E al fin giungemmo all’agognata fine della più inutile delle COP. All’alba del 18 novembre 2017 dopo circa due settimane di negoziati ed una maratona finale di 24 ore di convulse trattative, il cui unico scopo è stato quello di evitare una figur… accia globale, la COP 23 ha chiuso i suoi battenti.
Sono piuttosto amareggiato, lo ammetto ed il tono del mio esordio lo dimostra. Ho speso decine d’ore per cercare di capire cosa succedesse a Bonn e, ogni volta, che cercavo di redigere un minimo di resoconto degli avvenimenti, mi ritrovavo a parlare di Trump, dei governatori della California (attuale e precedente), di Bloomberg e di amenità varie, ma poco o niente dei punti cardine intorno a cui doveva svolgersi la trattativa. I draft messi a disposizione del pubblico dai solerti funzionari dell’UNFCCC, brillavano per vacuità e inconcludenza. La complessità del meccanismo decisionale ed il gergo con cui venivano redatti i report (studiato apposta per non farti capire nulla), contribuivano ad accentuare una forte sensazione di inadeguatezza. Alla fine la frustrazione è grande e si ha l’impressione di non essere in grado di capire.
Allora ti affanni a cercare in giro per vedere se c’è qualcuno più in gamba di te e vedi che non trovi nulla. Ti viene il dubbio di aver perso anche la capacità di fare una ricerca in Internet e ti innervosisci ancora di più. Alla fine ti arrendi all’evidenza: a Bonn non è successo proprio niente, il vuoto assoluto. E’ dura arrendersi all’evidenza, rendersi conto di aver sprecato tempo ed energie, ma alla fine la cruda realtà è tale da eliminare ogni dubbio.
Oggi, dopo quasi due settimane di sofferenza, posso mettere fine alle mie angosce e stilare un brevissimo bilancio della COP23.
I risultati ottenuti dalla Conferenza sono stati 4 (dico quattro).
- Approvazione di un piano d’azione per la parità dei sessi. Non so cosa diavolo c’entri con il clima, ma pare che anche nella lotta al clima che cambia e cambia male le donne sono svantaggiate, per cui è necessario riequilibrare i numeri.
- Riconoscimento del ruolo dei “Primi Popoli” nella lotta al cambiamento climatico, nella conservazione della bio-diversità e nella salvaguardia dell’ambiente in generale. I popoli autoctoni non saranno più un ostacolo, ma una risorsa. Bene, concordo.
- Sblocco del gruppo di lavoro sulla sicurezza alimentare e sull’agricoltura. Dopo sei anni di infruttuose trattative, alla COP23 è stato riconosciuto che il cambiamento climatico aggrava l’insicurezza alimentare delle popolazioni più fragili e, contemporaneamente, che le pratiche agricole correnti incidono sulle emissioni di gas serra per circa il 21% del totale. Ciò significa che bisognerà incidere pesantemente su questo settore, in modo da ridurne le emissioni. Mi sa che la riduzione delle emissioni mal si concilia con l’aumento della sicurezza alimentare, ma questa è una mia idea, su cui qualcuno degli amici di CM potrà dire molto di più e meglio.
- “Sorpasso” effettuato da parte delle realtà locali (regioni, città, comuni, tribù, ONG e via cantando), alle rappresentanze ufficiali degli Stati. Negli eventi collaterali alla negoziazione vera e propria si è potuta registrare una ricchezza di idee, un entusiasmo ed una voglia di agire che è mancata del tutto tra i delegati. Meglio che le prossime COP le facciano questi soggetti, ma a che varrebbero?
Per tutto il resto il fallimento è stato totale. Elencare tutti i fallimenti della COP23 sarebbe lungo ed impietoso, per cui mi limiterò a quelli più eclatanti. Il primo riguarda lo scopo stesso della COP23: doveva trattarsi di una conferenza in cui bisognava redigere il “regolamento attuativo” dell’Accordo di Parigi e, quindi, passare dagli impegni roboanti, ma inefficaci, alle azioni pratiche per attuare quegli impegni. Alla fine ci siamo trovati di fronte ad un “dialogo” che dovrà durare tutto il prossimo anno e che dovrebbe creare le condizioni per scrivere queste regole a Katowice, in Polonia, nel dicembre 2018. Qualcuno lo reputa un successo, per me rappresenta un misero fallimento.
