Pubblichiamo a partire da oggi una Storia della Meteorologia a puntate scritta da Luigi Mariani. Ad essa seguirà nel breve volgere di qualche settimana, anche una Storia della Climatologia (Bibliografia e fonti al termine della serie). Buona lettura e buona domenica.
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Riassunto
Questo breve excursus sulla meteorologia dall’antichità ai giorni nostri ha come scopo principale di mostrare l’evoluzione di una disciplina che fin dall’antichità presenta caratteri paradigmatici rispetto alla storia della scienza, se non altri perché ad essa si sono dedicati scienziati come Aristotele e Galileo. Tale studio è riferito unicamente al mondo occidentale e dunque non vengono se non marginalmente presi in considerazione i contributi alla meteorologa che sono venuti da altre culture. Per quanto riguarda la trattazione della meteorologia nel mondo antico ho un particolare debito di riconoscenza nei confronti del testo di John Vallance (2001) dedicato alla meteorologia nel mondo greco.
Abstract
This overview on meteorology from antiquity to the present day has the main purpose of showing the evolution of a discipline that is exemplary with reference to the history of science, if nothing else because great scholars like Aristotele and Galileo devoted themselves to it. This study refers only to the Western world and contributions coming from other cultures are only marginally taken into account. Regarding my approach to the meteorology in the ancient world I’d like to acknowledge the importance of the contribution to my reflections of the text of John Vallance (2001) dedicated to meteorology in the Greek – Roman context.
Parte 1 – Le origini
Meteorologia nel mondo antico: ambito disciplinare, linguaggio specialistico e rilevanza
La meteorologia deriva il suo nome dal termine metéōros (e dalle sue forme affini, inclusa quella di metársios), che significa semplicemente ‘che è in alto’ (Vallance, 2001). Secondo l’etimologia, essa avrebbe quindi dovuto occuparsi esclusivamente dello studio dei fenomeni atmosferici, e vi era un consenso unanime nel ritenere che il compito del meteorologo fosse quello di studiare le «cose che accadono nel cielo» (è con questa espressione che il biografo della Tarda Antichità Diogene Laerzio (180-240), nel descrivere l’opera dedicata dallo stoico Posidonio a questo soggetto, spiegava il termine ‘meteorologia’). In pratica, però, la meteorologia trattava di una vastissima area di problemi naturali: dall’origine delle comete e dall’origine e dalla natura della Via Lattea, delle meteore, dei fulmini, dei venti, dei terremoti, dei vulcani, degli oceani e delle maree, fino alla formazione dei fiumi, delle montagne, delle rocce, dei minerali e dei metalli. Alcuni studiosi si concentravano su particolari tipi di problemi, ma, in generale, il termine ‘meteorologia’ era spesso impiegato per designare l’indagine della Natura nella sua totalità. La meteorologia antica fu pertanto materia di grande vastità e complessità e come tale può essere oggi assunta ad esempio paradigmatico delle scienze fisiche non esatte nel mondo antico (Vallance, 2011).
La nascita di una disciplina scientifica presuppone la presenza di un linguaggio specialistico ed infatti all’epoca di Platone e Aristotele venne coniata una terminologia meteorologica che comprendeva ad esempio il vapore (atmis), l’esalazione (anathymiasis), la trasformazione (metabolé), l’umido e il secco (hygron e xeron), rarefatto e denso (pyknon e manon) (Vallance, 2011).
Almeno quattro filoni di pensiero posso essere individuati nella meteorologia antica:
- un filone religioso che associa gli eventi meteorologici a cause divine e di cui permane traccia ad esempio nella Bibbia e in varie opere poetiche
- un filone teorico legato ai filosofi della natura
- un filone pratico proprio di agricoltori, marinai e medici
- un filone di contestazione fondata sul luogo comune secondo cui i filosofi sarebbero dei perdigiorno impegnati a speculare sulle cose del cielo e di sottoterra e che ha il proprio apice nella commedia Le nuvole di Aristofane.
