, azione della prima onda. Le sequenze nelle figure 9 e 10 inerenti rispettivamente il geopotenziale alla quota isobarica di 10hPa e la vorticità potenziale al livello isoentropico di 850K (circa 10hPa) chiariscono meglio quanto appena descritto.
Come detto dalle due sequenze si nota molto chiaramente come il vortice in zona europea sia il soggetto principale e quello verso il comparto canadese quello il secondario. Tale dinamica si fa sempre più evidente scendendo di quota con il vortice sul comparto euro-siberiano che risulta la figura protagonista facendo assomigliare sempre più l’evento ad una dinamica displacement. Le manovre complessive in area canadese non forniscono quantità di moto sufficiente all’insorgere della seconda onda stratosferica così che la scissione è piuttosto labile tanto è vero che già dal 7 gennaio c’è l’inizio di manovra atta al ricompattamento. In soldoni quanto descritto da un lato ha lasciato una seconda onda troposferica piuttosto attiva a ridosso dell’Europa occidentale aprendo sia la via ad irruzioni di aria artica prevalentemente marittima, salvo un iniziale contributo più continentale avuto proprio nei primi giorni dell’anno, che una focalizzazione delle precipitazioni sul medio-basso versane adriatico ed il meridione mentre le regioni sud-alpine e settentrionali in genere sono rimaste sottovento alla barriera alpina con frequenti episodi di foehn mentre lo stau ha flagellato il versante nord della stessa catena. Se guardiamo al grafico di figura 11, inerente la diversa media distributiva delle anomalie in caso di MMW split (a) e di MMW displacement (b), notiamo al confronto con la figura 1 che esistono delle chiare analogie con lo schema alla lettera “a” dello split nel periodo precedente l’evento ma certo non mancano alcune sovrapposizioni con la dinamica che precede il displacement.
In particolare si nota l’approfondimento più consistente del vortice stratosferico più palese tra i 30 e i 10hPa nel periodo compreso i 70 e i 45 giorni precedenti l’evento, o piuttosto, l’anomalia negativa di geopotenziale tra la troposfera e la bassissima stratosfera attorno ai 15 giorni precedenti l’evento. Nella chiara evoluzione verso uno split o un displacement di un nascituro MMW non è secondario né il transito della convezione equatoriale in zona 4 e non lo è la sua modalità. In 7 eventi di displacement e split esaminati dal 1977 al 2000 il passaggio e la permanenza media in fase 4 della MJO nei trenta giorni precedenti l’evento è stata per il primo caso di 5,3 giorni con ampiezza media di 1,11 e per il secondo caso di 1,3 giorni con ampiezza media di 0,9 (il basso numero di giorni sta ad indicare che molti casi di split non sono nemmeno preceduti dal passaggio in fase 4 nei trenta giorni precedenti l’evento). La lunga permanenza in fase 4 con buona ampiezza precede mediamente i casi di MMW displacement mentre brevi passaggi con ampiezza bassa precedono generalmente eventi di tipo split. Nel caso qui discusso la permanenza nella fase 4 è stata di 6 giorni con una ampiezza media di 2,2. Secondo la statistica il MMW avrebbe dovuto manifestarsi secondo un displacement, motivo per il quale sulla base delle molteplici forzanti il risultato finale è stato un insieme dei due eventi.
Da notare sempre dalla figura 11 che gli eventi split hanno una risposta troposferica immediata con eventi anche rilevanti concentrati in un periodo relativamente breve di una trentina di giorni mentre negli eventi di tipo displacement si nota una chiara maggiore difficoltà della sua natura dinamica a scendere sotto la tropopausa influenzando energicamente la troposfera, così che gli effetti ne risultano meno drammatici ma molto più duraturi nel tempo, una sessantina di giorni. Come detto precedentemente se alle quote medio-alte stratosferiche possiamo descrivere l’evento come pienamente split scendendo di quota si nota la maggiore somiglianza ad un evento tipo displacement e finora anche gli effetti in troposfera lo confermano.
Onestamente dipanare la matassa non sembra cosa facile ma avendo maturata un’idea la propongo.
Prima di addentrarmi nel tentativo di prognosi ripropongo qui di seguito il grafico dell’attività d’onda per segnalare come la previsione sia stata veramente performante e certamente l’evoluzione proposta deve tenerne parecchio conto.
