Alt, non si tratta di iniziare a scommettere sul tempo (magari qualcuno lo fa già…). Né di dichiarare una volta per tutte che quando le previsioni vanno bene prevale l’elemento dea bendata. Si tratta piuttosto di prendere atto dei numeri.
Ora, tra tutti quelli che, letteralmente, ci sovrastano al giorno d’oggi, quali numeri ci interessano di più? Suppongo di fare la parte del facile profeta se asserisco che quelli a cui teniamo di più sono i numeri con cui si pesano le nostre tasche. Ebbene, numeri alla mano, il mondo, questo malandato mondo, ci sta regalando un periodo meteorologicamente fortunato, se guardato dalla prospettiva dei danni causati dagli eventi estremi.
Sorpresi? Pensavate esattamente il contrario? Bé, è comprensibile, perché la propag… ehm, la comunicazione su queste cose spesso i numeri non li guarda proprio, specialmente se non fanno scopa con il messaggio che si ritiene debba essere trasmesso.
Eppure ecco qua, da quelli che sui numeri ci campano e a cui, forse piacerebbe anche che fossero un po’ diversi.
Per gentile concessione di Roger Pielke Jr, che si occupa da anni di queste cose, quello che vedete qui sopra è il grafico aggiornato delle perdite materiali causate da eventi meteorologici estremi in relazione al PIL globale (GDP). Pielke, che ha lasciato da tempo il dibattito sul clima in quanto stufo di sentirsi dare del venduto perché si ostinava ad attenersi ai numeri, ci tiene a sottolineare che questi dati NON devono essere usati per disquisire di trend climatici. Per quello, dice, ci sono appunto i dati climatici, che peraltro dicono la stessa cosa: per quanto vi sia stato sin qui raccontato il contrario, con riferimento agli eventi estremi, alluvioni, uragani, tornado et similia, non ci sono trend significativi.
Però si diceva di un mondo fortunato. In effetti, le perdite materiali sono in costante diminuzione da 25 anni, anche se il 2017, che ha visto il ritorno degli uragani sulle coste USA, esce decisamente fuori norma, come del resto avevano fatto ma con il segno opposto gli anni che lo hanno preceduto da vicino.
Si può far meglio? Più che altro si deve, sperando però che la fortuna continui…
Se sottoponessi un lavoro del genere ai miei ex colleghi e amici tecnici e scienziati, da tempo impegnati a allevare nipotini, compito lodevolissimo ma impegnativo, mi risponderebbero in coro: “poche chiacchiere; vai a fare quattro passi salutari in un qualunque rifugio alpino e spiegami dove sono finiti, e perché, la neve e il ghiaccio che tutti abbiamo visto mezzo secolo fa e ora sono scomparsi”. In effetti la storia che i costi delle grandi catastrofi vanno diminuendo mediamente nei decenni si può spiegare col fatto che ogni disastro genera esperienza, che riduce il costo del disastro analogo successivo; e, pensandoci meglio, si troverebbero altri motivi poco collegati alla nostra diatriba. La critica non è insensata e se cerco una risposta nei dotti articoli di Climatemonitor non ne trovo; del resto l’autore dell’articolo sul costo economico dei disastri climatici raccomanda di non usare questi argomenti per sostenere tesi di contenuto climatico. Mi auguro quindi di trovare prossimamente le risposte che “l’uomo della strada” si aspetta e che tali risposte non siano corredate da fasci di grafici di diverso colore e contraddistinti da difficili acronimi, ma siano sostenute da un testo semplice e comprensibile. Perché se è vero che il “clima” è materia complessa, la cui descrizione con modelli matematici è nettamente fallita nell’ultimo mezzo secolo, le sue manifestazioni visibili all’uomo “medio” (piogge torrenziali, venti fortissimi, periodi siccitosi , nevicate “eccezionali”, temperature “africane”) sono caratterizzate da distanze temporali che mal si adattano a una memoria che non si estende con lo stesso ritmo con cui varia l’aspettativa di vita, che è chiaramente aumentata negli ultimi 70 anni (cioè dopo la Guerra Mondiale) per evidenti motivi di aumento di benessere, almeno in alcuni Paesi che detengono quasi tutte le ricchezze. Allora il poveraccio che