Questo Blog è stato criticato spesso e volentieri dai pasdaran del Climatismo per un reato passibile di pena di morte: il vilipendio di modello climatico. Una forma moderna di delitto d’onore. Il fatto è che l’onore bisognerebbe almeno prima conquistarselo.
L’audizione dello scandalo
Il 2 Febbraio del 2016 John Christy, pluri-titolato professore americano di Scienze dell’Atmosfera, è stato ascoltato dalla Commissione del Congresso Americano per la Scienza, lo Spazio e la Tecnologia. Un’audizione-bomba, in cui ha fatto a pezzi molti dei mantra del Climate Change Antropogenico, colpendo proprio dove fa più male. Parlando della performance dei modelli climatici dell’IPCC, per esempio.
Pietra dello scandalo dell’audizione è stata in particolare il grafico in Fig.1, in cui una media di 102 modelli climatici dell’IPCC è stata messa a confronto con i dati reali raccolti da satelliti e radio-sondaggi. Risultato: modelli bocciati senza appello, con un margine di errore rispetto ai dati reali che si colloca intorno al 150%. Oltre all’IPCC una speciale attenzione nell’audizione in questione è stata dedicata anche al NOAA, attaccato frontalmente per il famigerato paper di Karl et al. 2015, e uscito altrettanto malconcio da un altro confronto: quello tra i trend delle temperature degli oceani post-Karl (NOAA), i trend satellitari e quelli di HadCRUT4 (Fig.2).
L’onore di NOAA ed IPCC era stato infangato, e l’onta andava lavata, col sangue. La reazione dei diretti interessati è stata affidata ai guardiani della rivoluzione climatico-catastrofista ovvero il Guardian (nomen omen), che in un articolo dai toni a dir poco sopra le righe, ha ripreso e incollato le critiche che Gavin Schmidt, direttore del GISS (NASA) e gran custode dell’ortodossia climatica, aveva mosso al grafico di Christy. Critiche alle quali lo stesso Christy ha controbattuto in una diatriba riassunta bene in questo articolo.
La diatriba in questione si basa essenzialmente sulla contrapposizione tra il grafico di Christy e quello proposto dallo stesso Schmidt, in cui i modelli climatici paiono invece fare un figurone (Fig.3).
Il bue dice all’asino cornuto
In relazione ai grafici in questione, Schmidt accusa Christy di aver giocato con il periodo di riferimento della serie di dati e dei modelli. A questo proposito, vale la pena osservare che il grafico proposto da Schmidt&Guardian in Fig. 3 ricalca sostanzialmente quello del 5th Assessment Report – Summary for Policy Makers dell’IPCC.
E sapete qual è il bello? Che nella versione “draft” precedente a quella ufficiale dello stesso Report il grafico era molto diverso, e confermava la disastrosa performance dei modelli in questione. E come è stato ottenuto il ribaltone? Elementare Watson: spostando verso il basso l’envelope dei modelli climatici nel grafico incriminato, con la giustificazione che era stato scelto un periodo di riferimento differente: ovvero la medesima accusa che Schmidt&Guardian muovono a Christy. Viene il dubbio che esista qualche forma di copyright anche sulla metodologia di aggiustamento di grafici scomodi.
In riferimento al blitz in questione, tra l’altro, vale la pena fare il confronto tra le conclusioni del Draft del Report citato, e quelle finali. Nel Draft si leggeva: “I modelli non riescono a riprodurre la riduzione del trend di riscaldamento negli ultimi 10-15 anni”. Nella versione finale, invece, a seguito dal miracoloso abbassamento dell’envelope si legge: “…le osservazioni fino al 2012 generalmente cadono all’interno delle proiezioni modellistiche”.
Dev’essere così che funziona una scienza settled: è settled solo per qualche settimana, basta scegliere il “periodo di riferimento giusto”. Proprio come per i grafici dell’IPCC.
E la performance dei modelli?
Il grafico di Schmidt&Guardian, nonostante il miracolo dell’abbassamento improvviso dell’envelope, conferma nella sostanza le conclusioni dello stesso Christy, giacché sia UAH che RSS 3.3 (della revisione 4.0 abbiamo già parlato) sono quasi completamente fuori dall’envelope stessa a fine serie, con la mediana dei modelli che sovrastima il riscaldamento di circa il 100% rispetto ai dati satellitari citati.
Ma altri scienziati si sono cimentati nell’impresa di stimare la performance dei modelli, con risultati sostanzialmente sovrapponibili.
- Nello studio di Scafetta et al. 2017, già citato in un articolo comparso pochi giorni fa sul Blog, il confronto tra modelli e dati reali è impietoso, nonostante l’aiutino (aiutone) del super-Nino del 2016 (Fig.4). Eppure un modo per rendere i modelli più performanti Scafetta l’ha trovato: ridimensionare il ruolo della CO2 e della forzante antropica, come evidenziano gli stessi grafici.
- In un articolo comparso nel 2015 sul sito del Cato Institute, Michaels, Lindzen e Knappenberger criticano aspramente il famigerato Karl et al. 2015 (un tiro al piccione, su quello studio). E fanno notare, tra le altre cose, che proprio usando i risultati della revisione ammazza-hiatus di Karl, i modelli climatici ne escono comunque a pezzi, collocandosi al secondo percentile in una distribuzione di 108 modelli dell’IPCC riferiti all’intervallo 1998-2014 (Fig.5).
- Nè si può dire che i tentativi di salvare il soldato IPCC siano mancati: Santer et al. per esempio, hanno pubblicato un paper (2017) che pur ricorrendo a data-set satellitari poco conosciuti, surriscaldati e (a giudizio di Christy) non documentati, e pur avendo escluso deliberatamente i dati dei radiosondaggi, è arrivato alla conclusione che i modelli hanno sovrastimato il riscaldamento “solo” del 70%.
Riassumendo…
I modelli climatici antropocentrici e CO2-dipendenti prodotti dall’IPCC hanno fallito, clamorosamente. Di controverso è rimasta solo l’entità del fallimento, compresa in una forchetta che va dal 150% di Christy al 70% del confronto più benevolo, a base di dati soppressi e data-set di dubbia provenienza. Ma la storia raccontata in questo pezzo va ben oltre un fallimento modellistico che è conclamato e inappellabile.