Molti reputano un successo della Conferenza quello di essere riusciti ad individuare i temi su cui decidere il prossimo anno: si tratta dell’Allegato 1 alla dichiarazione di chiusura della COP23. Qualche immaginifico commentatore lo ha definito lo scheletro della normativa che renderà vincolante l’Accordo di Parigi. Per me si tratta dell’ennesimo, inutile elenco delle buone intenzioni.
L’assoluto disinteresse intorno alla Conferenza delle Parti di Bonn è stato impressionante. A Bonn, dicono gli osservatori, non c’erano giornalisti o, ad essere precisi, se ne vedevano pochissimi. Per quel che può valere la mia testimonianza, posso assicurare che la copertura dei media generalisti italiani, ma anche esteri, è stata molto scarsa se non addirittura assente. Solo The Guardian e Liberation hanno garantito un poco di copertura all’evento tedesco. Anche dal punto di vista della politica il disinteresse è stato totale: solo Macron e Merkel si sono visti alla COP 23 ed in modo fugace. Il primo perché doveva tenere alto il nome dell’Accordo di Parigi che i francesi considerano una propria creatura, la seconda perché era la padrona di casa. Per il resto solo figure di secondo livello che nulla potevano dare alla COP. Ed in questo clima di depressione assoluta non stupisce che nulla sia stato fatto. Non è stato deciso nulla circa il meccanismo di risarcimento dei danni e delle perdite, non è stato deciso nulla, sul finanziamento delle misure di compensazione per indurre i Paesi in via di Sviluppo a ridurre le emissioni, non è stato deciso nulla, circa la trasparenza dei finanziamenti da concedere per la realizzazione delle misure di mitigazione ed adattamento.
Ciò che ha fatto bella mostra di sé alla COP 23, è stato l’egoismo dei Paesi sviluppati. Gli USA, primo contribuente di tutte le iniziative economiche da intraprendere, hanno badato ai propri interessi e si sono ben guardati dall’assumere impegni: si sono limitati a dire che loro non erano disposti a cacciare soldi, ma non avevano nulla in contrario a che altri lo facessero. Gli altri Paesi sviluppati si sono sfilati, con la scusa di non poter assumere impegni di qui a dieci anni perché nel frattempo i governi e le condizioni economiche potevano cambiare e, quindi, non essere in grado di onorare gli impegni presi. I Paesi in via di sviluppo si sono ritrovati con un pugno di mosche e, quindi, si sono ben guardati dall’assumere impegni per tagliare le loro emissioni di gas climalteranti. Più fallimento di così si muore.
Prima che iniziasse la COP23 ho ascoltato le roboanti dichiarazioni dei rappresentanti dell’UE e degli altri Paesi occidentali: faremo a meno di Trump, chi è costui che osa mettersi contro il resto del mondo, uno contro tutti. Ci sostituiremo agli USA nella leadership della lotta ai cambiamenti climatici, dimostreremo agli USA di che pasta siamo fatti, dichiaravano baldanzosi. Oggi si imputa il fallimento della COP23 alla mancanza di una leadership forte e determinata. Apparentemente questo rappresenta il trionfo di Trump, ma non è così in quanto gli USA alle COP, a mia memoria, hanno avuto un comportamento lineare: non si sono mai fatti ingabbiare in impegni internazionali lesivi dei loro interessi. Ieri con Bush ed Obama, oggi con Trump, domani con Tizio per gli USA conteranno sempre e solo i loro interessi e niente altro.
Tutti gli altri Paesi hanno dimostrato di essere dei comprimari. La Cina che molti avevano visto come il sostituto degli USA nella guida alla lotta ai cambiamenti climatici, è stata praticamente invisibile. L’UE doveva affiancare la Cina nella guida della COP, ma essa non è stata all’altezza della situazione per il semplice fatto che alla COP erano presenti tutti i suoi 28 Paesi membri che, notoriamente, marciano in ordine sparso per cui si conferma il vecchio adagio che essa è un gigante economico, ma un nano politico.
