Nonostante la mia ferma intenzione di tenermi a distanza da certi articoli di giornale, capita talvolta che qualche attento lettore del Blog mi faccia recedere dal nobile proposito segnalando una perla giornalistica di particolare rilievo. Talvolta ne nasce un articolo, come in questo caso.
Come già accaduto in passato, è la Stampa a deliziarci con una doppietta di articoli pubblicati in un fazzoletto di ore tra il 25 e il 26 Agosto scorsi. Il primo è un pezzo, oserei dire… di cronaca. Il secondo è l’editoriale di Luca Mercalli che usa il primo articolo come assist per delle considerazioni climatiche. Per la serie: le disgrazie non vengono mai sole.
Primo goal
Il primo articolo si intitola: “Cambia il clima, la petroliera russa conquista la rotta artica senza rompighiaccio”. Sottotitolo: “Il riscaldamento globale riduce la massa di acqua congelata. Si apre così la tratta dalla Norvegia a Oriente. Putin esulta”.
Nonostante il titolo dell’articolo sia del tutto fuorviante, la vera notizia è il varo di un gioiello tecnologico della marina mercantile: la nave gasiera Christophe De Margerie che trasporterà gas liquefatto dalla penisola russa di Yamal, sul Mare di Kara, fino ai terminali asiatici attraverso cosiddetto “Passaggio a Nord”: la rotta che consente di raggiungere il Pacifico transitando attraverso l’Artico. È la prima di una serie di 15 navi simili che verranno prodotte per agevolare il trasporto delle enormi riserve di gas siberiano superando l’ostacolo rappresentato dai ghiacci artici. Ghiacci che non sono affatto scomparsi, ma che cessano di essere un ostacolo insuperabile nel momento in cui la nave gasiera diventa anche un rompighiaccio. Perché la De Margerie è proprio questo: un rompighiaccio con capacità di trasporto di gas liquefatto.
Un messaggio apparentemente semplice, quello del progresso tecnologico nell’industria navale, inserito nel contesto più generale della corsa allo sviluppo delle risorse minerarie russe, diventa in questo articolo qualcosa di assolutamente deformato. A partire dal titolo, che sembra suggerire che Putin esulti perché il global warming gli consente di mandare a spasso petroliere a imbrattare le candide pellicce degli orsi polari. Un titolo quasi tragicomico nella collezione impressionante di inesattezze concentrate in sole 12 parole:
- Si parla di petroliera, quando invece la nave in questione è una gasiera che trasporta metano allo stato liquido: completamente diversa da una petroliera, in tutto. Persino nelle implicazioni ambientali (una fuga di gas liquefatto è ben diversa da uno sversamento di petrolio in mare).
- Si cita un presunto cambiamento climatico che non si capisce cosa c’entri con il varo di un rompighiaccio.
- Ci si sorprende che un rompighiaccio non si faccia scortare a sua volta da un’altra nave rompighiaccio. A che scopo? Per fare un trenino di rompighiaccio?
Il sottotitolo dello stesso articolo completa l’opera:
- Non si capisce in cosa consista la conquista della “rotta artica”, a meno che non si ritenga che il transito di un rompighiaccio sull’Artico in estate rappresenti un evento epocale in sè. Forse i rompighiaccio sono concepiti per navigare in acque tropicali?
- Se il “pericoloso scioglimento” dei ghiacci fosse realmente nei termini in cui viene descritto, che bisogno ci sarebbe di un rompighiaccio per navigare in Artico d’estate? Non basterebbe forse un carrier convenzionale, magari scortato solo per qualche decina di miglia secondo necessità? Mandiamo i russi a ripetizioni di ingegneria navale alla redazione della Stampa?
- O piuttosto mandiamo la redazione della Stampa a ripetizione di climatologia, per scoprire che il tratto di mare in questione è completamente libero dai ghiacci solo per poche settimane all’anno (per la cronaca, si è aperto solo pochi giorni fa) e senza un rompighiaccio si farebbe ancora oggi la fine di Shackleton e della sua Endurance?