È la storia di data-set rivisitati a babbo morto con metodologie che fanno dubitare della serietà dei processi di peer-review, di dati satellitari stravolti da una revisione all’altra sulla base di omogeneizzazioni che casualmente esaltano il trend di riscaldamento, di curve che si alzano e si abbassano come capi di biancheria intima, di grafici torturati secondo piacimento cambiando periodi di riferimento o scala di rappresentazione.
È la storia di una scienza in cui non ci si riesce a mettere d’accordo su niente, e niente appare realmente consolidato: dai data-set di partenza, all’entità del fallimento dei modelli di simulazione.
“Scienza settled”, vero? Complimenti a tutti.
A belli i modelli! stanno sbagliando tutti l’outlook termico mensile di dicembre NASA, NCAR, NCEP, ecc.
http://www.lamma.rete.toscana.it/meteo/previsioni-stagionali-outlook
Io ancora non riesco a capire come possa non ritenersi naturale l’attività umana (l’uomo di per sè è un essere vivente naturale) e come questa attività possa essere indipendente dall’intero sistema climatico globale.
Insomma questa idea consolidata dell’ “uomo cattivo” che ha una sua attività che se ne frega di tutto non è la realtà, anzi mi pare che l’impegno per soddisfare i futuri 9 miliardi di persone e tutte le altre specie viventi sia invece una realtà.
Un esempio su tutti molto importante è l’aumento della temperatura superficiale legata sopratutto al contenuto di calore degli oceani su cui si discute, ma non capisco come invece non si discuta con gli stessi toni il raffreddamento continuo della bassa stratosfera:
http://www.nsstc.uah.edu/data/msu/t4/uahncdc_ls_5.6.txt
Alessandro, concordo con te, ma la linea di pensiero principale considera l’attività umana non naturale. NON è giusto, ma è così, per cui se vuoi discutere di queste questioni devi adeguarti. 🙂
Ciao, Donato.
Concordo Donato,probabilmente la linea di pensiero principale è proprio focalizzata lì perchè ci interessa di più la parte di atmosfera in cui viviamo e molto meno tutta la restante.
@ Diego
Rispondo qui per problemi di leggibilità.
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Il contenuto di calore degli oceani è sempre variato nel corso dei secoli e dei millenni. Esistono, pertanto, cause che lo fanno variare che non dipendono dalle attività umane.
In Rosenthal et al., 2013
https://www.researchgate.net/publication/258215955_Pacific_Ocean_Heat_Content_During_the_Past_10000_Years
viene studiato l’andamento del contenuto di calore degli oceani nel corso degli ultimi diecimila anni. La figura 2 del testo mostra chiaramente che il contenuto di calore degli oceani (stimato attraverso le temperature superficiali e profonde desunte da dati di prossimità), è stata per molto tempo maggiore di quella attuale. Questo dimostra, per quel che mi riguarda, che esistono cause naturali che determinano la variazione delle temperature degli oceani e, quindi, del loro contenuto di calore. Quali sono queste cause?
Qui il problema si complica, ma l’albedo planetario, la schermatura delle nuvole, il contenuto di particolato atmosferico, la concentrazione atmosferica di CO2, la concentrazione atmosferica del vapore d’acqua e la quantità di radiazione solare che raggiunge la Terra, sono alcune delle cause naturali che possono alterare lo scambio radiativo tra la Terra e lo spazio profondo e, quindi, determinare variazioni del contenuto di calore oceanico.
Rispetto al passato oggi sembra che il trend di variazione del contenuto di calore degli oceani sia più elevato (Gleckler et al., 2016).
http://www.nature.com/nclimate/journal/v6/n4/full/nclimate2915.html
Si tratta, però, di intervalli di tempo molto piccoli rispetto ai tempi con cui variano le grandezze climatologiche come il contenuto di calore degli oceani per cui ci starei attento a immaginare che in un prossimo futuro le condizioni climatiche della Terra saranno tali da determinare la scomparsa della vita o, più realisticamente, della civiltà umana. Per il semplice fatto che in passato ciò non è successo pur in presenza di contenuti di calore oceanici maggiori o uguali a quelli odierni.
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Mi si potrebbe obiettare che di questo passo il contenuto di calore oceanico raggiungerà valori tali da perturbare in maniera grave (disastrosa, per alcuni) le condizioni di equilibrio del sistema climatico terrestre. Secondo stime piuttosto recenti (Gleckler et al., 2016), il contenuto di calore oceanico dovrebbe aumentare notevolmente, ma si tratta di elaborazioni modellistiche che potrebbero aver sopravvalutato l’evoluzione del fenomeno.
Poiché le variazioni del contenuto di calore degli oceani dipendono dallo squilibrio radiativo del sistema Terra, le variazioni future di questa grandezza dipendono dalla sensibilità climatica all’equilibrio e da quella transitoria. E su questo credo che lei converrà con me che esistono molti punti di vista: per alcuni queste grandezze sono pressoché nulle, per altri si avvicinano a valori a due cifre.
Chi prendiamo sul serio? Gli ottimisti o i pessimisti?
Francamente ho problemi a prendere posizione a favore degli uni o degli altri, ma propendo per i valori inferiori della forchetta (non zero, ovviamente, ma qualcosa intorno all’unità).
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Personalmente sono dell’avviso che l’aumento del contenuto di calore degli oceani dipenda in parte da cause naturali (quelle che ho elencato più sopra) ed in parte da cause antropiche. L’aumento della concentrazione atmosferica di gas serra non può essere estraneo all’aumento del contenuto di calore degli oceani, ma non può essere considerata la causa esclusiva di questo aumento. Quale la percentuale delle cause naturali e quale quella di quelle antropiche?
Onestamente non lo so, ma cerco di capirlo attraverso lo studio delle varie pubblicazioni cui riesco ad accedere (testi ed articoli scientifici). Sulla scorta di quanto ho potuto leggere fino ad oggi, reputo che la responsabilità dell’aumento del contenuto di calore degli oceani sia imputabile per un 40/50 per cento alle attività umane e per la restante parte a cause naturali.
