Gli inglesi stanno ingrassando, lo dicono le statistiche implacabili sulla diffusione dell’obesità nel Regno Unito. E il Governo non sta certo a guardare: il rimedio identificato è nella riduzione della taglia della pizza servita nei ristoranti e fast-food, pizza che non dovrà fornire un apporto calorico superiore alle 928 calorie (ché avranno pure votato la Brexit, ma il virus del dirigismo eurocratico continuano a portarselo dentro).
Un rimedio, in realtà, è già a portata di mano, o di bocca se si preferisce. Glielo offre una concittadina di alto lignaggio (recentemente acquisito): parliamo di Meghan Markle, neo-sposa del principe Harry. Non è solo bella Meghan, è anche impegnata e quindi salverà il mondo dall’emergenza clima.
Grazie alla dieta “flexitariana” ovvero una dieta vegetariana “flessibile” che consente di mangiare carne e pesce in piccolissime quantità. Pare che dietro a questa proposta rivoluzionaria ci sia persino uno studio scientifico pubblicato su Nature a cui ha collaborato il Potsdam Institute for Climate Impact Research. Si fatica a capire in che modo il clima benefici di una dieta a base di verdure, lische di pesce e ossi di pollo, ma tant’è, magari la bilancia ci guadagna per davvero.
Eppure per ridurre il girovita degli inglesi basterebbe solo bere un po’ di meno: una pinta di birra equivale a circa 230 calorie, e la piaga dell’alcoolismo è tra i maggiori problemi sociali da affrontare. Ma i politici sono già abbastanza impopolari da quelle parti, per permettersi di togliere il boccale dal tavolo del pub. Ci penserà il Global Warming a mettere gli inglesi a dieta da alcoolici: secondo una ricerca pubblicata su Nature Plants, infatti, il riscaldamento globale sarà causa di un tracollo nella produzione di orzo e quindi di birra.
La previsione si basa ovviamente sui modelli climatici, che nel worst-case scenario costringeranno i polacchi a triplicare la spesa per l’agognata bionda. Altrettanto ovviamente, proprio come per i modelli climatici, la realtà dei fatti è ben diversa dalle previsioni: la produzione mondiale di birra è stabile sui livelli massimi degli ultimi 20 anni. Sarà che esiste anche uno hiatus della birra…
Vale la pena sottolineare i toni del Guardian che con fare tra l’allarmistico e l’involontariamente comico intende spaventare l’hooligan medio con affermazioni del tipo: “se vuoi ancora bere un paio di pinte di birra mentre guardi il calcio alla TV, allora l’unica soluzione è l’impegno contro il Climate Change”. E siccome la politica con la ricerca non c’entra nulla, uno dei reviewer del paper in questione sentenzia: “Spero che a Trump piaccia la birra, così magari si rimangia l’abbandono dell’accordo di Parigi”. L’articolo si chiude con l’amara constatazione dell’autore che Trump è astemio e beve solo tè, e quindi non se ne farà nulla.
Ma si sbaglia. Perché anche il tè è minacciato dal Climate Change. Ce lo dice la FAO, pur a fronte di un continuo aumento di produzione che è previsto durare anche per i prossimi anni. Ce ne faremo una ragione, e continueremo a bere caffè. Non fosse che il Guardian (sempre lui) ci informa che anche il caffè scomparirà dalle nostre tazzine a causa del fungo della ruggine, noto per la sua malefica azione fin dalla metà dell’800, ma che adesso pare aver trovato nel Climate Change l’alleato che lo renderà invincibile.
E vabbè, se non potremo bere tè, birre e caffè allora vuol dire che ci consoleremo mangiando, e pazienza se diventeremo grassi come gli inglesi. Ai piaceri della tavola non rinunceremo comunque, vero? No, sbagliato. Perché un paper appena pubblicato sul Journal of Climate ci informa che la grande carestia del 1876 che provocò 50 milioni di morti fu provocata dalla variabilità climatica. Sospiro di sollievo, il global warming stavolta non c’entra? Sbagliato! C’entra eccome, perché all’interno di quella stessa variabilità climatica, il Global Warming renderà l’evento ancora più probabile: lo dicono i modelli dell’IPCC.