Per il futuro? Dense nuvole si addensano all’orizzonte. La prossima COP si terrà in Polonia che fonda buona parte della sua produzione energetica sul carbone e sul gas di scisto importato dagli USA e che vorrebbe produrre anche autonomamente. E’ stata la Polonia a bloccare molte delle iniziative di decarbonizzazione europee e la ratifica dell’emendamento di Doha. Come presiederà la COP24 dal centro del bacino carbonifero polacco dove essa si svolgerà nel 2018? L’unica speranza per i salvamondo è il Dialogo di Talanoa. Non è molto, ma la speranza è l’ultima a morire.
Arrivederci a Parigi il 12 dicembre prossimo per gli “esami di riparazione” della COP23!
Hanno tirato su tendoni gonfiati con aria, e riscaldati tramite gruppo elettrogeni… a combustibili fossili, come puoi vedere qui:
https://www.therebel.media/at_un_climate_change_conference_delegates_warmed_by_fossil_fuels
Predicano bene ma razzolano male. 🙂
Donato, dal primo dei tuoi link leggo questo titolo di paragrafo:
Dalla Cop 24 di Katowice dipenderanno le sorti del mondo. Adesso siamo tranquilli: per fortuna c’è sempre il prossimo evento (n+1) che risolverà tutto quello che i precedenti n eventi non sono stati capaci di risolvere. Evviva!
. Ciao. Franco
Ma almeno il tempo era bello a Bonn o faceva freddo, era grigio e tirava vento?
Variabile. 🙂
Ciao, Donato.
Sono molto sorpreso. Da mie ricerche su internet ho visto il cosiddetto bicchiere mezzo pieno…
Filippo, possiamo vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, ma io preferisco attenermi ai fatti. Ed i fatti sono quelli scritti nei documenti originali della Conferenza. La dichiarazione finale è quella che è, c’è poco da interpretare: doveva essere un regolamento attuativo, ma non lo è; doveva individuare chi erano i finanziatori e per quali cifre e non lo fa; doveva dire chi e di quanto doveva tagliare le emissioni e non lo fa. Il resto sono chiacchiere, buone intenzioni e rinvii alla prossima volta. Poco, molto poco per parlare di bicchiere mezzo pieno. Almeno secondo me.
Ad ogni buon conto i commenti di questi siti che non possono certo essere tacciati di essere scettici, sono piuttosto significativi:
https://www.lifegate.it/persone/news/cop-23-fiji-bonn-finale
http://www.rinnovabili.it/ambiente/cop-23-chiude-senza-botto-333/
http://www.rinnovabili.it/ambiente/clima-perdite-danni-333/
Ciao, Donato
Donato, in sintesi, dice: ci voleva una pianificazione qualitativa concreta (chi fa cosa, con che risorse e quando).
Però capite bene la difficoltà: dieci giorni fa sono stati i francesi a rimandare ogni piano concreto sull’obiettivo 2020; oggi leggo sul Corriere, a proposito delle difficoltà che la Merkel sta incontrando per formare un governo, che le si possono imputare cinque errori, tra cui quello energetico:
La politica energetica tedesca, vanto della Klimakanzlerin, è sostanzialmente un flop. I sussidi alle fonti alternative accoppiati all’uscita dal nucleare (entro il 2022) sono stati costosissimi (per gli utenti elettrici soprattutto) e hanno distorto i meccanismi del settore. Il risultato è stato che la Germania non rispetterà l’obiettivo di tagliare del 40% le emissioni di gas serra entro il 2020, rispetto al 1990 (siamo al 27-30%), e che anzi negli scorsi due anni le emissioni tedesche sono aumentate per il maggiore ricorso al carbone.
http://www.corriere.it/esteri/17_novembre_21/i-5-errori-angela-merkel-fine-un-era-6cbd39e2-ce34-11e7-a3ca-40392580f143.shtml
E stiamo parlando di Francia e Germania. Chi è che potrebbe fare meglio?