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Circa la redistribuzione del calore contenuto negli oceani ad opera delle correnti oceaniche (circolazione termoalina) concordo con quanto ha scritto nel suo commento.
Ciao, Donato.
La ringrazio davvero, entrambi i link portano a studi molto interessanti.
Grazie ancora
Buongiorno, senza entrare nel merito dei contenuti dell’articolo del sig.Lupicino, del quale ammiro molto le indubbie capacità espositive, volevo soltanto porre una domanda. Noto che, con una certa frequenza, su Climatemonitor viene denunciato da autori e commentatori il fatto che la scienza del clima di autodefinirebbe “settled”. Ebbene, siccome io leggendo e studiando la letteratura non ho mai incontrato tale espressione, per togliermi dalla testa che possa essere soltanto un’interpretazione, qualcuno eventualmente mi saprebbe riportare esattamente le fonti scientifiche da cui si dedurrebbe tale affermazione? Ringrazio e saluto tutti.
Ciao Fabio e grazie innanzitutto. Diciamo che tutto (o quasi) nasce dal famoso/famigerato e sbandierato “consensus del 97%”, di cui si e’ parlato anche su questo Blog ( http://www.climatemonitor.it/?p=43923 ). La narrativa sulla scienza settled comunque e’ piuttosto recente, ed e’ da un paio d’anni che e’ diventata martellante, diciamo piu’ o meno dalla campagna per le elezioni americane. L’esito delle elezioni ha fatto alzare ancora di piu’ l’asticella, visto che le voci di dissenso hanno trovato piu’ facilita’ ad esprimersi, e si e’ posto il problema di doverle silenziare. La narrativa sulla “scienza consolidata” e’ fortissima, specie in lingua inglese dove il termine “settled” e’ associato a “climate” in modo quasi sistematico. Va da se’ che il termine e’ abusato in ambienti extra-scientifici: politici prima di tutto.
Solo per esempio, facendo ricorso a Wikipedia che e’ diventata di fatto l’enciclopedia del mainstream e del pensiero “politically correct” leggerai il seguente passaggio: Many of the issues that are settled within the scientific community, such as human responsibility for global warming, remain the subject of politically or economically motivated attempts to downplay, dismiss or deny them—an ideological phenomenon categorised by academics and scientists as climate change denial.
Wikipedia e’ una cartina al tornasole, per questi argomenti. Addirittura al termine “settled” si accompagna come logico e accettabile il termine orribile “negazionista”. Gli “scienziati” sostengono che e’ “settled”, mentre i politici e le lobby piu’ schifose sono “negazionisti”. Wikipedia Dixit. Direi che questo esempio basta e avanza per farsi una idea di come siamo ridotti.
Lupicino alla luce della sua immensa cultura, saprà anche spiegare la relazione tra negazionisti e ultradestra e fautori dell’AGW e pensiero liberal. Quindi mi svelerà finalmente se è vero che il minestrone è di sinistra e il caviale di destra. Attendo da anni una risposta! Magari i grandi scienziati che qui intervengono potranno aiutarlo.
Francamente non lo so… penso però che la stupidità non abbia un partito di riferimento e sia tutto sommato trasversale…
parole sante!
Forse la risposta da anni non arriva perche’ la domanda e’ abbastanza sempliciotta e posta male. Il mondo non e’ diviso in Black (negazionisti, brutto termine) e White (liberalas, suona molto meglio), ma ci sono anche quelli che pensano con la loro testa e, avendo un (modesto) background scientifico, dopo essersi fatti incantare, dalle sirene delll’ AGW (termine obsoleto, ora ci sono I cambiamemti climatici estremi, sempre antropogenici pero’), hanno deciso di documentarsi.
Io sono uno di quelli: il mio momento sulla via di Damasco e’ stato il “climategate” e la mia metamorfosi non e’ di natura politica, ma semplicemente un passaggio da non interessato/informato ad informato.
Quello che mi irrita e sentire I non informati (come lo ero io) sparare riferimenti ai cambiamenti climatici a sproposito solo perche’ “fa fino” ed hanno un pulpito da cui predicare.
W Giorgio Gaber!
e infatti scriveva che era ovvio che la colpa era di tutti e chi ragionava in termini di black&white era gente poco seria:
https://youtu.be/kZHvXtl4KY0
la differenza in termini assoluti dell’ errore fra il modello il dato misurato , il dato settled, il dato con un errore del 150% o del 70 % e’ inclusa in un range di 1 Grado Celsius su un arco temporale di 100 anni su una dimensione planetaria su un sistema di cui non conosciamo esattamente tutte le variabili su una rete di rilevamento non uniforme nel tempo nello spazio e nella strumentazione.
Per di più mi proponete una previsione su un arco temporale di 100 anni rispetto ad un sistema che subisce variazione dell’ energia incidente con cicli che vanno dagli 11 ai 140000 anni
Per finire sulla base di questo ciclo misurato di ben 100 anni ne prevedo il comportamento per altri 100 con una tolleranza dello 0,01% rispetto al range di temperatura planetaria -/ 50°
Su queste basi si dovrebbe considerare seriamente la possibilità di assumere astrologi al posto di climatologi
[…] Fonte: A belli modelli!!! […]
Nell’unirmi ai ringraziamenti di Donato per tutti i post all’articolo ne approfitto per un’ultima riflessione. Come mostra l’articolo in questione, nessuno ha la verita’ in tasca. La vera notizia, pero’, e’ che esiste un contraddittorio. I link all’articolo permettono di leggere le obiezioni di Schmidt, i toni irridenti e violenti del Guardian ai danni di Christy, la risposta di Christy, il parere dei Lindzen e delle Curry e via dicendo.
Ognuno si puo’ fare un’opinione sulla base dei tanti link contenuti. Sul fatto che i modelli non sono stati in nessun modo capaci di interpretare lo hiatus tra il 98 e il 2014 non ci possono essere dubbi. Cosi’ come sul fatto che ambo le parti hanno probabilmente usato degli stratagemmi metodologicamente corretti ma opinabili da un punto di vista etico, perche’ se spostare una curva sulla base di un periodo di riferimento puo’ essere metodologicamente corretto, resta il fatto che passare due messaggi in opposizione nello stesso documento tra una revisione e l’altra qualche problema etico lo crea eccome.