Il filone religioso: eventi meteorologici e cause divine
Scrive acutamente Giacomo Leopardi (1899) che “Era naturale che i primi uomini, atterriti dalla folgore, e vedendola accompagnata da uno strepito maestoso e da un imponente apparato di tutto il cielo, la credessero cosa soprannaturale e derivata immediatamente dall’Essere supremo. L’agricoltore primitivo fuggendo per una vasta campagna, mentre la pioggia sopraggiunta improvvisamente, strepita sopra le messi e rovescia con un rombo cupo sopra la sua testa; mentre il tuono, che sembra essersi inoltrato verso di lui scoppia più distintamente e gli rumoreggia d’intorno; mentre il lampo, assalendolo con una luce trista e repentina, l’obbliga di tratto in tratto a batter le palpebre; rompendo col petto la corrente di un vento romoroso che gli agita impetuosamente le vesti, e gli spinge in faccia larghe onde di acqua, vede di lontano nella foresta una quercia tocca dal fulmine. Da quel momento egli riguarda quell’albero come sacro, concepisce per esso una venerazione mista di orrore, e non ardisce più avvicinarsi al luogo ove il fulmine è caduto. Il tuono e la folgore furono annoverati fra gli tributi della Divinità e fra gl’indizj più manifesti del suo supremo potere.” Queste parole ci richiamano al fatto the i fenomeni atmosferici e i loro effetti (alluvioni, siccità, ondate di caldo e di freddo, ecc.) impressionano da sempre l’uomo evocando la presenza della divinità (i fulmini scagliati da Giove, la tempeste prodotte dall’ira di Poseidone, i venti favorevoli non concessi da Artemide e che conducono al sacrifico di Ifigenia, ecc.).
Da una tale temperie è espressione la narrazione del Diluvio, per molti versi simile a quella biblica, tratta da Gilgamesh, poema epico dei popoli mesopotamici le cui prime testimonianze scritte risalgono al terzo millennio a.C.: I venti soffiarono per sei giorni e sei notti; fiumana, bufera e piena sopraffecero il mondo, bufera e piena infuriarono insieme come schiere in battaglia. All’alba del settimo giorno la tempesta dal Sud diminuì, divenne calmo il mare, la piena si acquietò; guardai la faccia del mondo e c’era silenzio, tutta l’umanità era stata trasformata in argilla. La superficie del mare si estendeva piatta come un tetto, aprii un boccaporto e la luce cadde sul mio viso. Poi mi inchinai, mi sedetti e piansi, le lacrime scorrevano sul mio volto poiché da ogni parte c’era il deserto d’acqua. Invano cercai una terra, ma a quattordici leghe di distanza apparve una montagna, e lì si arenò la nave; sul monte Nisir rimase incagliata e non si mosse. Per un giorno rimase incagliata, per un secondo giorno rimase incagliata sul Nisir e non si mosse; per un terzo e per un quarto giorno rimase incagliata sul monte e non si mosse; per un quinto e per un sesto giorno rimase incagliata sulla montagna. All’alba del settimo giorno liberai una colomba e la lasciai andare.
Il mito del diluvio, proprio di molte popolazioni umane (non solo Ebrei e Sumeri ma anche gli aborigeni australiani e i popoli pre-colombiani) è forse l’esempio più immediato del legame fra fenomeni atmosferici e la volontà divina che i nostri antenati stabilirono in virtù del potere di vita e di morte che i fenomeni atmosferici esercitavano su un’umanità che viveva per lo più all’aperto, in balia delle intemperie. Assai evocativa in tal senso è l’immagine in figura 1 ove si mostra la divinità suprema degli urriti Teshub che esercitava il proprio imperio sulle tempeste e sull’agricoltura.
Nella Bibbia (Esodo 9,23-34. 23) è così descritta la settima delle dieci piaghe d’Egitto: “Mosè stese il bastone verso il cielo e il Signore mandò tuoni e grandine; un fuoco guizzò sul paese e il Signore fece piovere grandine su tutto il paese d’Egitto”.
L’origine divina dei fenomeni atmosferici è anche presente nei poemi di Omero (Vallance, 2001) che sottintendono una cosmologia caratterizzata da una terra piatta, circolare e circondata alle sue estremità dal fiume Oceano, genitore di tutte le cose, dei inclusi. In tale contesto i fenomeni naturali (tempeste marine, terremoti, ecc.) sono suscitati dagli dei e pertanto la causa divina nei fenomeni naturali è un elemento cruciale.
All’approccio religioso si richiamano anche le visioni poetiche greche basate sui miti eziologici, per cui ad esempio il poeta Mimnermo spiega il succedersi del giorno e della notte dicendo che il Sole cavalca attraverso la volta celeste, e poi naviga attorno alla Terra sul possente fiume, prima di sorgere il giorno successivo (Vallance, 2001).