A mio modesto parere dalla metà circa del corrente mese dovremmo assistere ad un graduale cedimento del campo di pressione sul Mediterraneo centrale con graduale rinforzo dello stesso sul medio Atlantico arretrando rispetto la posizione attuale. Tale manovra aprirà la strada a soventi azione depressionarie nei mari attorno alla Penisola. Il blocco atlantico favorirà un’azione prevalente da Dipolo Artico positivo con alimentazione fredda di aria artica prevalentemente marittima ma non è possibile escludere anche brevi contributi per episodi più continentali. Nel dettaglio possiamo immaginare la discesa delle correnti fredde ad interessare maggiormente l’Europa orientale settentrionale e centrale con temperature diffusamente sotto media. Per l’Italia la zona più interessata potrebbe essere il nord Italia con più di qualche occasione di neve ad interessare anche le pianure ed un po’ più marginalmente il centro. Il meridione dovrebbe risentire maggiormente del richiamo meridionali innescato dalle suddette depressioni mediterranee. Secondo lo schema dell’attività d’onda la fase maggiormente interessata da tale configurazione potrebbe collocarsi tra l’ultima decade del corrente mese e la prima del successivo. Ovviamente questa linea di tendenza immaginata non solo dovrà trovare conferma ma è d’obbligo in caso affermativo seguire con attenzione i modelli deterministici per quantificare nel dettaglio gli effetti.
A inverno finito, possiamo dire che quest’anno (anche?) le proiezioni sul valore dell’AO dei singoli mesi invernali non si sono avvicinate nemmeno lontanamente alla realtà, mentre il valore medio trimestrale grosso modo si, ma qui conta poco visto la debacle di gennaio e febbraio, con scarti dalla realtà di oltre 2 per gennaio e di oltre 1 per febbraio. Solo dicembre si è avvicinato al valore reale con 0.1 contro 0.4 previsto (ma qui è più facile visto la vicinanza all’uscita dell’outlook).
Definirei totale debacle per la seconda parte, con esiti quasi contrari a quanto preventivato, del resto se si punta sempre su valori negativi dell’ AO in un contesto climatico dove se di lusso siamo in neutro…
Un trimestre invernale che ha premiato il sud con 2-3 ondate di freddo davvero toste, mentre sul resto del territorio abbiamo avuto l’ennesimo inverno mite, con scarse perturbazioni e quasi nulle irruzioni fredde. Ormai un trend ben consolidato dopo il 2014, se questo non è un segnale (5 anni di fila) dove l’European Warming (dovremmo dire tranne per le zone meridionali del continente) è ormai galoppante con rarissimi episodi freddi e numerosissimi episodi di anticicloni piazzati e ben radicati con blocco delle correnti fredde per 3/4 del continente.
In conclusione, il MMW non ha avuto gli esiti sperati, mentre il successivo repentino raffreddamento stratosferico ovviamente li sta avendo eccome, con VPT ben chiuso a riccio dove solo il nord America ne beneficia.
https://www.cpc.ncep.noaa.gov/products/precip/CWlink/daily_ao_index/monthly.ao.index.b50.current.ascii.table
Immagine allegata
@FabioDue
Tutta la dinamica dell’MMW è in via di risoluzione cominciata già al seguito del suo conclamarsi. In questa fase l’espansione della colonna dai più alti piani isobarici stratosferici in graduale trasferimento verso il basso provoca la compressione e il riscaldamento dei piani sottostanti con un effetto “domino”. Questo periodo è il più favorevole a perturbare la troposfera portando il fronte polare alle base latitudini il che vuol dire avvezioni fredde artiche. Detto questo seguendo quanto descritto nell’articolo, ed in particolare quanto spiegato alla figura 11, possiamo ritenere possibile (non certo) in un periodo compreso tra la metà e la terza decade del mese di febbraio l’ingresso di aria continentale per l’instaurarsi di una circolazione secondaria antizonale nelle medie latitudini europee provocato dal tilting della seconda onda in nuova espansione verso nord. Il coricamento dell’onda verso la penisola scandinava sarà favorito da una parziale ripresa zonale alle alte latitudini. L’intensa ripresa zonale alle quote medio-alte stratosferiche fa alzare le possibilità del già paventato final warming ipotizzato tra la fine di marzo e la prima decade di aprile.
CarloCT
Una domanda per il sig. Colarieti Tosti:
ritiene tuttora che a febbraio l’aria artica marittima continuerà a svolgere un ruolo prevalente, oppure le quotazioni di un ingresso gelido continentale in Europa sono salite, a suo avviso?
Grazie!
Oggi sabato mattina 19 gennaio ancora non è chiaro se la Rossby prevista possa raggiungere le latitudini artiche oppure rimanere alle latitudini islandesi, lo spread è alto tra Groenlandia e Islanda, magari sarà una via di mezzo l’ampiezza dell’ondulazione:
Immagine allegata
Un breve commento di aggiornamento.