Il Pianeta si e’ scaldato negli ultimi decenni? Certamente si. Di quanto? Difficile dirlo vista la discrepanza tra i dati satellitari e i radiosondaggi e i dati terrestri. Di chi e’ la colpa (o il merito)? Altrettanto difficile dirlo, visto che i modelli “a CO2” hanno mostrato performance deludenti, e li’ entra in gioco lo studio di Scafetta, rilevantissimo a mio parere, in quanto dimostra che con un diverso approccio, e senza i paraocchi dell’antropocentrismo, e’ possibile fare scienza e ricerca in un altro modo.
Ma la cosa piu’ importante e’ distinguere tra chi fa DIVULGAZIONE, ovvero mette a conoscenza degli altri fatti/studi/opinioni di terzi (possibilmente nascosti dalla gran parte dei media) e chi invece fa scienza. Raccontare una storia nascosta non e’ un reato. Divulgarla non significa entrare nella diatriba scientifica ponendosi sullo stesso piano di Schmidt e Lindzen. Parlare delle critiche a Karl non equivale a porsi sul suo stesso piano. Se si parte da questa considerazione, qualsiasi discussione se ne giovera’.
Furse l’equivoco che sta dietro questa diatriba e’ che i modelli in questo caso, appartengono alla sfera tecnologica e quindi fallibili per definizione?
L’equivoco (o l’imbroglio se si vuole) sta tutto nel far credere – non nel credere veramente, chi li usa lo sa benissimo – che i modelli siano affidabili perchè basati su conoscenze “settled”. Quando invece siamo all’inizio dell’esplorazione del campo. Ma temo che il vero problema sia la quantità impressionante di soldi/politica che gira intorno alla scienza del clima.
Per dire: nessun vulcanologo/geologo si sognerebbe mai di dire che la propria scienza è matura e che mancano solo piccoli dettagli. Lo ammettono senza problemi di essere “ignoranti”.
appartengono alla sfera tecnologica e quindi fallibili per definizione?
Il problema non è questo (a parte considerazioni sulla fallibilità in generale). L’uomo è andato sulla Luna e ha spedito sonde in parti così lontane dello spazio, tuttavia con tale precisione da farle atterrare (o rimbalzare, fate voi) su un piccolo asteroide. Lo ha fatto usando dei modelli che hanno funzionato benissimo per lo scopo. Come ha scritto Maggiolini, la questione è la maturità. I modelli usati per l’esplorazione spaziale sono ben consolidati. Quelli del clima no. Non si può pretendere di usare modelli non consolidati per trarre conclusioni (o azioni) con la stessa sicurezza con cui si usano quelli consolidati.
Mi complimento con M. Lupicino per il suo bel “sinossi” relativo allo stato dell’arte del dibattito e con tutti coloro che hanno commentato il post per il confronto civile che sono riusciti ad intavolare. Ho letto il post, i commenti e, soprattutto, le obiezioni di Diego: non le condivido, ma le rispetto e lo ringrazio per gli spunti di riflessione che mi offre.
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In merito ai dati satellitari di cui spesso si discute qui su CM, concordo con Diego che trattasi di dati relativi alla bassa troposfera e, quindi, non relativi alla zona in cui noi esseri umani viviamo, ma essi sono dipendenti dalla temperatura superficiale. Già nel 2010 il dr. R. Spencer ebbe a scrivere ciò in un post, dedicato, però, ad altre tematiche, ed io sono completamente d’accordo con lui:
http://www.drroyspencer.com/2010/05/in-defense-of-the-globally-averaged-temperature/
La temperatura della bassa troposfera, quella misurata dai satelliti, dipende da quella superficiale, diciamo che ne è un buon dato di prossimità. Poiché operiamo con anomalie e non con valori assoluti, credo che la variazione della temperatura troposferica non può essere molto diversa da quella superficiale, per cui i trend dell’una non possono essere molto diversi da quelli dell’altra. Se così fosse sarebbe del tutto inutile spendere una barca di soldi per mandare e mantenere in orbita i satelliti e per elaborarne i dati.
Ciò che mi spinge ad avere fiducia nei dati satellitari, inoltre, è il livello di copertura e di omogeneità degli stessi. Detto in altre parole lo strumento che esegue le misure è sempre lo stesso e copre tutto il pianeta (la maggior parte, ad essere precisi) rendendo inutili le interpolazioni che io considero poco reali quando interessano aree di migliaia di chilometri quadrati.
In merito al contenuto di calore degli oceani concordo con Diego: è in aumento e prima o poi questo aumento dovrà portare da qualche parte. Il sistema non potrà accumulare calore all’infinito e in qualche modo lo dovrà cedere all’ambiente esterno.
Lo farà in modo catastrofico o si verificheranno dei cambiamenti nel regime delle correnti oceaniche e nel processo di evaporazione e, quindi, nel ciclo dell’acqua che riporteranno il sistema in una condizione di equilibrio? Non lo so, ma le campane sono diverse
e, quindi, dobbiamo aspettare.
E per finire questo aumento del contenuto di calore oceanico è imputabile esclusivamente ai gas serra di origine antropica o anche a cause naturali? Anche qui le campane non sono concordi e i valori ballerini della sensibilità climatica (transitoria ed all’equilibrio) tendono a dimostrarlo.
Tutto ciò e molto altro ancora (che non è il caso di elencare qui), mi fanno dubitare del fatto che la scienza del clima sia definita e che i modelli riescano a rappresentare in modo preciso il comportamento del sistema climatico.
Ciao, Donato.