Non è una cosa seria: è solo una farsa ridicola e una rincorsa continua alla profezia più nefasta e più incredibile. L’importante è che Mr. Jones e il Sig. Rossi finalmente si scuotano dal torpore e corrano a chiedere il soccorso dei Salvamondo: ci penseranno loro, a salvare la birra davanti alla TV, l’espresso al bar dell’angolo e il té della suocera.
Scriveva Lucrezio nel De Rerum Natura che è consolante vedere una barca sballottata dal mare in tempesta, se si è al sicuro sulla terraferma. Allo stesso modo è consolante sapere che tutte queste profezie non si avvereranno, esattamente come è stato per le profezie climatiche che gli stessi Salvamondo ci hanno propinato negli ultimi 30 anni, senza azzeccarne una nemmeno per sbaglio.
È consolante, e ci regala anche dei sinceri momenti di buonumore. Dovremmo solo ringraziarli per questo.
Lunga vita al Global Warming, e buon appetito a tutti.
E’ preoccupante che il 20 ottobre siano stati scritte ugualmente le solite fregnacce sulla birra e magari c’è chi nemmeno si occupa di monitorare la produzione mondiale di orzo…
Caro Luca, hai perfettamente ragione, grazie per la correzione.
Ciao, Donato.
Donato, per la precisione (siamo mica modelli dell’IPCC, noi…) la lambic è un tipo di birra belga (prodotta nella regione del Pajottenland, nelle Fiandre a sudovest di Bruxelles).
Slàinte!
Non riesco a capire tutto questo can-can attorno alla birra. Sono mesi che su molti organi di stampa si pubblicano notizie in cui si paventa la riduzione della quantità, qualità e varietà della birra, a causa del cambiamento climatico di origine antropica.
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Tempo fa circolò la notizia della prossima “scomparsa” della birra tradizionale olandese “limbic”. poi si sono succedute varie news sui pericoli per la birra, derivanti dal global warming.
Come sostengono diversi commenti (che io condivido), non si ravvisa alcuna crisi nella produzione della birra, né si registrano cali della sua qualità o aumenti del costo del prodotto.
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Si teme che possa accadere, ma nessuno è certo che accadrà e, ripeto, non mi sembra di vedere avvisaglie di un prossimo accadimento, delle sciagure paventate dai media.
A pensar male si fa peccato, però …… E’ da molto tempo che coloro che si occupano di scienza e psicologia della comunicazione, invitano gli scienziati e gli attivisti, a cambiare strategia: è inutile cercare di convincere gli scettici con i dati, è meglio cercare di aggirare l’ostacolo, puntando ad evidenziare i rischi economici che si corrono ed i vantaggi (economici, ovviamente), legati al cambiamento climatico ed alla sua mitigazione.
Questo spiegherebbe tutti i “lanci” che lamentano la possibile scomparsa di questo o quel prodotto o che profetizzano le mirabolanti opportunità, offerte dall’economia verde. Quando uno è alla frutta …..! 🙂
Ciao, Donato.
Mica lo leggo, il Corriere! Leggo solo i titoli. 🙂 È più che sufficiente.
Franco, sei sempre una miniera di informazioni interessanti.
Tornando alle risate… oggi Cazzullo sul Corriere si duole del fatto che poca gente si preoccupa dell’AGW (ma va?) mentre invece molti si preoccupano dei migranti: il che sarebbe paradossale, perché è noto che l’AGW è la causa dei migranti.
Quindi in sintesi abbiamo: una preoccupazione per un evento percepibile, nessuna preoccupazione per un evento impercettibile, e una riflessione basata su un nesso di causalita’ del tutto inesistente. Tutto torna, quindi. Ma soprattutto… Perche’ leggi ancora il corriere? Mi ricordi un amico che la mattina va al bar per leggere quel giornale e poi incazzarsi di conseguenza per quello che legge… Siamo un popolo di masochisti 🙂
Due clima-stronz… stupidaggini stamattina su Repubblica (e chi altri?):
1) La notizia: “Un nuovo studio a mostrare che presto riscaldamento globale e desertificazione ci priveranno anche del piacere di godere di un sorso di birra. […] A seconda della “gravità” dello scenario, le produzioni potrebbero diminuire dal 3 al 17 percento”
Una produzione che cala da 100 a 97 (o a 83) farebbe diminuire drasticamente la reperibilità della birra aumentandone a dismisura il prezzo, come minacciato nell’articolo?
