Che cicloni tropicali possano muovere in senso zonale verso l’Europa piuttosto che verso il continente americano, per quanto statisticamente raro, attiene in tutto e per tutto alla normalità climatica (ne abbiamo parlato). Che spostandosi verso il Nord Atlantico cessino di essere uragani, e vengano inevitabilmente degradati a cicloni extra-tropicali, ovvero a semplici depressioni atlantiche, è altrettanto normale.
E altrettanto normale, purtroppo, è diventato anche il rituale attraverso cui certa stampa trasforma eventi assolutamente banali dal punto di vista meteorologico in occasioni per gridare al disastro imminente e al clima impazzito. Eppure, nel caso specifico, basta tornare indietro con la memoria fino agli anni ’90 per ricordare che già Guido Caroselli, in un’epoca in cui l’informazione meteo veniva mediata tutta attraverso il piccolo schermo, usava aggiungere alla carta sinottica i nomi dei cicloni tropicali da cui originavano alcune depressioni atlantiche. Ancora oggi si tratta di una consuetudine diffusa per vari enti: il Servizio Meteorologico Nazionale tedesco, per esempio, non ha mancato di citare Ophelia nelle sue carte sinottiche, preceduto da una bella “Ex-” (Fig.1). Una “Ex” inevitabile, in quanto l’uragano in data 16 Ottobre era stato già retrocesso a ben più umile depressione atlantica.
Tuttavia la sarabanda di allarmismi e superlativi è andata avanti imperterrita a dispetto della retrocessione in questione: “Ora X”, “onde distruttive”, “allarmi rossi”, e poi i soliti numeri spiattellati a casaccio per impressionare, e nella realtà tutt’altro che da record, come il riferimento ad “accumuli fino a 50-70 mm”, dato tutt’altro che anomalo, per una vivace perturbazione atlantica. Sì, i fenomeni saranno intensi, si registreranno mareggiate e raffiche di vento inizialmente superiori ai 100 kmh. Ma anche questo attiene alla normalità climatica del Nord Atlantico, soggetto in passato a tempeste molto più intense di Ophelia, e senza che per questo venisse mai chiamato in causa il Climate Change.
Pistole fumanti (a salve)
Ma gli esempi di fatti assolutamente normali trasformati dai media in prodigi da fine del mondo per arrostimento sono ormai innumerevoli. Solo qualche esempio, relativo agli ultimi tempi:
- La piattaforma Larsen C, staccatasi in Antartide e trasformata in evento planetario clima-catastrofico, nonostante la regolarità con cui tali distacchi si ripetono nel corso dei decenni
- La “petroliera” russa a spasso per l’Artico senza rompighiaccio, fake news gigantesca e ridicola, e tuttavia rimbalzata da tutti i media del Globo con grande clamore.
- Il piagnisteo sullo stato disastroso dei ghiacci artici, che invece se la passano più che dignitosamente.
- La stagione dei cicloni nel Golfo del Messico, trasformata in prova inconfutabile dei danni da Climate Change nonostante la precedente, lunghissima serie di stagioni sotto tono mai messa in relazione con la narrativa sull’aumento dei fenomei estremi.
- Persino una moria di pinguini in questi giorni è stata occasione per stracciarsi le vesti contro il Climate Change. Moria “per troppo ghiaccio”, anzi no: “perché è piovuto troppo”. Con annesso diluvio di fake news climatiche sull’imminente scioglimento dell’Antartide, pur a seguito di una serie impressionante di record di estensione di ghiaccio marino antartico interrottasi solamente due anni fa.
Uno schema consolidato?
Il punto è che commentare le sciocchezze meteo-climatiche che si leggono sui giornali è diventata una impresa impossibile: come svuotare la chiglia del Titanic con un secchiello bucato. Sono troppe, crescono esponenzialmente, rimbalzano da una testata all’altra come biglie impazzite e a loro volta sono citate altrettanto a sproposito da politici, giornalisti, economisti, opinionisti e chi più ne ha più ne metta.
Si può provare a indovinare lo schema nei termini seguenti: i media più vicini agli enti politici che si occupano di climate change ricevono l’imbeccata di turno e la pubblicano, tal quale, senza battere ciglio. Altri media ripescano l’imbeccata e la ripubblicano in tutta fretta, senza nessuna verifica, per non “bucare la notizia”. E così le fake news originate da un pugno di giornali diventano un tam-tam planetario inarrestabile. Per carità, non c’è niente di così strano nel fatto che enti politici che campano di finanziamenti statali cerchino di tenere alta la tensione della narrativa sul Climate Change: si tratta di pura e semplice lotta per la sopravvivenza. La minaccia di tagli draconiani ad enti come l’EPA è un segnale chiaro per chi vuole intendere, così come il disinvolto abbandono da parte americana di club che si credevano eterni, come la COP21 parigina o, più recentemente, l’UNESCO (abbiamo parlato dell’una e dell’altro, in precedenti occasioni).
Normale è anche che i media politicamente vicini agli stessi enti politici sbavino come cani di Pavlov in reazione a qualsiasi evento para-climatico che possa ridare fiato ad una narrativa ormai esausta. Molto meno normale è che gli altri media si accodino senza nemmeno provare a verificare fonti, informazioni, eventuali deformazioni delle notizie: troppo più facile e comodo scopiazzarle e sbatterle in prima pagina. Ché verificare le notizie costa, e servono competenze scientifiche minime che evidentemente nelle redazioni di tanti giornali ormai non ci sono più.
