La stagione appena conclusasi ha segnato il ritorno degli uragani atlantici sulle coste degli Stati Uniti, dopo un’assenza straordinariamente lunga e, con ottima approssimazione, assolutamente casuale. Ben due cicloni, Irma e Harvey, hanno compiuto l’atterraggio sulla terraferma, provocando danni decisamente ingenti.
Tuttavia, considerata l’attenzione che da quelle parti si mette normalmente nelle attività di prevenzione e protezione, è altamente improbabile che sia stata abbassata la guardia. Piuttosto, come già ampiamente dimostrato dalle attività di ricerca sull’argomento, la crescita economica, l’inurbamento delle coste e l’aumento della popolazione hanno aumentato a dismisura il livello di potenziale danneggiamento.
Nonostante esista una climatologia ben definita che descrive quali siano le aree maggiormente esposte al rischio, le code della distribuzione statistica degli eventi dimostrano che in buona sostanza nessun tratto della costa orientale USA può essere ritenuto davvero sicuro. Questo vale sia in termini climatici, cioè se riferito ad una o più stagioni, sia meteorologici, se riferito al singolo evento, data la difficoltà che ancora sussiste nel determinare con sufficiente anticipo quale possa essere il punto esatto di “atterraggio” di un ciclone quando si approssima alla costa.
Stando a quanto riportato dalla ricerca che vi segnalo oggi, gli sforzi fatti per aumentare la resilienza, tuttavia, non hanno portato i risultati sperati. Gli autori hanno messo a punto un modello di simulazione dell’impatto degli uragani utilizzando un sistema di reti neurali nutrito, oltre che con i parametri atmosferici che caratterizzano gli eventi, anche con la descrizione degli elementi che descrivono la preparazione a riceverne l’impatto di un tratto di costa piuttosto che di un altro. Lo strumento è un indice di potenziale distruttivo delle tempeste che racchiude tutti questi fattori. Sicche analizzando i cicloni tropicali più distruttivi e letteralmente spostandoli nello spazio e nel tempo, si scopre che tutti questi eventi, se arrivassero oggi è ovunque dovessero colpire, non troverebbero una situazione più resiliente. Quindi, scrivono sempre gli autori, i progressi fatti non sono sufficienti e, in alcuni casi e per alcuni luoghi la situazione è invece peggiorata.
Lo studio è su Nature ed è liberamente accessibile: Spatial and temporal variations in resilience to tropical cyclones along the United States coastline as determined by the multi-hazard hurricane impact level model. Anche Science Daily gli ha dedicato un commento: Beyond wind speed: A new measure for predicting hurricane impacts.
Interessante, buona lettura.
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