2) La notizia: “Napoli, le Cinque Terre, i canali di Venezia: ecco i siti Unesco che rischiano di sparire entro il 2100. Sono tredici infatti i siti in Italia, dichiarati patrimonio dell’Unesco che entro la fine del secolo potrebbero sparire, cancellati dall’erosione delle coste o dalle inondazioni dovute all’innalzamento del mare. Il centro storico di Vicenza, Napoli, Ferrara, Ravenna, le Cinque terre, e poi Genova, Pisa, il sito archeologico di Pompei, la Costiera amalfitana, Siracusa, Venezia, il sito di Paestum e la Val di Noto”.
Il centro storico di Vicenza? Vicenza di trova a 65 km dal mare ed a circa 40 metri di quota!
Poi precisano che “Venezia rimane l’unico sito dell’Unesco ad essere protetto dall’innalzamento dell’acqua attraverso un sistema di barriere (MOSE, ndr)”
Ma se va a bagno-maria Vicenza come può il MOSE salvare Venezia (anche perché si tratta di barriere MOBILI)?
Mistero!
A proposito di flatulenze , possiamo sempre riprendere l’uso della vanvera, benemerito attrezzo in uso nel XVII secolo e che per antonomasia è passato a specificare i ragionamenti di certuni
Immagine allegata
Data l’aria che tira, in vista della bella stagione, mi piacerebbe saper progettare una griglia che cuoce carne/verdure non con la carbonella (orribile, emette CO2) ma con pannelli solari. Una cosa che funzionasse, fosse economica e di dimensioni accettabili, trasportabile nel bagagliaio di un’auto. Magari non ci farei miliardi, ma mi basterebbe la soddisfazione di averla fatta e di guadagnarci qualcosa, poiché penso che troverei qualcuno che la compra (per me preferirei la vecchia, cara carbonella). Ma va be’, tanto non sono capace…
Fabrizio, mai stato alla festa dell’aglio di Voghiera (FE)? Si tiene al castello del Belriguardo, forse la più amata residenza estiva degli Estensi. Io lì ho scoperto gli ottimi spiedini di aglio (gli spicchi in camicia vengono infilati in uno spiedino e messi alla griglia). Si mangiano, come contorno, con la carne alla brace.
Lì ho mangiato anche un buon gelato all’aglio; certo, non tutti si azzardano a provarlo ma vale la pena. Franco
Franco non andrai mai nel paradiso dei salvamondo: avevi dell’aglio e l’hai egoisticamente mangiato invece di darlo alle mucche per contenere le loro flatulenze metanogeniche.
“Eppure per ridurre il girovita degli inglesi basterebbe solo bere un po’ di meno: una pinta di birra equivale a circa 230 calorie, e la piaga dell’alcoolismo è tra i maggiori problemi sociali da affrontare.”
Ulteriori dati sulla “dieta” britannica a base di alcohol qui…
goo.gl/jtbgC
“For example Dr Jhn Campbell drank 13 bottle at one sitting and many man habitually drank 4 bottles of port a day” 🙂
E non potremo nemmeno consolarci con il patrimonio Unesco in Italia, destinato in parte (Napoli, Venezia, Ferrara, Cinque Terre ecc) destinato a sparire entro il 2100 (va bene noi non ci saremo…..)
A me la birra non piace, manco l’odore, quindi vivo tranquillo. La cosa la cui penuria mi darebbe molto fastidio, essendone grande estimatore, è l’aglio: esiste qualche studio a proposito?
Certo Fabrizio. C’e’ uno “studio” che mette in relazione il Global Warming con qualsiasi cosa. Per esempio, scopriamo che l’aglio combatte il global warming perche’ se lo fai mangiare alle mucche, queste emettono meno metano con le loro flatulenze.
Caro Massimo,
le notizie sui prossimi disastri di birra &C. si erano viste qua e là nei giornali (io non avevo letto quella del caffè), più che altro per essere sorvolate sconsolatamente. L’averle messe tutte in fila in un crescendo rossiniano di frescacce, rende il tuo post esilarante (ormai, fino alla prossima COP, non si piange più, si ride) e leggibilissimo. Grazie. Franco
Grazie a te Franco, sono contento che anche tu sia passato dalla fase dell’incazzatura a quella della risata attraverso quella dell’indifferenza 🙂