Per il lettore consapevole, però, è altrettanto facile e comodo sfuggire alla morsa di una narrativa che ormai mostra la corda: andando a cercarsi le notizie altrove, abbandonando quei lidi considerati un tempo sicuri e dove oggi invece si fa della diffusione disinvolta di fake news climatiche una vera e propria professione. Salvo gridare a gran voce di fare esattamente il contrario. “Per il bene del lettore“, naturalmente.
Grazie Massimo per la sua elegante risposta alle enfatizzazioni mediatiche! Complimenti anche per la padronanza dell’arte della scrittura, cosa che spesso manca a molti giornalisti di professione! Vorrei chiederle se potesse spiegarmi quando si può parlare di cambiamento climatico. Quali sono i fenomeni meteorologici registrati finora (a partire dall’inizio delle rilevazioni sistematiche del tempo) che possano essere imputabili come segni di un cambiamento climatico? E qual è la scala temporale da prendere in considerazione quando si vuol fare diagnosi di cambiamento climatico? La ringrazio e Le porgo i miei migliori saluti!
Caro Giuseppe, innanzitutto diamoci del tu per favore, e grazie per i complimenti. Fai domande complesse sulle quali si battaglia da decenni, quelle domande di buon senso che dovrebbero essere alla base di qualsiasi discussione ma sono saltate a pie’ pari per arrivare direttamente a conclusioni definitive.
Ovviamente non posso essere io a darti una risposta definitiva, innanzitutto perche’ quella risposta non c’e’, e in secondo luogo perche’ su questo Blog scrivono persone molto piu’ ferrate nella materia e quindi piu’ titolate a farlo. Solo a mo’ di antipasto cominciamo col dire che esistono dei cicli multidecennali che hanno una influenza importante sul clima del Pianeta, per cui disquisizioni su scale piu’ ridotte vanno approcciate con molta cautela.
Ad ogni modo un consiglio mi permetto di dartelo: vienici a visitare spesso, e leggerai tanti articoli che ti aiuteranno a chiarire alcuni dei tuoi dubbi, senza la pretesa di essere esaustivi sulla materia. Che’ non c’e’ niente di piu’ unsettled (e affascinante allo stesso tempo) della scienza del clima.
Per i giornali, l’importante è avere quello che hanno gli altri, anche se sono fake news. Il resto non conta. Ma sui giornali non mancano comunque le voci di dissenso (ogni tanto). Molto peggiore è la narrativa del climate change in tv. Provate a rimanere sintonizzati un po’ sulle reti “all news” italiane: ogni tre per due si tira in ballo il cambiamento climatico… Tutti i santi giorni!
Certo è che: di cosa campano ?
(a grandi linee) il settore notizie sono diversi anni che è risucchiato da Google .
questo fa poi si che il livello degli articoli sia poi quello che ritroviamo ogni giorno .
Scuter, alcol etc. solo per stare sul generico, sono le chicche quotidiane.
“Il punto è che commentare le sciocchezze meteo-climatiche che si leggono sui giornali è diventata una impresa impossibile: come svuotare la chiglia del Titanic con un secchiello bucato. Sono troppe, crescono esponenzialmente, rimbalzano da una testata all’altra come biglie impazzite e a loro volta sono citate altrettanto a sproposito da politici, giornalisti, economisti, opinionisti e chi più ne ha più ne metta.”
Anche da “Papi” purtroppo:)
Gent. Sig. Lupicino,
mi scusi se sono “off topic” (fuori tema), ma ormai i giornali di seconda fascia, a metà strada tra il nazionale e il locale, le notizie le copiano e le incollano, non fanno nemmeno la verifica. E in parte li capisco: quando sfoglio certi giornali e ti ritrovi la firma dello stesso giornalista per intero o puntata per 6-7 volte in una copia quotidiana, è già bravo se agli articoli scritti abbia dato un tocco personale. È un modo di sopravvivere per certa carta stampata locale.
Quello che davvero anch’io non capisco sono le grandi firme: è tutto nel loro interesse scrivere articoli con dati verificati, obiettivi… niente, ripetono la “narrazione ufficiale”.
Caro Alfredo innanzitutto dammi del tu per favore, e in secondo luogo non sei per niente off-topic. Posso solo concordare con te; il livello e’ molto basso, e questo contribuisce a tenere in piedi il meccanismo di replica infinita di articoli-immondizia lanciati da testate internazionali sulla base di agende meramente politiche.
Quanto alle “grandi firme”, su questo bisognerebbe intendersi… diverse hanno lasciato i “grandi” giornali di un tempo, o sono state allontanate senza troppi complimenti.
Al posto di queste firme si trovano articoli che potrebbero uscire anche senza firma, veline scopiazzate da altre testate, pezzi ai limiti della comicita’ involontaria (ieri sulla Stampa si parlava di un Putin impegnato a seminare zizzania razzista in Europa usando Pokemon-go).
Altre “grandi firme” sono solo nomi un tempo famosi che mettono il loro nome in calce ad articoli che potrebbe aver scritto chiunque. Si fa fatica persino a riconoscere lo stile di chi li firma, quegli articoli, in alcuni casi.
Certo ci sono ancora delle oasi che si riescono a leggere con piacere, come alcuni blog collegati a quotidiani di tiratura nazionale. E poi ci sono tanti siti nuovi che raccontano fatti nascosti dalla gran parte della stampa mainstream. Finche’ non li oscurano o non li chiudono con il pretesto dell’hate speech o della regolamentazione di internet, bastano e avanzano per tenersi informati e per evitare di essere bombardati da fake news. Basta saperli scegliere.