Grazie, Donato, per il tuo prezioso contributo che ci ha tenuti informati di quello che succedeva (o dovrei dire, che NON succedeva?) a Bonn.
Mi sembri quasi rammaricato, ma io invece sono ben felice di questo fallimento. Quando le cattive idee falliscono, non ce ne dovremmo dispiacere.
E questa idea di essere capaci (a costi proibitivi) di governare il clima, mi sembra veramente presuntuosa e priva di fondamento.
“Quanti gradi di più o di meno vuoi ?”
“Dipende, quanto costa un grado ?”
😀
Beh, se avessero il termostato in mano, avrebbe senso.
Ma visto che, secondo me, vorrebbero governare il clima agendo su una forzante assolutamente secondaria, vedo solo soldi buttati dalla finestra. Soldi che potrebbero essere usati per cose più utili all’umanità. Anzi, per cose “utili”. Al di là di incentivi a tecnologie fuori mercato, e provvedimenti che rischierebbero di far tornare lo spettro della fame, per molti popoli che da poco l’hanno superato, non ci vedo nulla di utile per l’umanità, anzi solo cose dannose.
Quanto ci sono costate queste COP ? Cosa hanno prodotto di utile ?
Dipendesse da me, annullerei la prossima COP e, se ne avessi il potere, i soldi li userei per azioni di prevenzione contro vari rischi veri. Per esempio, facendo una buona manutenzione della rete fognaria, degli acquedotti, ecc.
Ci sarebbero anche altre cose da fare, ma non sono di pertinenza né del clima, né del tempo meteorologico, e quindi non ne parlo qui.
Guido, non sono rammaricato in quanto mi aspettavo questo risultato. Il problema è un altro.
Vedere questa struttura elefantiaca che si avvita su se stessa come un serpente che si contorce, nella spasmodica ricerca di una soluzione che si sa in anticipo non verrà trovata, ti lascia sempre con l’amaro in bocca. Ti fa pensare all’inutilità di queste strutture sovranazionali sia in campo climatico che non e alla fine ti viene il dubbio che siamo proprio conciati male.
E pensi: vale la pena di spendere tante energie per seguirle?
La risposta è no, ma poi vedi l’ipocrisia di chi in questo fallimento generale ha il coraggio di vedere dei successi e ti consoli un po’ in quanto pensi di essere riuscito a gettare un po’ di luce sulla realtà dei fatti.
Insomma un po’ di rimpianto, un po’ di rabbia, un po’ di soddisfazione e tanto disincanto. 🙂
Ciao, Donato.
Ringrazio anch’o Donato Barone per l’ottimo servizio relazionale.
Finalmente anche questa ennesima “fiera di paese” si è conclusa e speriamo che possa essere l’ultima, grazie al rinsavimento che potrebbe sempre intervenire, anche prima di arrivare in Polonia, dove potrebbe avere il colpo di grazia.
Riguardo agli pseudo risultati elencati:
– Sui primi due sorvolo in quanto sembrano del tutto avulsi dall’argomento. Ma comunque sempre utile considerare i due elementi, non le supposte correlazioni.
– Riguardo al terzo, l’amico Luigi Mariani ha fornito dei dati che rendono davvero giustizia e dimostrano l’assurdità delle posizioni di questi stipendiati vacanzieri che continuano ad ubriacare l’opinione pubblica con le loro fuorvianti teorie, peraltro davvero assurde e costosissime.
– In merito al 4 punto, ben venga l’iniziativa di queste entità minori che, probabilmente, meglio comprendono quelle che sono le loro necessità, a prescindere dagli eventi climatici sui quali l’uomo può solo cercare di difendersi.
Un obiettivo che costoro potrebbero davvero proporre e sostenere per l’eventuale prosieguo di queste comparsate sarebbe quello di chiedere ai sostenitori del meccanismo di Parigi è quello del varo di un nuovo 2Piano Marshall” in questo caso focalizzato sull’energia e la fame nel mondo.