WOAOHHH!!!
Oggi su “il Giornale” Franco B. in un articolo fa riferimento ai opensieri di G.LEOPARDI.
Avra preso spunto da questo articolo?
Dario, se Franco B. avesse preso spunto da questi nostri dialoghi sarebbe un motivo di contentezza per tutti noi.
Caro Luigi
post davvero interessante, soprattutto per uno come me che non ha mai studiato la meteorologia e non ha idea della sua nascita e dei suoi sviluppi successivi. Posso immaginare facilmente l’originale descrizione dei fenomeni atmosferici, la paura per quelli più violenti e la loro attribuzione alla divinità locale -chiunque fosse- per varie colpe dell’uomo (direi che
c’è poco di nuovo sotto il sole …).
Mi resta però più difficile capire la nascita della meteorologia come scienza (cioè come osservazioni e modellazione): ho appena finito di rileggere il libro di Lucio Russo “La rivoluzione dimenticata” sulla nascita del metodo scientifico in epoca ellenistica (III-II sec a.C.) e sulla sua trasposizione a varie discipline (dalla medicina alla costruzione di automi,
dalla meccanica alla progettazione navale, dall’ottica alla scenografia, dalla misura del tempo alla medicina) ma
non ho trovato nulla che si riferisca alla meteorologia.
Sono fermamente convinto, con Russo, che la scienza moderna nasca dalla riscoperta delle poche opere ellenistiche salvate dalla distruzione della biblioteca di Alessandria e dalla pochezza scientifica dell’impero romano che usava come schiavi-progettisti gli ultimi scienziati ellenistici ancora in circolazione senza capirne la profondità progettuale, per cui non credo cheTorricelli possa essere considerato un padre della meteorologia ma, al massimo, qualcuno che cercava di capire il pensiero degli “antichi” (bruttissimo termine che negli storici della scienza ottocenteschi accomuna
la Grecia classica, gli ellenisti, la romanità in un guazzabuglio
inestricabile di concetti e metodi molto, molto diversi)
come Galileo -e credo la sua scuola- esplicitamente scriveva.
Mi chiedo quindi chi fossero i precursori della meteorologia scientifica che ovviamente nasce e si sviluppa, nella forma che conosciamo, tra il ‘400 e il ‘700.
Trascuro, almeno per ora, gli affascinanti racconti dell’epopea di Gilgamesh, del diluvio raccontato quasi con le stesse parole in varie parti del mondo (stesso evento “globale” o diffusionismo?), del Sole che compie il cammino notturno su una barca (perché una barca? Molti popoli che hanno
questa credenza vivevano lontani dal mare) e mi congratulo con te, Luigi, per la scelta dell’argomento storico. Franco
Caro Franco,
ti ringrazio per il commento. Al riguardo confesso che ho deciso di pubblicare a puntate queste riflessioni perché mi attendo commenti critici utili a migliorare la mia analisi.
Preciso anche che questa è solo la prima di 7 puntate, per cui ti invito ad avere un pò di pazienza: non riuscirò certo a rispondere in modo esaustivo alle tue domande ma qualche elemento in più emergerà, a partire dall’interesse dei filosofi presocratici per la materia.
Anch’io ho letto anni fà il libro di Lucio Russo e l’ho trovato per molti aspetti affascinante. Non ne ho con me copia per controllare e tuttavia ricordo che la meteorologia vi era trattata in modo molto marginale, il che è probabilmente è frutto della relativa trascuratezza che la materia ebbe in epoca ellenistica. In ogni caso nella prossima puntata troverai vari spunti sull’argomento.
Grazie e ciao.
Luigi
Caro Luigi, non ho dubbi sulla serietà e la completezza della tua analisi e, anche se nessuno ci crede, sono molto paziente . Franco
Caro Franco, perchè il sole su una barca? Un’idea potrebbe essere perchè molti di quei popoli venivano da una “patria” comune (Iperborei?) che aveva molto a che fare col mare, scappati poi a sud quando avvenne il crollo dell’Optimum climatico nel corso del 3 millennio A.C. Tradizioni vecchie di millenni, tramandate e via via adattate alla nuova realtà fisica e climatica.