Eppure non è che gli spunti di interesse mancassero, in una notizia del genere: tecnologia, dominio dei mari, geopolitica, risorse energetiche… Per non dire del nome stesso della nave, intitolata al carismatico ex-direttore generale della Total (membro del consorzio internazionale che sviluppa il mega-giacimento di Yamal), considerato molto vicino al presidente russo e scomparso nell’ottobre del 2014 a seguito di un incredibile incidente all’aeroporto di Mosca, quando uno spazzaneve impazzito decise di buttarsi nel mezzo della pista di decollo proprio mentre transitava l’aereo del top manager.
..E raddoppio
E siccome un articolo del genere evidentemente non bastava, arriva subito dopo l’editoriale di Mercalli a mettere quello che gli inglesi chiamerebbero “l’ultimo chiodo nella bara”: La banchisa mai così fragile e sottile, recita il titolo con toni vagamente patetici. Titolo inesatto nella sua essenza stessa, visto che come spiega lo stesso Mercalli, l’evoluzione dei ghiacci artici si segue accuratamente solo dal 1979 per mezzo dei dati satellitari. E ci sono fondati sospetti che l’Artico abbia già conosciuto epoche in cui i ghiacci si scioglievano completamente d’estate: come nell’Olocene, in corrispondenza, guarda caso, di un massimo di attività solare (io indagherei sulle emissioni di CO2 di qualche civiltà aliena, se è vero come dice l’odierna scienza climatica “settled” che la forzante antropica è dominante).
L’articolo, come in altre occasioni, comincia bene (il decremento dell’estensione e del volume dei ghiacci artici negli ultimi decenni è un fatto incontrovertibile) ma deraglia successivamente in una serie di affermazioni a dir poco opinabili. Tra le quali:
- Lo spessore dei ghiacci non supera i due metri (è una fake news: li supera diffusamente, come evidenziato nella carta in Fig. 1).
- La diminuzione del ghiaccio ha effetti negativi sugli orsi polari (che invece a quanto pare se la passano benissimo, come sta sperimentando anche Shackleton 2.0).
- Solito riferimento al noto feedback positivo dovuto all’assorbimento di calore da parte dell’oceano, più scuro. Ma nulla si racconta, invece, sulla miriade di possibili feedback negativi che stanno rallentando lo scioglimento dei ghiacci negli ultimi anni rispetto alle previsioni più catastrofiche.
- Incremento dei fenomeni estremi conseguente allo scioglimento della banchisa (indimostrabile, anzi, irragionevole alla luce della diminuzione del gradiente termico e dell’instabilità baroclina che di quel gradiente è espressione, nonché causa concorrente alla genesi di fenomeni intensi).
- Quanto alla “scomparsa dell’impianto di raffrescamento del Pianeta”, mi sfugge come mai la massa glaciale enormemente più estesa dell’Antartide e quella groenlandese, entrambe stabili quando non addirittura in aumento, diventino trascurabili rispetto alla riduzione della banchisa artica.
Gran finale
Il finale, come nelle opere migliori, è la ciliegina sulla torta: “…e che una petroliera possa navigare più facilmente da un Continente all’altro non è una consolazione: il suo contenuto non farà altro che alimentare il riscaldamento globale”.
A parte il fatto che lo Yamal è in Asia, e quindi il continente di destinazione attraverso il “Passaggio a Nord” è il medesimo, resta il fatto che vedere nella nave gasiera in questione un mero vettore di effetto serra lascia francamente senza parole. È come se guardando il Golden Gate si sostenesse che quel ponte è servito solo ad ammazzare 11 operai, e non ad agevolare la mobilità di un miliardo e mezzo di persone.
Poco importa, se anche grazie a gioielli della tecnologia come la De Margerie, possiamo soddisfare la sete di energia del Pianeta: la stessa energia grazie alla quale si scrivono, si pubblicano e si leggono articoli come quelli che commentiamo oggi. Energia che alla luce del risultato poteva anche essere risparmiata, con indubbio beneficio delle emissioni globali.
Quello che rimane dalla lettura di questi articoli è uno spiacevole senso di distorsione, di deformazione della notizia in chiave climatico-catastrofista a tutto danno della qualità dell’informazione stessa. Una forma di deformazione professionale, laddove la professione del Catastrofista Climatico, con le tonnellate di “confirmation bias” che si porta dietro, riesce più o meno inconsapevolmente e in buona fede a trasformare una notizia, qualsiasi notizia, in una sentenza di morte (per caldo) per l’intero genere umano.
