Siamo ormai alla mezzanotte (ora italiana) del 17 novembre 2017, ma non sembra che la COP23 sia conclusa o, ad essere precisi, il documento finale contenente le conclusioni è ancora a livello di draft. Ciò è quanto risulta sul sito ufficiale della Conferenza. Il progetto di conclusioni riesce, però, a dare un’idea dell’esito della COP23.
Nei vari post che ho scritto sull’argomento ho sempre fatto presente che non mi sembrava di vedere concreti passi avanti nelle trattative e il documento finale della Conferenza sembrerebbe darmi ragione: non vi è alcun impegno concreto circa il finanziamento delle attività di mitigazione e di adattamento e circa i meccanismi di compensazione delle perdite e danneggiamenti di cui al protocollo di Varsavia. Secondo alcuni osservatori del meccanismo “loss and damage” non si è iniziato neppure a discutere alla COP.
Dello stesso avviso anche diversi delegati alla COP che hanno rilasciato le loro dichiarazioni a Liberation. Malian Seyni Nafo, leader del gruppo dei paesi africani, si è lamentato con una colorita metafora: sembra che il cuore non sia a Bonn. Egli ha fatto notare come con l’uscita di Trump dall’Accordo di Parigi, le cose sono cambiate in peggio. Gli Stati Uniti hanno, infatti, grande influenza sui Paesi sviluppati e sono in grado di determinare il comportamento dei Paesi in via di sviluppo. Nel corso dei negoziati tutti hanno potuto notare l’atteggiamento di attesa delle Parti. E’ quel che succede quando uno dei principali giocatori non partecipa alla partita: non c’è più emulazione. Il diplomatico si chiede, infine, perché far ricorso a questo “dialogo facilitativo” e non aumentare direttamente le ambizioni. Il problema è, secondo lui, che al tavolo dei negoziati sono mancati i veri protagonisti, cioè i politici. Il rappresentante dei Paesi Africani conclude dicendo che la situazione è molto cupa.
Non appare molto diverso il pensiero del ministro delle Maldive Thoriq Ibrahim che giovedì faceva notare come le difficoltà emerse nella COP, fossero in parte dovute al disimpegno del primo emettitore storico del pianeta. Tradotto in parole più prosaiche: se il primo contribuente al fondo destinato al risarcimento di danni e perdite si sfila, a chi si chiedono i soldi?
Sulla base di queste dichiarazioni e sulla base della bozza di documento finale della conferenza, il giudizio appare scontato: un altro fallimento. Come interpretare, infatti, la necessità di un dialogo tra le Parti così strutturato come il dialogo di Talanoa che costituisce tutto l’Allegato 2 della dichiarazione finale? Come interpretare il fatto che il segretariato dell’UNFCCC deve creare una piattaforma informatica per consentire alle Parti di scambiarsi opinioni sulle materie di cui all’Allegato 1 del medesimo documento? Come interpretare il fatto che sia necessario un ulteriore summit a Parigi fra meno di un mese ed un supplemento di COP in luogo e data imprecisati nel corso del mese di maggio del prossimo anno? Per me si tratta della certificazione di un nulla di fatto. E lo sconsolato commento, sempre su Liberation, del Ministro della transizione verde Francese, lo dimostra: il 2018 sarà l’anno della verità ed il merito della COP23 è stato quello di aver messo ordine nell’agenda.
Mi sembra che il ministro francese abbia sintetizzato magnificamente il risultato della COP23: ha chiarito tutti i punti che dovranno essere decisi nel corso della prossima COP24 che si svolgerà in Polonia nel dicembre del prossimo anno. Senza però decidere su nessuno di essi.
Ovviamente c’é anche chi considera la COP23 se non un successo un notevole passo avanti verso il successo che sicuramente sarà registrato in Polonia l’anno venturo. E’ il caso, sempre su Liberation, di L. Tubiana che tanto si adoperò a Parigi per raggiungere l’Accordo del 2015: “Questa COP è stato un momento di completa fusione tra governi, autorità locali, imprese”, riuniti in una vasta area non lontana dalle sale dove si svolgevano i negoziati.
E’ questo, infatti, ciò che gli ottimisti considerano il successo della Conferenza: il sorpasso delle delegazioni ufficiali da parte delle realtà locali, delle città e delle tribù. A questo punto mi chiedo per quale motivo, vista l’importanza di queste realtà, alla prossima COP non invitano regioni, governatorati, città e tribù, lasciando da parte gli Stati? La domanda è, ovviamente, retorica e, quindi, non mi aspetto alcuna risposta.
Chi invece intona il peana della vittoria è l’indomito Guardian che fonda i suoi giudizi trionfalistici sul fatto che finalmente esiste uno “scheletro” solido su cui impostare le politiche di mitigazione del clima. Probabilmente si riferisce al lungo elenco di argomenti che costituisce l’Allegato 1 alla dichiarazione finale della COP23.
Oggi ho fatto un giro su diversi siti che orbitano nell’area delle energie rinnovabili e della protezione dell’ambiente. I toni sono molto dimessi e poco trionfalistici: si elencano quelli che possono essere risultati positivi o negativi della COP23, ma, invariabilmente, i risultati negativi sono sempre più di quelli positivi che, tra l’altro, appaiono molto modesti.
La COP23 è stata, comunque, costellata di cattive notizie. Secondo l’ONU gli attuali impegni statali coprono appena un terzo delle necessarie riduzioni dei gas serra e, per giunta, nel 2017 le emissioni di gas serra hanno ripreso a salire dopo 3 anni di stasi.
Chi è rimasto molto deluso dai risultati della COP23 è stato, però, J. Hansen che si è visto tenuto ai margini della Conferenza: non gli hanno consentito neanche di parlare ai delegati. Egli si è dichiarato stufo di tutti questi negoziati ed ha invitato tutti a far ricorso ai tribunali che, a suo giudizio, sono molto meno sensibili alle pressioni delle lobby del fossile. Tale il senso di alcune sue dichiarazioni al Guardian. Effettivamente deve essere frustrante per colui che può considerarsi il padre della teoria del cambiamento climatico di origine antropica, vedersi trattare in questo modo.
Aggiornamento: alle 0.30 GMT del 18/11/2017 (1,30 ora locale) è stato pubblicata la versione 2 del progetto di risoluzione finale della COP23. La cosa significa che io me ne vado a dormire e domani, anzi oggi, ci risentiremo ancora una volta. 🙂
Caro Donato,
prima dell’ultima puntata vorrei ringraziarti per la cronaca delle giornate COP23: le tue descrizioni, non solo dei (pochi) fatti ma dell’atmosfera che credo si sia respirata e si respiri a Bonn, sono state esemplari, anche per la moderazione e la serietà che, a mio parere, mostri spesso e volentieri.
Con l’aria di COP23 quasi del tutto priva dei toni trionfalistici delle due precedenti edizioni, questo incontro delle parti mi è apparso dimesso e, se posso dirlo, un po’ in apnea, in attesa della (sperata, forse possibile) defenestrazione di Trump fra 3 anni. Ho creduto di capire anche che l’Europa non è in grado di coprire il “buco” -non solo finanziario- lasciato dagli USA e al massimo riesce a fare solo politiche che riguardano i singoli stati dell’Unione (tranne la Germania), non ad organizzare aspetti di vasto respiro che attraggano i PVS, concentrati quasi soltanto nel battere cassa.
Ciao e ancora grazie. Franco
Caro Franco, la tua sintesi è perfetta: hai colto il senso di tutta la COP23 e sei riuscito a sintetizzarlo in poche righe.
Ciao, Donato.