Parte 2 – In Grecia prima di Socrate (qui per la Parte 1)
Esiodo e i presocratici
L’approccio fisico ai fenomeni naturali passa attraverso la presa di coscienza del fatto che i fenomeni meteorologici sono eventi naturali che hanno cause naturali. Tale presa di coscienza si registra di Esiodo (VIII-VII sec. a,.C.), che nella sua opera Le opere e i giorni attribuisce i fenomeni meteorologici a cause naturali (terrestri o astronomiche) e in base a tale presupposto ordina l’anno agricolo in base al sorgere e al tramontare di alcune importanti costellazioni e alle stagioni che esse annunciano. Per questo troviamo frasi del tipo della seguente: «Quando, poi, Zeus avrà fatto passare sessanta giorni invernali dopo il solstizio, ecco l’astro d’Arturo che, lasciate le sacre correnti di Oceano, appare sul far della sera per primo e più fulgente di tutti» (versi 564-567). In tal modo Esiodo si pone a capostipite di una lunga tradizione d’indagine sull’utilità prognostica in meteorologia di precursori geofisici o astronomici (nubi di forma particolare, direzione dei venti, sorgere di particolari stelle o costellazioni, ecc.) (Vallance, 2001). Sempre in Le opere e i giorni Esiodo riflette inoltre sulle cause dei fenomeni atmosferici, ad esempio sostenendo che la pioggia ha la sua origine nel vapore umido proveniente dal suolo. Tale affermazione sarà poi focalizzata da Aristotele che la confronta con quelle di alcuni filosofi presocratici (Senofane, Ippone e Parmenide). Il mondo dei presocratici è infatti ricco di riflessioni sulla Natura e in particolare ciò accadde in Talete di Mileto (640-547 a.C.), Ione di Chio (490-422 a.C.), Diogene di Apollonia (V secolo a.C.), Senofane (570-475 a.C.), Ippone di Reggio (V secolo a.C.), Empedocle (495-430 a.C.), Parmenide di Elea (541-450 a.C.) Anassimandro di Mileto (610-546 a.C.), Anassimene di Mileto (586-528 a.C.) e Empedocle (V secolo a.C.), per i quali la carenza di fonti dirette è in parte compensata da fonti indirette fra cui in particolare (Vallance, 2011):
- Aristotele (384-322 a.C.), il quale nelle sue trattazioni sui fenomeni meteorologici (presenti nei suoi vasti Meteorologica, nel libro I della Metafisica e nel De caelo) inizia presentando le idee dei suoi predecessori fra cui quelle di Talete, di cui ai suoi tempi non era sopravvissuto alcuno scritto
- Lucio Anneo Seneca (4-65 d.C.) che nel suo Naturales questiones richiama i giudizi in tema di meteorologia dati dai filosofi più antichi
- Diogene Laerzio (180-240 d.C.), tardo biografo dei filosofi greci e che nel suo Vite dei filosofi apporta fra l’altro testimonianze originali sugli stessi presocratici
- Alessandro di Afrodisia (II-III secolo d.C.) che commentando i Meteorologica di Aristotele cita le concezioni meteorologiche del presocratico Anassimene (586-528 a.C.).
E’ proprio in base alle idee espresse dai presocratici che Aristotele introduce il concetto di principio elementare originale, l’arché, indicando chiaramente che essa era approvata dai suoi predecessori: “essi affermano che è elemento e principio delle cose esistenti appunto ciò di cui tutte quante le cose esistenti sono costituite e da cui primamente provengono e in cui alla fine vanno a corrompersi, anche perché la sostanza permane pur cangiando nelle sue affezioni” (Metaphysica, A, 3, 983 b, 7). Talete lo identificava nell’acqua, prosegue Aristotele, Anassimene nell’aria, Empedocle postulava quattro «radici» – fuoco, aria, acqua e terra – e Anassimandro individuava un principio da lui detto «l’illimitato». L’idea di un divenire fisico come interazione di radici, pur rifiutata da Parmenide il quale ne sosteneva l’impossibilità logica appellandosi a un essere immutabile, offriva il substrato idoneo allo svilupparsi dei diversi eventi meteorologici, per cui ad esempio Anassimandro sosteneva la produzione dei venti da parte di soffi leggerissimi che si staccano dall’aria e, raccoltisi, si mettono in movimento; la pioggia a opera del vapore che sotto l’azione del Sole s’innalza dalla terra e, infine, i fulmini come risultato del vento che, piombando sulle nuvole, le squarcia (Vallance, 2001).
//ecco l’astro d’Arturo che, lasciate le sacre correnti di Oceano, appare sul far della sera per primo e più fulgente di tutti //
mi fa pensare a quando sulla Vespucci, alle prime armi con il sestante, ci suggerivano di prendere Arturo, che era “grosso come una casa” 🙂
Arturo della costellazione del Boote, a sinistra del timone del gran carro, a due volte la lunghezza del timone stesso. Stella bellissima, da osservare poco dopo il tramonto nei cieli primaverili ed estivi.
Luigi
Confronterei questa frase
// perché la sostanza permane pur cangiando nelle sue affezioni //
con il
// nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma //
di Lavoisier
Grazie, Guido, per lo spunto di riflessione.
ll “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma” che è la frase originariamente enunciata dal presocratico Anassagora, è assunta da Lavoisier come legge degli equilibri di reazione, per cui ad esempio nella fotosintesi abbiamo che ->
6 CO2 + 6 H2O -> c6H12O6 + 6 O2
(e se si inverte la direzione della freccia si ricava la reazione opposta e cioè la respirazione).
Che Lavoisier applichi la frase in termini quantitativi alle reazioni chimiche emerge dal suo traté elementaire de Chemie (1789), quando scrive che:
“On voit que, pour arriver à la solution de ces deux questions, il fallait d’abord bien connaître l’analyse et la nature du corps susceptible de fermenter, et les produits de la fermentation ; car rien ne se crée, ni dans les opérations de l’art, ni dans celles de la nature, et l’on peut poser en principe que, dans toute opération, il y a une égale quantité de matière avant et après l’opération ; que la qualité et la quantité des principes est la même, et qu’il n’y a que des changements, des modifications.” (https://fr.wikiquote.org/wiki/Antoine_Lavoisier)
La frase di Anasagora e di Lavoisier rispecchia perfettamente la frase aristotelica da te citata “perché la sostanza permane pur cangiando nelle sue affezioni “. Unica differenza è al tempo di Lavoisier si è ormai in grado di verificare quantitativamente cosa entra e cosa esce da una reazione chimica, per cui i risultati sono quantitativi. Al riguardo ricordo che nel 1804 il grande fisiologo vegetale Nicolas Theodore de Saussure (https://it.wikipedia.org/wiki/Nicolas-Th%C3%A9odore_de_Saussure) nel suo “Réchérches chimiques sur la vegetation” dimostra che le piante creano sostanza organica attingendo CO2 dall’atmosfera e lo fa ispirandosi al principio di Anassagora-Atistotele-Lavoisier applicando mezzi quantitativi che gli consentono di “tagliare la testa al toro” dimostrando la falsità del principio della corrente flosofica degli umisti secondo cui le piante attingevano il carbonio a loro necessario dalla sostanza organica del suolo.