PS: per chi fosse interessato agli aspetti più propriamente tecnici della De Margerie, allego un link ad un articolo tra i pochi online in cui si parla della prima gasiera rompighiaccio della storia senza avventurarsi in digressioni salvamondiste più o meno ridicole. Uno dei tanti esempi di come internet ancora consenta, a chi vuole farlo, di informarsi per il piacere di imparare cose nuove, e non solo per essere confermato nella religione giusta.
[…] Autore: Massimo LupicinoData di pubblicazione: 30 Agosto 2017Fonte originale: http://www.climatemonitor.it/?p=45681 […]
Il metano nella “GASIERA” è tenuto liquido a bassissima temperatura ed in questo il freddo artico aiuta un pò!
Condivido con piacere, almeno fra i miei amici sui social ce la smazziamo alla luce dei fatti e non alla luce delle fole….
Grazie Massimo Lupicino
Grazie per un articolo di grande interesse — anche per il link che descrive la nave, ho imparato molte cose nuove.
Grazie a te, continua a seguirci 😉
Forse sono un po’ fuori tema, ma qualcuno mi sa spiegare perché non fanno le petroliere rompighiaccio? Grazie
Edo non sei fuori tema, la domanda e’ interessante. Potrebbero esserci molti motivi in effetti. Forse il petrolio e’ piu’ facile trasportarlo attraverso pipeline con costi piu’ contenuti. Forse semplicemente perche’ il giacimento in questione e’ a gas… Sono tematiche complesse. Riassumendo mi viene da pensare solo che sia perche’ “non e’ economicamente conveniente”. Ci sono ancora dei trogloditi, al mondo, che sviluppano dei progetti perche’ generano profitto,e non per bruciare i miliardi nel camino (incentivi compresi) come insegnano certi grandi maestri americani ( http://www.climatemonitor.it/?p=44035 )
Una rompighiaccio deve avere motori più’ potenti di una nave comune ed uno scafo rinforzato in grado di “salire” sul ghiaccio e romperlo col peso della nave.
Le petroliere per legge (e buonsenso) devono avere un doppio scafo : aggiungendo il peso dello scafo rinforzato al secondo più’ tutte le strutture di rinforzo fra primo e secondo si costruirebbe una nave molto pesante. Di conseguenza si dovrebbe più che raddoppiare la potenza dei motori e quindi aggiungere ulteriore peso. Il tutto imporrebbe anche dei limiti alla lunghezza della nave per non creare momenti torcenti a mezza nave
Il tutto a scapito del carico che verrebbe ridotto . Le petroliere piccole non sono convenienti.
C’è poi il rischio di un disastro ecologico e i conseguenti costi di pulizia che in artico sarebbero a dir poco mostruosi
Grazie Luca per le riflessioni interessanti. Quanto al disastro ecologico (di ingegneria navale non ne mastico ;)) una nave gasiera pone ovviamente meno problemi di impatto ambientale, nonostante l’esplosione di un tanker di gas liquefatto sia un evento non da poco, per usare un eufemismo…
Il vantaggio dell’ esplosione di una gasiera è che non rimane nulla da raccogliere, per una petroliera devi togliere tutto il petrolio che non brucia ed il costo e’ a carico dell’ armatore.
(Punto di vista ecologista che non coincide sempre con quello dell’ equipaggio)
Luca: semplicemente icastico, complimenti 🙂
Grazie mille sig. Rocca e dott. Lupicino per le risposte. Io sono affascinato, per non dire ossessionato, dai perché delle cose, ma evidentemente siamo circondati da “scienziati” che amano se stessi più della verità e della conoscenza.
PS.: dott. Lupicino, le farà piacere sapere che ad Andalo, ridente e piccolo paesino della val di Non in Trentino, Lei ha addirittura ben tre posti a disposizione per ricaricare la Sua Tesla.