Approfitto di questo commento per ringraziare lei e gli altri, Lupicino in primis, che hanno risposto al mio commento. Sono convinto che la cosa più importante sia la possibilità di dialogare, e qui posso (possiamo) farlo. Grazie. Il lavoro e la vita premono: mi rendo conto che sono state fatte delle obiezioni a quanto ho scritto, sicuramente valide, che meriterebbero risposta. Ma, come ho detto, ho purtroppo poco tempo. Su una cosa che mi sta particolarmente a cuore vorrei però approfittare della disponibiltà di Donato b: lei scrive “Questo aumento del contenuto di calore oceanico è imputabile esclusivamente ai gas serra di origine antropica o anche a cause naturali?”. La domanda che mi/le faccio è questa: qualu sarebbero queste cause naturali? Le cause naturali (quali che siano) non dovrebbero limitarsi a redistribuire il calore che si accumula negli oceani? I vari Nino Nina, le oscillazioni multidecadali non sono appunto meccanismi di redistribuzione del calore? Grazie fin d’ora per la risposta
Ciao Diego, ne approfitto innanzitutto per scusarmi per il tono del primo commento: come fai notare giustamente i mille impegni che abbiamo ci tolgono tante volte anche solo la lucidita’ per comprendere il senso di un commento e rispondere a tono. I tuoi commenti meritano sempre una risposta per il semplice fatto che sono posti con educazione e denotano competenza e familiarita’ con la materia. Ci si puo’ trovare su fronti opposti della barricata, si puo’ essere piu’ o meno pungenti, ironici o sarcastici, la dialettica puo’ essere piu’ o meno accesa, ma la scienza prima di tutto e’ dibattito e confronto, specie quando c’e’ ancora tanto da comprendere, come nel caso della scienza del clima. Quindi ben venga il confronto, anche se questo magari significa prendersi anche un giorno o due per poter dare una risposta adeguata e non frettolosa. Nel merito della tua domanda sicuramente Donato sapra’ risponderti piu’ adeguatamente del sottoscritto. Per quanto mi riguarda posso solo dire che e’ un campo in cui il dibattito e’ sempre stato molto acceso: sono stati prodotti tanti studi negli scorsi 15 anni per esplorare il rapporto tra lo hiatus e il ruolo degli oceani come serbatoio di “stoccaggio” di calore. E’ materia sicuramente complessa e in cui non esiste una risposta univoca, come sempre in questi casi…
@diego
” I vari Nino Nina, le oscillazioni multidecadali non sono appunto meccanismi di redistribuzione del calore? Grazie fin d’ora per la risposta”
Non proprio. La scienza climatologica nota fin’ora, per esempio, pensava che
… come puoi vedere sul penultimo numero di Science:
http://science.sciencemag.org/content/358/6360
… sono 5 articoli sui risultati del satellite OCO-2 (e su come funziona lui stesso).
Nel secondo articolo…
http://science.sciencemag.org/content/358/6360/eaam5745
… puoi per esempio leggere che…
“This analysis shows more carbon release in 2015 relative to 2011 over Africa, South America, and Southeast Asia. Now, the fundamental driver for the change in carbon release can be assessed continent by continent, rather than treating the tropics as a single, integrated region. Small changes in were also observed early in the El Niño over the equatorial eastern Pacific, due to less upwelling of cold, carbon-rich water than is typical.”
… e questa e’ una assoluta novita’… che SICURAMENTE non faceva parte dei dati di input dei modellini farlocchi, e quindi l’output degli stessi non puo’ essere considerato accurato… se lo fosse sarebbe per puro caso.
Il quarto articolo sull’influenza di El Nino finito nel 2016, invece, conclude che…
“We used space-based CO2 observations to confirm that the tropical Pacific Ocean does play an early and important role in modulating the changes in atmospheric CO2 concentrations during El Niño events—a phenomenon inferred but not previously observed because of insufficient high-density, broad-scale CO2 observations over the tropics.”
… che conferma quello che gli scettici (di cui io faccio orgogliosamente parte) dicono da anni, e cioe’ che non ci sono dati sufficienti per garantire l’accuratezza delle simulazioni.
La zona tropicale, e quella sopra agli oceani in particolare nel pacifico, hanno pochissimi punti di misura dei vari parametri meteorologici/climatologici. Quello che i modellini fanno e’ di INTERPOLARE, a volte su aree di svariate decine di migliaia di km2… ti pare possibile che il risultato sia accurato?
@diego
“abbiamo un fatto che ancora non riusciamo a spiegare completamente, indaghiamo sulle possibili cause e vediamo. Senza evocare complotti o manipolazioni varie.”
Indagate su che???? Ma se il caso e’ “settled”?… sono anni che lo dite. “Circolare!… non c’e’ piu’ niente da scoprire@…
Frequenti/leggi mai realclimate?… il sito dove scrivono spesso Gavin Schmidt e/o Michael Mann? Mostrami UN posting su quel sito dove NON evochino complotti o manipolazioni da parte della terribile lobby dei negazionisti (come amorevolmente chiamano gli scienziati che dissentono o sono anche solo un pelino scettici).
Trattano a pesci in faccia persino quelli climatocatastrofisti come loro, se solo osano sminuire un po’ i dati… vedasi recente studio sulla fattibilita’ di restare sotto a 1.5 C di aumento.
Dai!
Wow! Ha scritto un post densissimo, ogni riga meriterebbe un commento…
“…in cui una media di 102 modelli climatici dell’IPCC è stata messa a confronto con i dati reali raccolti da satelliti e radio-sondaggi.”
Al di là del fatto che, per una serie di ragioni (conversione in temperature dell’emissività delle molecole di ossigeno, forte dipendenza delle misure dalle warm pools oceaniche – il famoso hot spot) non ha molto senso comparare i dati da satellite con quelli di superficie, i dati da satelliti e radio sonde non sono “reali”, visto che necessitano di correzioni ed elaborazioni continue per correggere le variazioni dell’orbita, l’utilizzo di nuove strumentazioni e le derive nell’orario di passaggio. Tutte cose risapute, che negli anni hanno portato per esempio alle 11 revisioni dei dataset UAH dal 1994 a oggi. Sarebbe bene segnalarle ogni tanto, visto che per la gran parte sono state al ribasso. A margine: per i dati UAH settembre 2017 è stato il più caldo registrato. Pausa? Hiatus?
“In relazione ai grafici in questione, Schmidt accusa Christy di aver giocato con il periodo di riferimento della serie di dati e dei modelli.”