Rendere disponibili le risorse (con un’aliquota parametrata al PIL dei Paesi del G20, che finanzi:
– la realizzazione di infrastrutture energetiche con l’impiego delle più avanzate tecnologie: Centrali termoelettriche di ultima generazione che consentano di rendere infine disponibile l’elettricità a quegli 1,3 miliardi di esseri umani che ancora non ne dispongono nei troppi Paesi sottosviluppati;
– il trasferimento di quelle tecnologie per un’agricoltura moderna che consenta di aumentare le rese agricole e con questo fornisca le risorse per sfamare quei circa 800 milioni di esseri umani che la stessa FAO elenca e per i quali non è stata ancora in grado di trovare una ragionevole e concreta soluzione.
Il beneficio per questi aiuti darebbero certo risultati concreti per affrontare e risolvere in gran parte quei gravosi problemi, ma nel contempo, darebbero un ritorno di risultati utili a tutti e soprattutto ai Paesi avanzati che avranno permesso di affrontare questi drammatici veri problemi,
Lasciamo da parte le fobie climatiche di quegli vacanzieri e chiediamo loro di fare qualcosa di concreto prima di tutto per se stessi, senza gravare sulle spalle di tutti noi, con i gravosi ed in molti casi inutili costi indotti dalle loro fuorvianti teorie.
“Finalmente anche questa ennesima “fiera di paese” si è conclusa e speriamo che possa essere l’ultima …”
.
Non credo proprio. In ogni caso il prossimo anno sarà quello della verità. Un fallimento in Polonia (mancata individuazione delle risorse, dei contribuenti, dei meccanismi “L&D”, dei nuovi NDCs e di un meccanismo trasparente per la verifica del rispetto degli impegni assunti) potrebbe rappresentare, però, l’occasione per un profondo ripensamento delle politiche climatiche mondiali.
Il prossimo 12 dicembre a Parigi avremo già qualche indizio e a metà del prossimo anno potremo, forse, avere qualche idea sullo stato d’avanzamento del dialogo di talanoa.
Per il resto proposte condivisibili, ma troppo pratiche e troppo precise: non fanno parte del modus operandi dell’ONU. 🙂
Ciao, Donato.
Roberto, hai perfettamente ragione sia sulla scarsa comprensibilità del testo, sia sull’indeterminatezza delle soluzioni proposte: per questo è un fallimento. Il testo non è, però, del tutto privo di significato. Mi spiego meglio. Chi lo ha scritto, lo ha fatto con grano salis. Dai un’occhiata al punto 20, l’ultimo del testo:
“Takes note of the estimated budgetary implications of the activities to be undertaken
by the secretariat referred to in this decision and requests that the actions called for in this
decision be undertaken subject to the availability of financial resources.”
In questo punto si vede l’avvocato! 🙂
Fate quello che volete, ma state attenti a che ci siano le risorse disponibili!
Questo è , per dirla all’americana, l’ultimo chiodo sulla bara. 🙂
Le chiacchiere sono tante, le ambizioni pure, la solidarietà non ne parliamo, le sorti del pianeta sono prioritarie, la CO2 è peggio della peste, ma se fate qualcosa state attenti a che ci siano i soldi. E visto che di soldi non ce ne sono (salvo pochi spiccioli che a mala pena riescono a far funzionare tutto il baraccone), significa che non si può fare nulla.
Resta, però, il dialogo di talanoa che metterà tutto a posto. Mah!
Ciao, Donato.
La risoluzione finale:
http://unfccc.int/resource/docs/2017/cop23/eng/l13.pdf
Fuffa auto-referenziale scribacchiata da qualche avvocato. A tratti incomprensibile.
A tratti comica, come in…
“Emphasizing that enhanced pre-2020 ambition can lay a solid foundation for enhanced post-2020 ambition.
??? Ambition? Unita’ di misura? Ma non dovrebbe essere un documento scientifico?… il paese X risparmia tot emissioni, quello Y aumenta la produzione agricola di tot tonnellate/anno, etc?… Questi qui dopo 23 fiere di paese con migliaia di partecipanti scarrozzati in hotel di lusso ai 4 angoli del mondo sono ancora alle ‘ambizioni’ non quantificate???