Forse una risposta ce l’ho. Col petrolio a 140$/barile (se non ricordo male) erano stati iniziati numerosi progetti, molto costosi e difficili ma ora economicamente convenienti, di sfruttamento di vari tipi di giacimenti: dalle acque “profonde” all’Artico. Col crollo del prezzo del petrolio, tali progetti sono stati in larga parte abbandonati (oltre ad esserci qualche migliaio di persone che ha perso il lavoro nelle compagnie petrolifere). Credo che quindi al momento non si pensi più ad uno sfruttamento su vasta scala dell’Artico, per il petrolio. Il gas è diverso, come mercato e dunque come richiesta, e magari giustifica questi nuovi investimenti anche nelle gasiere-rompighiaccio.
Dovrò trovare un po’ di tempo ed accogliere l’invito di Massimo al “cimento”.
Ottima osservazione Filippo. I progetti artici sono stati in gran parte soppressi per costi eccessivi, e comunque non mi risulta che si siano mai usate petroliere per il trasporto di petrolio “artico” quanto piuttosto pipeline. Credo che il deterrente ambientale sia comunque troppo forte (e meglio cosi’, che gli eventuali danni sarebbero assolutamente incalcolabili). PS quanto al cimento, quando hai trovato il tempo fammi sapere 😉
Piccola correzione: esistono navi cargo+rompighiaccio anche come petroliere, meno potenti e meno pubblicizzate. In realtà la De Margerie non è nemmeno il primo esemplare di questo genere, è solo l’ultima e più potente, forse la prima ad avere prestazioni da “vero” rompighiaccio.
Vero, di solito sono navi appoggio militari o derivate da queste e servono per i rifornimenti di piccole comunità artiche . Sono dette Product Carriers e trasportano prevalentemente raffinati. Una petroliera “piccola” come la classe Panamax stazza 50.000 ton. I più grandi rompighiacci non nucleari arrivano al massimo a 10000
Gent.mo Dott. Lupicino, grazie, come sempre, per l’ottimo articolo. Spero di non essere troppo fuori argomento, ma non so come fare per segnalare alla vostra attenzione un articolo che mi è capitato sfogliando il mio account di Flipboard. Non avendo visto nessuno di voi citarlo, suppongo che non vi sia noto. Diversamente scusatemi per l’intrusione.
L’articolo è riportato da http://scienze.fanpage.it/nel-medioevo-faceva-piu-caldo-di-ora-il-riscaldamento-globale-forse-non-e-colpa-nostra/ e cita una ricerca fatta all’Università James Cook di Townsville (Australia) che mi risulta essere un’Università seria. I dettagli dello studio sono stati pubblicati sulla rivista scientifica GeoResJ. A me sembra molto interessante ma non sono in grado di valutare né la serietà né l’attendibilità dello studio. Cosa ne pensate?
Grazie
Io non conoscevo l’articolo forse perché (http://www.sciencedirect.com/science/a) viene dato per pubblicato nel vol. 14, Dicembre 2017 dalla rivista.
Sono però riuscito ad avere una copia del manoscritto accettato per la pubblicazione che penso sia molto aderente alla versione finale del lavoro.
A me è sembrato un articolo interessante, in particolare perché rivaluta l’influenza dei fenomeni naturali rispetto a quelle antropogenici e lo fa, come in precedenza avevano fatto altri, considerando il contributo del vapore acqueo che -scrivono gli autori- viene sistematicamente non usato nei
modelli.
Utilizzando sistemi di intelligenza artificiale (di cui io non so nulla) la “macchina” ha bisogno di un periodo di apprendimento: viene utilizzato il periodo 900-1830 come training e i periodi 1830-2000 e 1880-2000 come
previsione (gli intervalli temporali cambiano a seconda dei dati. I dati di partenza sono proxy (anelli di accrescimento,
sedimenti di laghi, dati multiproxy).
La differenza massima di temperatura tra gli osservati e i calcolati dal sistema usato nell’articolo è di 0.2 C.
Il lavoro conferma un valore per ECS (sensibilità climatica di equilibrio) di 0.6-0.8, in accordo con quanto trovato da Lindzen and Choi (2011), 0.6, e da Laubereau and Iglev (2013), 0.8, ma in disaccordo con quanto trovato da altri
(Scafetta, 2013, 1.5; Loele, 2014, 1.99, Lightfoot and Mamer,2014, 0.33, IPCC AR5, cioè Flato et al., 2013, 3.2).