In realtà dice molte più cose, e la variazione della baseline non è la più rilevante. In ogni caso nella figura allegata si può vedere come le temperature in superficie siano nel range delle previsioni modellistiche. Sempre in tema di affidabilità dei modelli, trovo interessante in particolare il diagramma di Cheng 2015 riportato nell’articolo del Guardian che lei linka. Non è aggiornatissimo, ma tocca un tema, quello del riscaldamento degli oceani (e del correlato OHC) che è fondamentale, considerato che – ed è una critica al grafico di Christy – non viviamo nella troposfera, ma banalmente al livello del mare. Dove, con buona pace di chi sostiene che non si possono fare previsioni, pagheremo e non poco il trend in crescita dell’OHC.
“Nello studio di Scafetta et al. 2017”
Quello sull’astrologia climatica? Aspettiamo che Scafetta pubblichi qualcosa di paleoclimatologia, che lo sottoponga a referaggio e poi ne parliamo del suo modello.
“In un articolo comparso nel 2015 sul sito del Cato Institute, Michaels, Lindzen e Knappenberger criticano aspramente il famigerato Karl et al. 2015 (un tiro al piccione, su quello studio). E fanno notare, tra le altre cose, che proprio usando i risultati della revisione ammazza-hiatus di Karl, i modelli climatici ne escono comunque a pezzi, collocandosi al secondo percentile in una distribuzione di 108 modelli dell’IPCC riferiti all’intervallo 1998-2014 (Fig.5).”
Quello che lei linka è un poster presentato all’AGU 2014, lascia quindi fuori il 2016, l’anno più caldo ecc. ecc. Vale quello che vale, sa molto di “è così perché lo diciamo noi” e soprattutto non parla di Karl 2015. Al proposito, mi colpisce la sua ossessione per questo studio: da anni ripete che gli autori avrebbero ritoccato i dati per esaltare il trend di riscaldamento. In realtà è il contrario: i dati grezzi, non ritoccati, indicano un trend di riscaldamento MAGGIORE di quello dei dati rielaborati.
“…è arrivato alla conclusione che i modelli hanno sovrastimato il riscaldamento “solo” del 70%”.
E aggiunge: “Potential explanations for the remaining model–data differences in warming rates include the combined ef fects of model response errors, model forcing errors, errors in satellite temperature data…”. A me sembra una dichiarazione assolutamente trasparente, in linea con ilnormale operato della comunità scientifica: abbiamo un fatto che ancora non riusciamo a spiegare completamente, indaghiamo sulle possibili cause e vediamo. Senza evocare complotti o manipolazioni varie.
Immagine allegata
Diego come ti ho spiegato in precedenza questo forum non e’ occasione per fare il controcanto agli articoli, prima di tutto perche’ il tempo per leggere e commentare post chilometrici come il tuo preferisco utilizzarlo per scrivere un altro pezzo, o per fare altro.
Ad ogni modo la rete e’ piena di difese d’ufficio degli stessi modelli sgangherati che anche tu ti affanni a difendere, e quindi il tuo post non aggiunge niente alla narrativa ufficiale.
Se hai delle rimostranze da fare a Christy, Scafetta e all’esercito di scienziati che ha criticato Karl, puoi benissimo scrivere direttamente a loro, sono sicuro che ti risponderanno con piacere.
Quello che avevo da scrivere e’ nel pezzo, e’ qualcosa che in giro non si trova facilmente, quindi penso di aver fatto piacere a qualcuno.
Del fatto che tu o chiunque altro possa non essere contento di articoli come questo, francamente me ne infischio: in partenza hai il 99.9% dell’informazione che non fa che ripetere il mantra che piu’ ti piace.
Ti farai una ragione del fatto che qualcuno provi a far passare lo 0.1% che resta fuori. E se non te la fai, me la faro’ io (e intanto ho perso altri 10 minuti della mia vita inutilmente).
Brutta risposta la sua, come dire, qui non si discute, si legge quello che pubblico e morta li. Chi vuole ci crede chi vuole no.
A che servono i commenti allora? A ricevere lodi o a mandare a quel paese più o meno diplomaticamente gli altri, e basta.
State peggiorando, ve lo dice un terzo esterno che cerca di farsi una sua idea pesando varie fonti.
Ma negare a priori uno scambio di vedute suona sul serio male, davvero.
Ale leggi sotto 😉 Avevo pensato di cancellare il primo commento, inopportuno, e lasciare il secondo scritto pochi minuti dopo. Ma per semplice onesta’ intellettuale li ho lasciati entrambi. Capita anche questo. A volte e’ difficile trovare il tempo per leggere decine di articoli, confrontare grafici, tirar giu’ una “storia” da raccontare, il tutto a spese di sonno notturno (o altro) per poi ritrovarsi impelagati in discussioni gia’ fatte mille volte, essere accusati di essere nemici dei modelli e di Karl etc. etc. Si perde la pazienza e poi dopo 5 minuti ci si pente e si riprova a spiegare le stesse cose per l’ennesima volta.
Se non si accetta il contraddittorio non bisognerebbe rispondere a nessun commento (anche questo e’ un approccio che puo’ avere un senso), altrimenti si risponde a tutti, anche se le stesse discussioni si sono fatte 1000mila volte. Fa parte del gioco, alla fine della fiera.
Ale non so se sto peggiorando, credo di no francamente, penso che sia peggiorata la mia dote di pazienza, ma anche a questo c’e’ rimedio. Solo a due cose non c’e’ rimedio: la morte e il climate change antropogenico. Anzi no, per il secondo ci sono le COP…
i dati da satelliti e radio sonde non sono “reali”,
Certo: invece le misurazioni da stazioni a terra sono “reali”, nel senso che basta andare e leggere dove sta la lancetta – et voilà, ecco la temperatura della Terra. Semplice come mettere un termometro sotto l’ascella.
Bravo… ben detto, Fabrizio. Infatti basta andare a cercare e leggere le infinite correzioni di, per esempio, le letture di temperatura, pressione, salinita’ e altro della rete di boe ARGO.
I satelliti sono “a piece of cake” in confronto… se non altro perche’ sono un paio, mentre le boe sono migliaia.
