Stiamo avanti, molto avanti. Una volta, sebbene ancora oggi non si sia capito bene cosa sia, il collegamento tra l’essere umano e le bizze del tempo e del clima si limitava ai dolori articolari, alle emicranie, al cattivo umore delle giornate uggiose o al nervosismo di quelle con troppa elettricità statica. Insomma, si limitava a tutti quegli aspetti della meteoropatia, impalpabile e alquanto soggettiva reazione degli esseri pensanti al tempo che fa.
Oggi no, oggi tutto è cambiato, perché è tempo di climate change. Oggi se piove troppo o troppo poco è colpa nostra, così come se fa freddo o caldo, se tira vento o c’è bonaccia. E, con tutte queste colpe, vuoi che non si sviluppi una patologia nuova?
Pronti, basta chiedere, o, se preferite, basta cercare nei meandri della mente e lasciare andare la fantasia: ecco servita la “biospheric concern” meglio nota o traducibile come “preoccupazione per la biosfera”. Pare sia terza di altre due forme di preoccupazione: quella egoistica, in cui più che altro se l’aria è mefitica per via degli idrocarburi si tende a preoccuparsi solo dei propri polmoni fregandosene di tutto il resto e quella altruistica, in cui si tende invece a guardare lontano, anche magari alle future generazioni. La biospheric concern, invece, è più olistica, allarga lo sguardo anche a piante ed animali… … troppo, davvero troppo evidentemente.
Infatti, in un campione di giovani genitori con figli, quelli che dimostrano di aver sviluppato la patologia (biospheric concern), invece di essere solamente egoisti o anche un po’ altruisti, sembra siano anche di molto stressati dal problema del clima che cambia e, inoltre, pare sviluppino anche più facilmente delle forme di depressione. Che però tendono a passare quando si danno da fare. Che so, anche solo delle sessioni di preghiera per la scomparsa dei SUV pare abbiano dei benefici…
Smettete di ridere per cortesia, la faccenda è seria. Trattasi di un articolo di Eurekalert che riprende un paper vero e proprio in cui sono stati per davvero affrontati questi argomenti, perché, dice uno degli autori, l’impatto sulla psiche degli esseri umani del clima che cambia è un aspetto grave e di cui si parla poco, per cui, dato per scontato che la famosa farfalla ha smesso di battere le ali per i fatti suoi ma le batte solo al ritmo antropico, è assolutamente necessario che se ne cominci a parlare.
Questo è l’articolo di Eurekalert: Researchers explore psychological effects of climate change
Questo invece il paper: Differentiating environmental concern in the context of psychological adaption to climate change
Verrebbe da dire che la depressione e gli stati d’ansia non li causa il climate change, e tanto meno il maltempo che ad esso si vorrebbe maldestramente associare, quanto piuttosto gli allarmi del tutto ingiustificati che vengono lanciati ogni giorno.
Allora, per alleviare almeno un po’ la triste vita di quanti dovessero aver sviluppato la biospheric concern, ecco un editoriale su Nature fresco fresco di stampa in cui si lancia una verità che il catastrofismo militante percepirà sì come depressiva e devastante: possiamo prendere gli scenari climatici peggiori e buttarli dalla finestra, perché sono inservibili, improbabili e, finalmente, non più contemplabili in quella che, allo stato dell’arte, si pensa sia la sensibilità climatica, ossia l’aumento della temperatura al raddoppio della concentrazione di CO2. Difficile? No, significa semplicemente che, siccome tutti i presagi di catastrofe poggiano su questi scenari, puff, la catastrofe non c’è più.
Homing in on a key factor of climate change
Ecco, ora mi metto seduto ad aspettare che l’autore dell’editoriale e quello del paper a cui si fa riferimento siano condannati dalla santa inquisizione climatica e bruciati (per scaldarsi) usando però solo combustibile rigorosamente bio.
Enjoy
Buongiorno,
In attesa di mandarvi il link all’articolo completo, mi permetto di indicare un’analisi di questo stesso studio fatto da carbonbrief, nitro sito pro-CAGW:
https://www.google.fr/amp/s/www.carbonbrief.org/new-study-reduces-uncertainty-climate-sensitivity/amp
Leggendolo si capisce una cosa… e cioè che la comunità dei “climatologi” non ha la più pallida idea di come calcolare la ECS, un parametro fondamentale per tutto il paradigma CAGW. Sono alla guerra dei modelli, “il mio è migliore del tuo”… la frangia iper-catastrofista si era appena ringalluzzita all’uscita dell’articolo che propendeva per una ECS molto più alta… e poi arrivano questi Cox et al a rompere i cox e sostenere che la ECS è con tutta probabilità centrata su “soli” 2,8???