Stanno ridefinendo il concetto di braccia sottratte all’agricoltura, nulla di più.
Talanoa sia con voi! 🙂
o Where are we?
o Where do we want to go?
o How do we get there?
Ma cos’è?… il manuale d’uso del TomTom?
Non posso credere che abbiano scritto davvero certe cose. 🙁
Domanda: ma quanta gente mangia e campa su questi inutili consessi?
Migliaia, Luca, migliaia!
Ciao, Donato.
Caro Donato,
moltissime grazie per report che hai fatto sul COP23.
Il pronunciamento sulla parità di genere e la storica decisione sui popoli autoctoni mi sembrano grandissimi risultati: “Tres dur, tres bon” avrà commentato un Macron in vena di grandeur.
Circa poi l’agricoltura segnalo i seguenti dati strutturali: come vedi dal diagramma allegato il settore ogni anno emette 1,4 GTC di carbonio ma ne assorbe 15,8 GTC (contro 9,8 GTC di emissioni umane complessive) operando su 1,4 miliardi di ettari di arativi. Se invece nel 1960 si fosse deciso di rifiutare l’innovazione tecnologica optando per le agricolture passatiste (biologico e biodinamico, che poi sono le agricolture per cui immagino stravedano i COPisti) oggi dovremmo operare su 3,2 Miliardi di ettari di arativi e così facendo emetteremmo ogni anno 6 GTC di carbonio (Burney et al., 2010) e avremmo al contempo distrutto una quantità enormi di ecosistemi, che invece abbiamo preservato grazie all’innovazione tecnologica che si è tradotta in intensificazione colturale e maggiore sicurezza alimentare (la percentuale di popolazione mondiale sotto la soglia di sicurezza alimentare è scesa dal 37% del 1970 al 10,5% del 2015 secondo dati FAO).
Da questi dati deduco che puntare sull’innovazione tecnologica per potenziare il ruolo di sink per il carbonio atmosferico di agricoltura e foreste sarebbe più che mai strategico, ma temo che i COP di strategico vi sia solo la tutela degli interessi delle varie lobby che sono là rappresentate (ambientalisti, green economy, ecc.).
Luigi
Burney J.A., Davis S.J., Lobell D.B. 2010. Greenhouse gas mitigation by agricultural intensification, Proceedings of the National Academy of Sciences, 107, 12052-12057
Immagine allegata
‘Da questi dati deduco che puntare sull’innovazione tecnologica per potenziare il ruolo di sink per il carbonio atmosferico di agricoltura e foreste sarebbe più che mai strategico,’
Stai scherzando? Bisognerebbe utilizzare, come già si fa peraltro, gli OGM…. te l’immagini l’opposizione delle organizzazioni ‘ambientaliste’, a partire dalle nostre???
No, no… meglio invocare talanoa, le encicliche papali, le idee farlocche di Bloomberg e Jerry Brown, etc…
Caro Luigi, quando nel post ho scritto che sul problema dell’agricoltura qualcuno su CM poteva dire di più e meglio di me, pensavo proprio a te. E tu hai detto più e meglio di me. Grazie per il tuo intervento che colma una lacuna del mio post. Credo, però, che sull’argomento torneremo a breve. 🙂
Ciao, Donato.
Dici: “ne assorbe 15,8 GTC (contro 9,8 GTC di emissioni umane complessive) “. Ma quanto sarebbero le emissioni e gli assorbimenti naturali, se fosse terreno incolto (foresta, steppa o quel che sarebbe)? Chiedo perché, venendo dal campo energetico ed essendo questo sempre il primo imputato delle emissioni di CO2, anche se poi la maggioranza viene dal resto e soprattutto da veicoli e uso del suolo, sono abbastanza curioso di capire come vengano stilati i bilanci globali di emissioni (e perché l’uso del suolo sia considerato nelle emissioni, e non abbia un assorbimento per compensare almeno in parte).