Sembrerà impossibile, ma l’accuratezza con cui si può pensare di riuscire a simulare il comportamento del sistema pianeta, e quindi avere sia strumenti previsionali a breve termine climatico – tipicamente la scala stagionale – sia capacità di comprendere se e quanto il sistema sia sensibile alle variazioni della concentrazione di gas serra – quindi alle scale decadale e multidacadale – dipende dalla capacità di contare, letteralmente, le gocce che formano le nubi.
Ce lo spiegano in un articolo appena pubblicato su Reviews of Geophysics e ripreso da EOS, la rivista dell’AGU.
- Remote Sensing of Droplet Number Concentration in Warm Clouds: A Review of the Current State of Knowledge and Perspectives
- How Many Water Droplets Are in a Cloud?
Gli stratocumuli, le nubi con il maggior contenuto di acqua liquida perché sostanzialmente basse e sviluppate sul piano orizzontale, coprono costantemente circa un quinto della superficie terrestre. Nubi queste che, più delle altre, hanno la capacità di riflettere verso l’alto la radiazione solare, e quindi modulare la quantità di calore che raggiunge la superficie, viene assorbita e restituita sotto forma di radiazione ad onda lunga all’atmosfera. Il loro ruolo nella gestione del calore è quindi fondamentale.
Nel paper segnalato e nell’articolo che lo ha ripreso, è spiegato quale sia lo stato dell’arte della conoscenza nella misura del numero di gocce presenti nelle nubi, dell’interazione tra queste e gli aerosol, che ne costituiscono i semi, quali siano i limiti della misura attraverso le osservazioni satellitari e cosa sia necessario fare per accrescere questa capacità. Decisamente interessante.
PS: molti di voi non lo ricorderanno, ma se volete rinfrescarvi la memoria andate a leggere un post (e i relativi paper) con cui Roy Spencer qualche anno fa spiegava quanto sia importante il ruolo delle nubi nelle dinamiche del clima e quanto le variazioni di decimi di punti percentuali della copertura nuvolosa a scala globale siano sufficienti a spiegare le oscillazioni della temperatura delle ultime decadi con più accuratezza di quanto non si riesca a fare per la forzante antropica.
NB. l’immagine in testa al post viene dalla NASA.
Credo anche che sia dimostrato che esista un interazione tra flusso di elettroni e copertura nuvolosa.
Basta pensare al luglio 2014 quando il flusso di elettroni era estremamente basso e le precipitazioni e la nuvolosità erano diffuse:
Immagine allegata