Non sanno quali pesci prendere, questi modellisti… letteralmente.
R.
Qualche considerazione sulla nuova stima della Sensibilità Climatica all’Equilibrio (ECS).
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L’articolo di Cox et al., 2017 in cui viene determinato il nuovo valore dell’ECS, è accessibile a pagamento, per cui non ho potuto leggerlo. Stando all’abstract, alle figure allegate ed ai commenti, si vede chiaramente che gli autori hanno determinato il valore dell’ECS sulla base della comparazione tra le temperature misurate a partire dal 1880 (opportunamente omogeneizzate) e gli output di una parte dei modelli. Il risultato ottenuto, frutto di elaborazioni statistiche alquanto sofisticate, è stato verificato confrontandolo con un’altra serie di modelli matematici.
Il risultato di queste operazioni è consistito nella riduzione del margine di incertezza della stima di ECS: da una fascia compresa tra 1,5°C e 4,5°C (IPCC AR5), siamo passati ad una fascia compresa tra 2,2°C e 3,4°C. Il valore mediano delle due fasce non differisce di molto: da 3°C nel caso di IPCC, si scende a 2,8°C nel caso di Cox et al., 2017.
La cosa importante da rilevare è che il valore minimo dell’ECS è aumentato di 0,7°C, quello massimo è diminuito di 1,1°C: ci siamo spostati nettamente verso il basso.
Da ciò emerge la sostanziale bocciatura di tutti quei modelli che generano ECS elevati. La nuova fascia di valori di ECS taglia, però, anche tutte le stime che collocano ECS tra 1 e 2 gradi centigradi.
Se si ha la pazienza di dare un’occhiata al grafico allegato, si capisce meglio il significato di questo mio commento.
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Diciamo che Cox et al., 2017 taglia le ali più estreme e colloca la sensibilità climatica all’equilibrio in un range di valori che rende, a questo punto, realistici gli obiettivi dell’Accordo di Parigi (mantenere l’aumento della temperatura globale al di sotto dei 2°C entro la fine del secolo). Spunta, in altri termini tanto le armi di coloro che considerano l’Accordo di Parigi troppo timido e chiedono a gran voce un suo rafforzamento (praticamente utopico), quanto quelle di coloro che lo considerano inutile perchè le temperature non aumenteranno in modo pericoloso per il genere umano.
Ciò aiuta a comprendere il motivo per cui l’articolo di Cox e colleghi sia stato pubblicato e pubblicizzato su Nature. 🙂
Ciao, Donato.
Immagine allegata
@donato
Io ho accesso a Nature… te lo mando se vuoi.
R.
Grazie Donato per la segnalazione dell’articolo di Cox et al.
Scafetta et al. (2017) hanno mostrato che lavori successivi hanno tirato verso il basso (<2 °C) i valori stimati di ECS. I lavori di Lewis e collaboratori convergono verso 1.75 °C, mentre Abbott e Marohasy (2017) scendono fino a 0.6 °C, un valore conforme alle stime ottenute con metodi spettroscopici (0.33-0.90 °C)
Sul piano strettamente scientifico, penso che questo ultimo lavoro (basato su un uso massiccio di modelli) non servirà a dissolvere le incertezze che tuttora accompagnano le stime della ECS.
https://www.youtube.com/watch?v=SXxHfb66ZgM
https://www.youtube.com/watch?v=fmy0tXcNTPs
Tra i miei doc. digitali archiviati ho rivisto questi indirizzi youtube che per chi già non li conosca sono utili per capire quanto sia erroneo credere che il C.C. è approvato da tutti gli scienziati importanti. Il problema non sta nella divulgazione di tal teoria: la conoscenza avanza anche per ipotesi e idee azzardate o bizzarre, ecc… il vero problema attuale, come già dissi, è che questa ipotesi del C.C. per atto umano viene spacciata dai media come fosse teoria accertata empiricamente, privando così il pubblico delle alternative e contrastanti osservazioni che essa riceve da studiosi almeno altrettanto autorevoli di chi la promuove. In questo caso come in altri il problema è politico, riguarda la scarsa democrazia effettiva, al di là di apparenza e intenzioni strombazzate, nell’affrontare i temi ambientali e non solo quelli.
Ma non sarà solo un errore di traduzione? Non sarà che le “biosfere” sono le palle, intendo i testicoli? Che l’AGW possa essere causa dell’orchite l’avevo già detto tempo fa!
Vuoi dire che Mann-et-Al non sono riusciti a bloccarne la pubblicazione in tempo?