A me sembra che un fattore positivo sia la capacità del sistema usato di riprodurre l’ampiezza delle oscillazioni climatiche osservate; i modelli tendono a smussare queste oscillazioni. Viene inoltre riprodotto il riscaldamento dagli anni 80, sempre senza forzanti antropiche.
Per chi fosse interessato, ho scaricato il testo completo da
http://www.sci-hub.cc/ utilizzando il DOI. Franco
Grazie Paolo per la segnalazione e Franco per il commento. Una semplice riflessione: ma cosa volete che conti il vapore acqueo rispetto alle flatulenze bovine? Si osa criticare la scienza settled? Roba da matti.
Tranquillo Dott. Lupicino, ‘sta roba non la beve più neanche la mia anziana mamma. Che, leggendo articoli simili (ovviamente sulla stampa cartacea, what else), spesso alza gli occhi al cielo e da sotto gli occhiali sentenzia: certo che ne scrivono di str….ate!
Grazie per il suo articolo, che diffonderò
Non solo mi dai del “lei”, ma pure i titoli adesso! 🙂 Il tu va benissimo Alessandro. Non ci credono in tanti perche’ se ne parla da tanto tempo,e niente di reale e’ successo. Alla fine il climate change e’, come tutti i falsi pericoli, solo un intrattenimento di massa (per quanto sotteso a interessi obbiettivamente enormi e di varia natura). Si ascoltano i proclami sul climate change con la stessa rassegnazione con cui si ascoltava il medioevale “ricordati che devi morire”. Con la differenza che allora si scappava in Chiesa a confessarci, e oggi passiamo all’articolo successivo (magari su belen o sul grande fratello, che il livello della qualita’ informativa e’ praticamente uguale a quello delle discussioni sul climate change).
‘E ci sono fondati sospetti che l’Artico abbia già conosciuto epoche in cui i ghiacci si scioglievano completamente d’estate: come nell’Olocene, in corrispondenza, guarda caso, di un massimo di attività solare’
Senza andare indietro all’olocene…
https://www.google.it/amp/s/wattsupwiththat.com/2009/04/26/ice-at-the-north-pole-in-1958-not-so-thick/amp/
Corretto Roberto, ottima segnalazione. Anche quando il ghiaccio era di piu’ (forse), e’ capitato in passato che il polo nord fosse libero dai ghiacci.
La concezione statica del clima e di tutto quello che gli ruota attorno, vera ossessione dei fanatici del climatismo e del circo informativo che gli ruota attorno, e’ la piu’ grande scemenza tra tutte: il clima e’ sempre cambiato, la calotta artica si espande e si contrae, si sposta e cambia di spessore da sempre. Questi cialtroni sono l’esatto corrispettivo di quelli che ritenevano che la Terra fosse piatta: ignoranti, intolleranti e miopi allo stesso modo. Avessero a disposizione armi del passato come l’inquisizione e l’abiura le userebbero esattamente allo stesso modo.
Aggiungerei all’articolo, che il Passaggio a Nord-Est fu navigato già nel ‘600 (ma non so se in una sola stagione, o svernando tra i ghiacci), più di frequente da fine ‘800, e regolarmente dagli anni ’30 del ‘900 (luglio-ottobre). Il record di oltre 1300 viaggi con 6.6 milioni tonn. trasportate dell’estate 1987 dovrebbe essere ancora imbattuto.