Sono talmente reali i dati di temperatura, che Gavino il Modellista Schmidt ha detto che a lui basterebbero poche centinaia di punti di misura della temperatura, che il numero di punti di misura attuale e’ “over-constrained”… e con poche centianaia di punti loro saprebbero interpolare “con precisione” la temperatura in qualsiasi altro punto della terra.
Stanno cercando di passare dalla scienza basata su dati e modelli, in cui se i secondi vengono semintiti dai primi si cambiano o eliminano, alla fanta-para-scienza dei dati e modelli in cui sono i primi ad essere modificati per confermare le previsioni dei secondi.
Come diceva R. Feynman… “it doesn’t matter how good you are, how beautiful your theory is… if it doesn’t agree with the data your theory is wrong”. Mitico Richard.
” A margine: per i dati UAH settembre 2017 è stato il più caldo registrato. Pausa? Hiatus?”
???
http://www.drroyspencer.com/wp-content/uploads/UAH_LT_1979_thru_August_2017_v6.jpg
… quasi mezzo grado sotto al picco causato da El Nino (non certo dalla velenosissima CO2 assassina)nel 2016… 0,41 C vs 0,86 del picco suddetto.
Stranamente siamo ancora ben sotto al picco di El Nino del 1998-99!… ma come mai??
Ad ogni modo, secondo la NASA, e’ al secondo posto, dietro al 2016.
Ipse dixit il sito del climatologo con dottorato in psicologia cognitiva John Cook, quello del 97% di “accordo fra climatologi”…
https://skepticalscience.com/2017-2nd-hottest-year.html
Scusi, è saltato un pezzo:
per i dati UAH settembre 2017 è stato il più caldo settembre registrato
http://www.newswise.com/articles/global-temperature-report-september-2017
In ogni caso non parlavo di agosto.
Ah!… e il singolo mese conta in climatologia da quando???
Mah…
… Il tempo alla fine lo perdo lo stesso, la voglia di confrontarsi prevale sempre.
1) Prima critichi i dati satellitari, poi citi il settembre piu’ caldo di UAH come prova che “I modelli funzionano”. Cominciamo col risolvere questa dissonanza cognitiva innanzitutto.
Se tutti gli studi citati nell’articolo usano dati satellitari e da radiosondaggi e’ proprio perche’ i dati terrestri hanno il grossissimo problema delle vaste aree del globo di fatto non coperte da misurazioni (oceani in primis) e quindi “interpolate” di conseguenza. E poi il trascurato problema della affidabilita’ dei dati misurati a terra e inquinati di conseguenza.
2) Settembre 2017 e’ stato il settembre piu’ caldo, vero. Eredita’ come dice Christy di una estate molto calda per le acque del Pacifico orientale, con una anomalia che si risolvera’ presto, con il lag associato. E comuque che facciamo? Non funzionano i trend decennali e ora li facciamo su base mensile? Cosa prova il settembre piu’ caldo di UAH preso da solo? Assolutamente niente.
3) Su Karl et al. parla per favore con i tanti che l’hanno criticato invece che col sottoscritto. A partire dallo stesso Lindzen in uno degli articoli linkati. Sono critiche nel merito, riguardo alla metodologia. Lo studio in questione e’ stato criticato pesantissimamente da piu’ parti per questioni di metodologia, persino dell’interno dello stesso NOAA. Ma evidentemente di quello studio ne sai piu’ tu dello stesso collega di Karl al NOAA che ne ha denunciato le forzature, o di Lindzen (https://wattsupwiththat.com/2017/02/04/bombshell-noaa-whistleblower-says-karl-et-al-pausebuster-paper-was-hyped-broke-procedures/)
4) Di grazia, quel grafico che hai allegato cosa c’entra con l’articolo? Chiunque e’ in grado di realizzare un modello che azzecca il passato sulla base di un piu’ o meno sofisticato history match. E in mancanza di dati affidabili sul passato remotissimo e’ un gioco da ragazzi spostare l’envelope in conseguenza dell’allungamento del periodo di riferimento, partendo dall’assunto che il modello abbia centrato perfettamente il passato stesso. E’ lo stesso meccanismo che ha utilizzato l’IPCC con il blitz notturno tra draft e final. Qui invece di cambiare la scala di riferimento di uno o due decenni, la si porta addirittura indietro fino al 1850. In piu’ spariscono ovviamente i dati satellitari o i radiosondaggi,e tutto si affida quindi a dati terrestri omogeneizzati/interpolati e relativi ad un pugno di stazioni ed in mancanza di dati sulla gran parte della superficie terrestre. Metodologicamente puo’ essere tranquillamente accettato, ma che scienza e’ quella in cui giocando con i time frame si raccontano due storie opposte in due versioni dello stesso documento? Cosa c’entra quel grafico con quelli di Scafetta o gli altri citati? Nulla.
5) Christy mostra dati fino al 2014 perche’ l’audizione e’ di febbraio 2016. Il dono della preveggenza ancora non ce l’ha. Ma il grafico di Scafetta arriva a includere il Nino e il suo declino, e racconta la medesima storia, compreso il rientro sulla mediana del suo modello, post-Nino.
6) I percentili si riferiscono al periodo 1998-2014, che valore ha tornare al 1850? Vale quanto detto sopra: quel grafico si paragona a quelli dell’articolo come mele con pere.
7) Si possono spostare e torturare mediane ed envelope di modelli come si vuole, ma la sostanza e’ che la pendenza della curva dei dati reali resta molto minore rispetto a quella dei modelli. Per quanto si possano torturare i grafici, e’ questa la sostanza che rimane.
8) Postilla su Karl: il link al Cato institute era sbagliato, grazie per la segnalazione Diego. Adesso c’e’ il link corretto, corredato delle citate critiche a Karl. A proposito di Karl, vorrei ribadire che e’ inutile prendersela con chi da’ voce ai Lindzen, ai Christy o alle gole profonde del NOAA piuttosto che alla Curry. Farlo non significa sostenere che lo studio e’ “manipolato” o “taroccato”, ma evidenziare le carenze metodologiche segnalate da scienziati di fama, non certo dal sottoscritto che ha l’unico torto di divulgare opinioni che altri preferiscono tenere nascoste.