Consiglio, al di là delle conoscenze che uno può avere dei classici greci, il libro di Felice Vinci “Omero nel Baltico”, che offre, perlomeno, molti spunti di riflessione.
Scusate se insisto, copioincollo una parte ma va letto tutto:
……L’Italia sarebbe più fredda oramai che la Groenlandia, se da quell’anno a questo, fosse venuta continuamente raffreddandosi a quella proporzione che si raccontava allora…..
Gentile Dario,
ho trovato il brano su Wikisource (https://it.wikisource.org/wiki/Pensieri_(Leopardi)/XXXIX). “Io credo che ognuno si ricordi avere udito da’ suoi vecchi più volte, come mi ricordo io da’ miei, che le annate sono divenute più fredde che non erano, e gl’inverni più lunghi;….”
E poi “Magalotti, il quale nelle Lettere familiari scriveva: “egli è pur certo che l’ordine antico delle stagioni par che vada pervertendosi. Qui in Italia è voce e querela comune, che i mezzi tempi non vi son più; e in questo smarrimento di confini, non vi è dubbio che il freddo acquista terreno. Io ho udito dire a mio padre, che in sua gioventù, a Roma, la mattina di pasqua di resurrezione, ognuno si rivestiva da state. Adesso chi non ha bisogno d’impegnar la camiciuola, vi so dire che si guarda molto bene di non alleggerirsi della minima cosa di quelle ch’ei portava nel cuor dell’inverno”. Ouesto scriveva il Magalotti in data del 1683. L’Italia sarebbe più fredda oramai che la Groenlandia, se da quell’anno a questo, fosse venuta continuamente raffreddandosi a quella proporzione che si raccontava allora.”
Peraltro la citazione da Magalotti trova riscontro in questa da Giovanni Targioni Tozzetti (1767): ” il freddo “fra le ore 2 e 4 della mattina del 14 aprile 1765 in momenti bruciò nelle pianure della Toscana gli Occhi delle viti, dei Peschi dei Fichi e dei Noci…”, tanto che ” da molti anni in qua abbiamo perso la bussola e non si riconoscono più le stagioni…abbiamo avuta la primavera nell’inverno, l’inverno nella primavera, la primavera nell’estate e l’estate è iniziata a mezzo settembre”. Insomma “l’ordine antico delle stagioni pare che vada pervertendosi, e qui in Italia è voce comune, che i mezzi tempi non sono più.”
Gli scritti di Leopardi costituiscono un ottimo angolo di visuale per cogliere la cultura e i luoghi comuni del suo tempo di cui fa un’analisi critica e non banale.
Ringrazio dunque molto per il riferimento, che inserirò sicuramente nella “storia della climatologia”, che pubblicherò nei prossimi mesi.
Luigi Mariani
Giacomo Leopardi – Saggio sopra gli errori popolari degli antichi. Capitolo 13 “DEL TUONO”
A soli diciassette anni Giacomo Leopardi elaborò un saggio…..
Gnetile Dario,
grazie per la segnalazione.
Al riguardo le segnalo che Il 1899 indica l’anno di edizione del testo della casa editrice Successori Le Monnier, che è così riportato nella bibliografia (che verrà pubblicata con l’ultima puntata):
Leopardi G., 1899. Del tuono, in Scritti letterari di Giacomo Leopardi ordinati e riveduti sugli autografi e sulle stampe corrette dall’autore per cura di Giovanni Mestica con discorso proemiale, Volume Primo, Firenze, successori Le Monnier, 269-287.
Comunque ha ragione lei, cambio il riferimento bibliografico perchè così’ non va. Luigi Mariani
1798+17=1815 G.leopardi scrisse “Il Saggio…” nel 1815.
Circa 20 anni dopo nei ” I Pensieri” al numero 39 ha scritto cose molto interessanti sulla percezione del clima.
A quel tempo imperversava il “global cooling” ma i messaggi erano gli stessi di oggi.
Molto interessante. Un arricchimento culturale.
La spiegazione di Mimnermo è in linea con le credenze egizie
https://it.wikipedia.org/wiki/Barca_solare_(Egitto)
Caro Guido, grazie per l’utile segnalazione.
Luigi
Da wikipedia Giacomo Leopardi
Nascita: Recanati, 29 giugno 1798
Morte: Napoli, 14 giugno 1837
Non coincide con il riferimento sopra del 1899