Interessante Filippo… Magari piu’ che un’integrazione all’articolo in questione, l’argomento dello sfruttamento dell’Artico gia’ nel passato meriterebbe un articolo dedicato… Sentiti libero di cimentarti 😉
Caro Massimo,
grazie per il post, che trovo utile per capire a che punto è la notte. Qui di seguito un esempio che ben si attaglia agli argomenti da te trattati (scusa la prolissità ma volevo farci un post per CM e tuttavia leggendoti ho pensato che sia meglio lascarlo a commento del tuo post: anche a me stanno venendo a noia gli articoli di giornale…):
Corriere della Sera, 26 luglio 2017, pagina 32 (è la pagina della Cultura) – recensione al libro In Alaska, il paese degli uomini liberi, di Raffaella Milandri ,ed. ponte Sisto. La recensione è firmata da Alessandro Cannavò:
“…Ne viene fuori il ritratto di un territorio che conserva tutto l’aspetto selvaggio alla Jack London sebbene viva in prima linea il dramma dei cambiamenti climatici. A Barrow, la città più a Nord, le porte delle case non sono mai chiuse a chiave per permettere a chiunque di rifugiarsi nel caso che un orso polare si aggiri affamato: con il ritiro dei ghiacci è diventato un animale di terra. “
Bella frase, profonda e toccante: povero orso o “poer purscel, nel senso del maiale” come direbbe Jannacci.
Peccato però che se vai ad analizzare la letteratura scientifica sull’argomento ti accorgi che a Barrow il ghiaccio si rompe ogni anno grossomodo fra il 17 giugno e l’8 luglio (http://seaice.alaska.edu/gi/observatories/barrow_breakup) e che secondo Eicken et al. (2012) (Tracing changes in the western Arctic’s annual sea-ice cycle from the local to the regional scale at Barrow, Alaska – http://adsabs.harvard.edu/abs/2012AGUFMGC14A..03E) “For the time period 1979-2011, sea ice at Barrow shows a statistically significant trend in the onset of freeze-up (delayed by two weeks per decade) and a marginally significant trend in break-up (delayed by one week per decade).
Da ciò deduco che i poveri orsi bianchi a Barrow diventano per necessità animali di terra tutti gli anni e temo che ciò avvenga da che mondo è mondo.
In termini più generali mi domando tuttavia se valga la pena di contrastare il sempre più complesso ed articolato sistema di miti su cui si fonda il nostro sistema socio-economico e mi rispondo sì, che ne vale la pena, e che internet (con l’accesso gratuito a dati e letteratura scientifica) ci offre uno strumento validissimo per contrastare tale sistema. Osservo però anche che i primi ad insorgere contro i miti (e ciò in primis perché sono l’anticamera della morte delle scienza) dovrebbero essere gli specialisti dei settori disciplinari coinvolti (in questo caso i glaciologi). Da questo punto di vista vedo però che c’è sempre calma piatta, il che mi sconcerta non poco.
Caro Luigi, gli esempi non si contano. In fin dei conti il meccanismo e’ assolutamente analogo a quello delle “grandi” (per modo di dire) utopie del passato: quella comunista e quella nazista. Tutto era giustificabile alla luce del Capitale di Marx e alla luce della superiorita’ della razza ariana: tutto. Oggi tutto e’ giustificabile alla luce del rimbecillimento di massa legato al “global warming”.
Quello salvamondista (e il politically correct in generale) e’ solo l’ultima utopia e l’ultimo totalitarismo. Si nutre degli stessi metodi di quelli del passato, e arriva alle masse attraverso il ruolo diligente dei “ministeri dell’informazione” rappresentati da certi organi di stampa e networks internazionali.
Le voci dissonanti rimangono poche e confinate a piccolissime oasi che vengono lasciate in pace solo in quanto piccole e in quanto tali, incapaci di scalfire la cortina di disinformazione. Quando a queste oasi si attribuisce un potere superiore a quello che realmente hanno (vedi l’esito di certe elezioni) allora si pensa a “normalizzare ” anche internet, utilizzando la foglia di fico dell’hate speech e del politically correct. Va tutto visto, a mio parere, all’interno di un contesto molto piu’ ampio. Il climatismo e’ solo uno dei tanti tasselli di una ideologia fortemente utopista, intollerante, nemica della scienza (che usa e distorce per fini propri) e della liberta’ di espressione.