aspetta la risposta alla domanda se il clima stia cambiando, in meglio o in peggio, e se comunque il peggio sia colpa del proprio comportamento sconsiderato, cerca articoli centrati su questi argomenti e non sul PIL e sul costo delle riparazioni, su cui i non addetti ai lavori hanno comunque poca visibilità. Allora, se è forse è giusto non modificare l’impostazione editoriale per l’anno 2018 e seguenti, è raccomandabile adeguare le risposte degli specialisti alle domande (se pertinenti) dei profani in ansia. Diminuendo l’ansia si aumenterebbe la fastidiosa aspettativa di vita (un lavoro supplementare per l’INPS) ma si ridurrebbero le inutili discussioni circoscritte agli specialisti (del tipo “c’è la foto dell’orso morente, ma si vede che era già vecchio”), permettendo al cittadino medio di partecipare ai dibattiti e di farsi una cultura seria che gli permetta di cambiare canale alle nove del lunedì quando l’ormai insopportabile omino dal papillon viene a spiegare furbescamente anche la differenza tra plastica da petrolio e plastica da patate. A proposito: visto che i moti ondosi ci fanno il favore di raggruppare in modo ordinato un’estensione di plastica galleggiante grande come l’Australia (lo dice il “bel fisico” Rossi-Albertini, non io o i miei decrepiti colleghi), non potremmo mettere qualche decina di “scienziatelli” a studiare e attuare mezzi e metodi di smaltimento, riciclo, di massa di tale spazzatura, invece di appesantirla con continue lacrime ambientaliste? Infine una preghiera personale di inizio anno: tutte le persone serie, cioè che si ritengano degne di contribuire a questo e altri “blog”, contribuiscano a una campagna forte e incisiva contro l’anonimato, che, a causa della mia antica educazione, mi ricorda solo bambini e delinquenti. L’affermazione che segue non c’entra ovviamente col clima, ma una discussione a viso aperto raddoppia il proprio valore sociale e scientifico e la divulgazione del sapere (civiltà) . ne trae un grande vantaggio. Ho tanta fiducia nel buon senso delle persone oneste che prima di morire conto di vedere promulgate leggi contro i truffatori o semplici fanfaroni del WEB. Un’altra preghiera agli scienziati di buona volontà è che non maltrattino la lingua italiana (e neanche quelle straniere che si dilettano a usare), ma dopo la recente scoperta della laureata (poco) AFferrata in fisica e chimica, col pieno consenso dei laureati, anche in lettere, che frequentano il blog, mi sono detto che forse è chiedere troppo e lo riservo all’augurio per il 2019.
Grazie per il consenso a sbirciare nei misteri del clima e auguri.
Giusto Buroni
via Tassoni, 22 Milano.
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grafico aggiornato delle perdite materiali causate da eventi meteorologici estremi in relazione al PIL globale (GDP)
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Bah, l’autore del grafico deve un mangiatore di polli di Trilussa. Non mi riferisco all’attendibilità del trend, ma al senso del rapporto perdite/pil globale…
Lo trovi strano? Il PIL, con tutti i suoi limiti, esprime il livello di ricchezza, ovvero di beni materiali che possono essere perduti. Siccome questi beni aumentano, se il trend è negativo vuol dire che aumenta la resilienza. Questa è una buona notizia, ed evito di fare considerazioni sugli eventi per rispettare il caveat di Pielke.
gg
Il riscaldamento globale esiste solamente in valpadana
Alessandro meglio avere i sensori a portata di mano, dove c’è un minimo di civiltà. Gestire la logistica dei sensori non è proprio facile nemmeno in Valpadana…chetelodicoafare d’inverno a più alte latitudini o nella pianura siberiana dove gli danno di gas da riscaldamento a iosa e le stazioni sono poche?
Il 2017 ha visto un numero di eventi estremi senza precedenti!
Già la voce circolava nel circo AGW cambioclimatista, ma adesso ci sono anche i numeri a confermarlo, per cui …. chi li ferma più?
Ci aspetta un pessimo 2018! 🙂 🙂 🙂 ………
Ciao, Donato.
Guido, basta una bella linearizzazione applicata agli ultimi 3 anni e il gioco è fatto! 🙂