9) Basta non ne posso piu’. Tanto chi e’ convinto che moriremo tutti per caldo salvo essere salvati da Gore, rimarra’ della sua opinione, a dispetto di qualsiasi grafico e qualsiasi spiegazione.
Ops, letto ora dopo la mia risposta al commento precedente! Per fortuna, sospiro di sollievo.
Mettere a nudo i modelli di sicuro non serve.
La narrativa dominante non ha buon senso.
Chi gestisce i servizi mondiali, ormai gestisce il pensiero dominante e nel pensiero dominante i modelli sono infallibili.
Se non bastassero i chiodi per la bara dei modellini farlocchi che sono stati piantati da questo eccellente post, eccone qui un altro:
“The Holocene temperature conundrum”, Proceedings of the National Academy of Sciences, 2014
http://www.pnas.org/content/111/34/E3501.full.pdf?with-ds=yes
… che a proposito del confronto fra dati di temperatura nell’Olocene (proxies) e i risultati della modellizzazione delle temperature in quel periodo dice questo:
“Marine and terrestrial proxy records suggest global cooling during the Late Holocene, following the peak warming of the Holocene Thermal Maximum (∼10 to 6 ka) until the rapid warming induced by increasing anthropogenic greenhouses gases.
However, the physical mechanism responsible for this global cooling has remained elusive.
Here, we show that climate models simulate a robust global annual mean warming in the Holocene, mainly in response to rising CO2 and the retreat of ice sheets.
This model-data inconsistency demands a critical reexamination of both proxy data and models.”
Nel documento “supporting information” si puo’ trovare la lista dei modelli utilizzati per questo confronto con i dati proxy… copio e incollo:
The models include 15 PIMP2 models (CCSM3, CSIROMk3L-1.0,
CSIRO-Mk3L-1.1, LOVECLIMCLIVOECODE,
ECHAM5-MPIOM, FGOALS-1.0g, FOAM, GISSmodelE,
IPSL-CM4-V1-MR, MIROC3.2, MRI-CGCM2.3.4nfa, MRICGCM2.3.4fa,
UBRIS-HadCM3M2, BCC-CSM1-1, and GISS-E2-R)
and 13 PIMP3 models (CCSM4, CNRM-CM5, HadGEM2-ES,
HadGEM2-CC, CSIRO-Mk3-6-0, IPSL-CM5A-LR, CSIRO-Mk3L-
1-2, MIROC-ESM, EC-EARTH-2-2, MPI-ESM-P, FGOALS-g2,
MRI-CGCM3, and FGOALS-s2)
Nota: PIMP2 models sta per
“Paleoclimate Modeling Inter- comparison Project (PIMP2)”
Notare la difesa d’ufficio di tali modelli, da parte di uno dei pasdaran climatocatastrofisti, Dana Nuccitelli, sulle pagine dei cheerleaders del Guardian:
https://www.theguardian.com/environment/climate-consensus-97-per-cent/2015/jul/31/climate-models-are-even-more-accurate-than-you-thought
… che cita uno studio dei soliti noti Cowtan, Hausfather, Mann, et al… che una volta letto senza prosciutto ideologico sugli occhi conferma che i modellini sono farlocchi, approssimati, difettosi, etc…
In particolare la fig.1 del suddetto articolo ed il testo sotto di essa danno un’idea della fuffa statistica che sta dietro a questi “rivoluzionari” studi… il “blending”… per “correggere” quello che chiamano “ice edge bias effect”… vedasi file di info supplementare.
Braccia sottratte all’agricoltura. Niente di piu’.
Cioè alla fine, almeno così pare a me, a furia di armonizzare, correggere, “blendare”, omogeneizzare, stiracchiare, ampliare, spuntare, del dato iniziale non rimane nulla. Bah!…
Un altro caso recente, l’uragano Irma… della serie “Fantasia vs realta”
Fantasia: goo.gl/wnbkis
“Scientific models saved lives from Harvey and Irma. They can from climate change too”
… dove i modellini farlocchi avrebbero addirittura salvato vite!…
Realta’: goo.gl/URbz1H
“US forecast models have been pretty terrible during Hurricane Irma”
… con ulteriori analisi della fantastica “accuratezza” delle previsioni dei modellini made in USA…
goo.gl/y4CPu3
“Hurricane Irma model consensus on Carolina hit, but is it real?”
… dove si vede che prevedevano il “landfall”, l’arrivo sulla terraferma di Irma nelle Carolinas (Sud o Nord, da specificare). Se uno va su google earth e misura la distanza fra il punto effettivo di landfall di Irma, circa 100 km a ovest di Miami, e il punto piu’ vicino ad esso nella South Carolina, trova che ci sono circa 700 km di distanza!…
Settecento km!… e meno male che sono precisi, ‘sti modellini! Della serie “aridatece le spanne!” 🙂
Altra analisi/conferma qui: goo.gl/5gUis3
E tra poco esce al cinema il nuovo delirio di Al Gore, part 2.
Siamo a posto.
Caro Massimo,
Bellissimo post che mette in fila tutte le situazioni critiche/discutibili di cui qualcuno non vuole sentir parlare. Molto comodo anche per chi vuole avere un quadro completo senza correre dietro ai singoli articoli.
Complimenti. Franco
Caro Franco, grazie per il commento che per me vale moltissimo visto che viene da un esperto della materia.
Non mi avventuro spesso in articoli di questo tipo, ma hai centrato proprio l’obbiettivo di questo sforzo: cercare di mettere assieme qualche tessera del puzzle per avere un quadro un po’ piu’ completo della questione relativa ai modelli climatici.
Di sicuro non puo’ essere un articolo esaustivo, anzi, ma per lo meno spero che aiuti a capire un po’ meglio “a che punto e’ la notte”, nella narrativa grottesca della “scienza settled”.
Mi permetto anch’io di fare i complimenti, ma da non addetto ai lavori. Che però ha a che fare quasi tutti i giorni con dati “massaggiati”: anche in biologia soffriamo di scienza settled :).
Bisogna saper leggere tra le righe dei troppi articoli scientifici tutti uguali e tutti preconfezionati.