Buonasera, sono sincera: sono incappata in questo articolo e relativi commenti per caso. Sono la autrice del libro citato: In Alaska. Il Paese degli Uomini Liberi, quello recensito sul Corriere della Sera. Grazie della citazione, purtuttavia vorrei dire che i cambiamenti climatici e relativo adattamento degli orsi polari mi sono stati raccontati con dovizia di particolari dagli Inupiaq che vivono a Barrow da millenni. Perciò non sono io autrice del libro a riportare le mie impressioni dopo aver visitato Barrow in primavera e in estate, bensì un popolo indigeno che se permettete ha ben altre conoscenze rispetto a noi, ai meteorologi, ai glaciologi etc etc poichè vivono ogni anno, da generazioni e generazioni, il clima e l’ambiente circostante sulla loro pelle. E sulle loro tradizioni come la caccia alle balene, legata alle stagioni e alla apertura dei ghiacci. Chiedo quindi rispetto non per ipotesi e studi climatici di cui io non tratto nel libro, ma per quello che i nativi dell’Alaska raccontano. Cordialmente
Raffaella Milandri
Gentilissima Raffaella, le assicuro che qui si nutre un rispetto assoluto per le opinioni formate dal tempo, molto più che per quelle che si definiscono “informate”. Non vi è dubbio che ci sia un cambiamento, il problema è l’approccio che si ha e la convinzione che questo, in quanto dato per scontato che sia indotto da cause antropiche, debba necessariamente essere negativo, piuttosto che nell’ordine naturale delle cose. La ringrazio di cuore per aver voluto intervenire.
gg
Gentilissimo Guido grazie. gli Inupiaq vivono con grande preoccupazione soprattutto i vari tentativi di trivellare sui ghiacci davanti a casa loro. Mi dicevano che la scorsa estate ad esempio c’è stato più ghiaccio che in precedenza. Quanto ai cambiamenti climatici, fermo restando che la nostra vita è in ogni caso troppo breve per toccarli con mano (o almeno spero) , posso testimoniare che nelle grandi città dell’India , della Cina, del Nepal e di altri Paesi asiatici e africani , il sole non si vede più da anni, oscurato dallo smog. Grazie, un cordiale saluto
Gent.ma Raffaella,
le questioni che ha posto sono di importanza vitale per le popolazioni che vi si confrontano. Ma sono di natura strettamente ambientale e, se c’è stato un errore madornale molto condiviso negli ultimi anni, è stato quello di aver confuso nel comune sentire la questione ambientale e quella climatica. Tra l’altro, non so neanche quanto sia stato un errore e quanto un’azione deliberata. Penso sempre che più che vedere interminabili e inutili sforzi diplomatici volti a regolamentare le emissioni di gas serra, ne avremmo dovuti vedere di molto più rapidi e pragmatici volti ad intervenire sulle emissioni di particolato, proprio per le questioni che poneva nel suo ultimo commento che oltre ad essere impellenti, sono anche largamente verificate e con un livello di comprensione scientifica assai più robusto. Per non parlare dei benefici immediati che ne deriverebbero e che l’occidente ha già conosciuto da decenni. Ma questo non è mai accaduto e, sinceramente, non so spiegare il perché, se non per quella famosa scelta deliberata cui accennavo poco fa.
Grazie ancora per il suo intervento.
Un cordiale saluto,
gg
Luca Mercalli non è nuovo a sentenziare sull’AGW con notizie distorte e non validate scientificamente. Ricordo la serie di trasmissioni su TG 3 da lui curate contenenti numerose imprecisioni che feci rilevare con una mia lettera, ovviamente senza risposta. Però se vuoi emergere ed ottenere consensi occorre diffondere e sostenere il catastrofismo. Ad Al Gore, come noto, diedero addirittura un premio Nobel.
Uberto Crescenti
Caro Umberto, sinceramente per me non c’e’ niente di personale: non guardo la tv italiana e non leggo giornali mainstream, quindi non ho il “piacere” di conoscere certe persone per le loro imprese pregresse. Si esprime un commento su un articolo, chiunque lo scriva, e solo per i suoi contenuti, punto. Tra l’altro il primo dei due articoli obbiettivamente non e’ un pesismo articolo. Pessimo e’ il titolo. E spesso (se non di regola) il titolo e’ scelto da altri che il giornalista che scrive il pezzo.
Su certi giornali il titolo distorce completamente il contenuto stesso dell’articolo per sostenere a tutti i costi la linea editoriale. Purtroppo il livello di certo giornalismo e’ quello che e’, ce ne siamo fatta una ragione da molto tempo a questa parte, ormai.