Quanto indicato nell’articolo sta prendendo forma. L’anticiclone delle Azzorre va ritirandosi verso l’Atlantico e già si notano i primi effetti con il ritorno tra il pomeriggio di ieri e la scorsa notte di deboli precipitazione sparse al nord con particolare riferimento al settore orientale. Ma da lunedì prossimo inizierà a prendere le mosse una vasta circolazione depressionaria che velocemente dall’Islanda sembra puntare il bacino centrale del Mediterraneo tuffandosi dalla valle del Rodano accompagnata da un flusso di aria artica marittima come indicato nell’articolo prima e in sede di commento poi. D’ora in avanti sarà importante seguire le varie corse dei deterministici poichè la situazione potrebbe divenire assai critica in relazione alla conseguente formazione e posizione del relativo minimo di pressione al suolo.
CarloCT
Dunque, cercherò di rispondere a tutti. Premesso che non è facile rispondere alla domanda su cosa esattamente accadrà in una specifica zona piuttosto che un’altra nel lontano futuro è però possibile tracciare uno scenario probabile così come trattato nell’articolo. Ricordo che nel testo è stato evidenziato il comportamento anomalo tra gli strati medio-alti e medio-bassi stratosferici e la difficoltà nell’interpretare al meglio quanto l’uno prevarrà sull’altro. Al momento non mi sembra possano prevalere dinamiche con importanti retrogressioni dirette verso il Mediterraneo centrale ma piuttosto nell’evoluzione dell’onda atlantica in spinta meridiana nelle sue rotazioni orarie in tilting orientale potrebbe aprire temporanei richiami d’aria continentale che sicuramente quest’anno presenta caratteristiche piuttosto fredde, visto il consistente raffreddamento subito nell’Europa orientale. Quindi aspettiamoci un periodo medio-lungo di instabilità atmosferica a carattere mediamente freddo ma non estremo secondo lo schema espresso nell’articolo (che ovviamente qui non ripeto). L’origine principale delle masse d’aria saranno artico marittime e come detto solo per successiva evoluzione provenire dai quadranti orientali. Ecco perché suggerisco di avere un orizzonte piuttosto corto e seguire i deterministici perché le sorprese per i molti amanti della neve potranno presentarsi senza contare di scomodare necessariamente il Buran. Per la durata di questo periodo non andrei oltre la metà o l’inizio dell’ultima decade di febbraio così come tra l’altro suggerisce l’output dell’attività d’onda del modello IZE. A supporto della prognosi si veda il grafico allegato del tipo di circolazione che pronostica una ripartenza del vortice polare stratosferico non proprio balbettante vista la attesa consistente anomalia di circolazione di tipo barotropico e il grafico del modello di previsione degli eventi dei flussi di calore su un intervallo di 40 giorni visto in netta flessione (com’è ovvio in questi casi). Bisognerà capire se tale comportamento rimarrà o verrà rapidamente smorzato rientrando lungo la normalità baroclina attesa per il periodo poiché segnerà molto il proseguo stagionale tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera. La differenza potrebbe valere una ripresa zonale abbastanza brillante nell’ultima parte di febbraio fino alla metà del mese di marzo circa come il grafico dell’attività d’onda sembrerebbe intendere, oppure una ripresa zonale non eccesiva lasciando il campo ad una complessiva dinamicità atmosferica. In sostanza la differenza si manifesterebbe nello sviluppo o meno di un final warming che ad oggi potremmo immaginare tra la seconda metà di marzo e la prima metà di aprile con le eventuali relative conseguenze. Vedremo passo passo per trovare le conferme o aggiustare il tiro.
CarloCT
Immagine allegata
Tg di Rai 2 ieri… “è il mondo alla rovescia, assenza di neve nel nord Italia e tantissima neve al Sud, come mai successo prima”…???? … mai vista la neve in Molise o Basilicata?… Mah…
Intervista al solito “climatologo” che ripete il solito mantra… “eventi eccezionali come questi (nel sud Italia) diventeranno più frequenti col cambiamento climatico”…
Questi globalisti che invocano il GLOBAL climate change e si appoggiano alla mancanza di neve sul versante sud delle Alpi, mentre sul versante nord zona Svizzera, Austria, Germania… hanno troppa neve!… gare di sci annullate per troppa neve in Austria, un treno bloccato da metri di neve in Germania… persino in Grecia hanno problemi a causa di grandi nevicate…. questi piccoli “dettagli” non li citano, come mai??? 🙂
Come mai? Perche’ il Rescue Team ci mette sempre una pezza, e sempre la stessa tra l’altro…
Insomma da quello che si può capire dal nuovo aggiornamento dell’outlook invernale di Carlo Colarieti Tosti e che le prossime irruzioni di aria fredda potranno avere un target più medio alto,interessando maggiormente le regioni settentrionali ed escludendo quelle centro meridionali,deducendo quindi anche le isole maggiori.Fino adesso questo inverno sta risultando una mezza ciofeca,con delle rasoiate irruzioni fredde fugaci e che non hanno portato grosse nevicate in gran parte dell’Italia.Dal 9 all’11 Gennaio nel nord ovest Sardegna solo delle spruzzate di neve in alta collina,con cumulati inferiori al cm.Ci vuole una bella ondata di freddo tosta e stazionaria con rodanate scure per coinvolgere bene le tirreniche.
Chiedo scusa ma le vostre immagini vengono pubblicate sul sito meteoland forum senza citare la fonte (in questo caso la figura 11)
NON MI SEMBRA GIUSTO
Si può avere un link?
Grazie.
In poche parole Carlo Colarieti Tosti fa capire che dalla terza decade di Gennaio le irruzioni di aria fredda avranno un targhet medio alto,includendo maggiormente il nord Italia ed escludendo le regioni centro meridionali,incluse quindi si può dedurre anche le isole maggiori.Che ciofeca!Altro che inverno tosto con una bella ondata di freddo in pieno mediterraneo stazionaria.Qui nel nord ovest Sardegna solo qualche spruzzatina da quote di alta collina in questa settimana,con accumuli insignificanti,neanche 1 cm.
Citando dal testo:
“Da notare sempre dalla figura 11 che gli eventi split hanno una risposta troposferica immediata con eventi anche rilevanti concentrati in un periodo relativamente breve di una trentina di giorni mentre negli eventi di tipo displacement si nota una chiara maggiore difficoltà della sua natura dinamica a scendere sotto la tropopausa influenzando energicamente la troposfera, così che gli effetti ne risultano meno drammatici ma molto più duraturi nel tempo, una sessantina di giorni. Come detto precedentemente se alle quote medio-alte stratosferiche possiamo descrivere l’evento come pienamente split scendendo di quota si nota la maggiore somiglianza ad un evento tipo displacement e finora anche gli effetti in troposfera lo confermano.”
In pratica gli effetti diretti comprenderebbero questa seconda metà di gennaio, tutto febbraio e la prima metà di marzo; al netto dei possibili strascichi successivi (ci sarà ancora una certa quantità di freddo “in giro” per l’Emisfero). Io penso, in base all’articolo, che continueremo con azioni artiche (marittime) alternate ad azioni continentali (artiche o siberiane) per un bel po’. Questo ovviamente non ci deve ingannare sugli effetti locali, dato che potrebbe essere preso più il Nord che il Sud (ed è scritto a fine articolo), e quindi alcune regioni italiane potrebbero vedere poco in termini di “inverno”. Lo stesso, alcune di queste azioni potrebbero prenderci in pieno, altre interessare maggiormente o l’area balcanica o quella pirenaica ecc.
Complimenti per l’ottimo articolo Carlo e grazie per la ricchezza nei dettagli. A quanto pare questo Stratwarming è di tipo “ibrido”per quanto riguarda i suoi effetti….ti chiedo se un siffatto fenomeno sia in grado di pilotare comunque una massa di aria gelida continentale verso l’Europa oppure avremo incursioni di aria fredda polare marittima come abbiamo avuto finora. Grazie e buona serata.
Ringrazio vivamente il Sig. Colarieti Tosti per l’articolo, complesso nella trattazione ma chiaro nelle conclusioni circa la natura dello split (anche a me giorni addietro pareva assomigliare un po ad un displacement; sia dalle carte strato ECMWF che GFS appariva con chiarezza).
Avrei una domanda: se circa tra il 20 gennaio ed il 10 febbraio possiamo legittimamente attenderci un contributo prevalente di aria artica marittima, che cosa si puó dire ad oggi della possibile evoluzione successiva?
Ovvero possiamo attenderci una irruzione rilevante di aria continentale a febbraio inoltrato, oppure una prosecuzione del flusso artico, o una sua conclusione senza ulteriori strascichi freddi?
Grazie in anticipo e grazie ancora per l’articolo.
Grazie come sempre per la chiarezza e semplicità di esposizione dell’articolo.
In linea con attuali deterministici a 240h e CFS.
Anch’io sono dell’ opinione che , dopo metà mese si apre una nuova fae per Italia, con prevalente contributo di aria artica marina (iniziale da mare di batenz)