Questo articolo di Luigi Mariani e Alberto Guidorzi è uscito in origine su Agrarian Sciences il 18 giugno scorso.
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Sul sito INTERRIS è uscito l’articolo “
Allarme erbicidi a Roma: trovate tracce di glifosato in 14 donne incinta” di Milena Castigli.
Nell’articolo si dice fra l’altro che: “
I quantitativi riscontrati nelle 14 pazienti – si legge su Ansa salute – vanno da 0,43 nanogrammi per millilitro di urina fino a 3,48 nanogrammi. E’ impossibile dare un giudizio sulla pericolosità dal momento che non esistono quantità massime consentite. Quel che è certo, è che il glifosato non dovrebbe mai essere presente nel nostro organismo, tanto meno in quello dei nascituri”.
E poi si prosegue dicendo che:
“Indiziata numero 1 dell’avvelenamento, si legge nella ricerca, è l’alimentazione. Non solo pane, pasta, farina e altri prodotti a base di farina. Oltre l’85% dei mangimi utilizzati in allevamenti sono costituiti da mais, soia, colza Ogm, resistenti al glifosato“.
Ma quali sono i rischi? “Ci sono numerosi dati sperimentali che dimostrano come il glifosato induca necrosi e favorisca la morte cellulare programmata”, spiega Patrizia Gentilini, oncologa e membro del comitato scientifico di Medici per l’Ambiente. “Quindi si tratta di una sostanza genotossica oltre che cancerogena, come ha stabilito la Iarc, non dimenticando che l’erbicida agisce anche come interferente endocrino”. Dunque, una sostanza doppiamente pericolosa, non solo per la donna ma, in primis, per il feto. “Se non si cambia rotta nessuno può sentirsi al sicuro. Né può pensare che lo siano i propri figli, neppure se non hanno ancora visto la luce – raccomanda Riccardo Quintili, direttore de il Salvagente –. Tra le tante cose da cambiare c’è anche l’atteggiamento di chi dovrebbe istituzionalmente difendere i consumatori e invece spesso si macchia di conflitti di interessi che ne ottenebrano il giudizio“. Più chiaro di così…”
Qui di seguito sviluppiamo un calcolo che permette di porre nei giusti termini l’allarme lanciato dall’articolo.
Il calcolo viene svolto utilizzando la metodologia descritta in Nieman et al. (2015) e che si basa sui presupposti seguenti, validi per Glyphosate:
- completa escrezione del quantitativo assorbito (“ internal dose’’) che avviene tramite le urine, assenza di accumulo e metabolizzazione virtualmente assente o oltremodo limitata
- ADI (dose limite giornaliera accettabile e cioè che se assunta per tutta la vita non provoca effetti sulla salute umana) pari a 0.5 mg per kg di peso corporeo (EFSA, 2015).
Si considerano inoltre:
- un individuo adulto dal peso corporeo (BW) di 60 kg con produzione giornaliera di urina di 2 litri (UV)
- una concentrazione di glyphosate nelle urine (UC) pari rispettivamente a 0.43 e 3.48 nanogrammi per litro come indicato nell’articolo in questione.
Applicando la succitata metodologia otteniamo:
Per UC=0.43 nanogrammi per millilitro
Dose interna (ID)=UCxUV/BW=0.01433 microgrammi per kg di BW.
Percentuale di ID rispetto all’ADI=0.00287% (per raggiungere l’ADI occorrerebbe una dose interna pari a 34884 volte quella riscontrata).
Per UC=3.48 nanogrammi per millilitro
Dose interna (ID)=UCxUV/BW=0.11600 microgrammi per kg di BW
Percentuale di ID rispetto all’ADI=0.02320% (per raggiungere l’ADI occorrerebbe una dose interna pari a 4310 volte quella riscontrata).
Conclusioni
In sintesi i quantitativi presenti nelle urine configurano un quantitativo di glyphosate da migliaia a decine di migliaia di volte al di sotto della dose limite ritenuta innocua e cioè che non provoca alcun danno se assunta per tutta la vita. Inoltre glyphosate non è cancerogeno contrariamente quanto indicato nell’articolo di INTERRIS.
Pertanto le donne incinte riportate nell’articolo non stanno assolutamente correndo alcun pericolo e dunque l’articolo si configura a nostro avviso come un’operazione di stampo demagogico tesa a creare ingiustificato allarme nella popolazione. Più nello specifico si provi ad immaginare l’agitazione che può procurare la lettura dell’articolo a una donna in stato interessante e ai suoi cari. E se il procurato allarme è un reato riteniamo dovrebbe essere perseguito a norma di legge.
Bibliografia
Efsa, 2015. Conclusion on the peer review of the pesticide risk assessment of the active substance glyphosate, EFSA Journal 2015;13(11):430.
Niemann L., Sieke C., Pfeil R., Solecki R., 2014. A critical review of glyphosate findings in human urine samples and comparison with the exposure of operators and consumers, Journal of Consumer Protection and Food Safety, (2015) 10:3–12, DOI 10.1007/s00003-014-0927-3.
Di sicuro è più economico per il consumatore e produrre industrialmente di più e in meno tempo significa dare più cibo, più fruibile a basso costo alla popolazione mondiale in costante aumento. Di sicuro come scrive sia Guido che Donato il gusto non è lo stesso, ma io vorrei sapere se effettivamente in questa corsa al basso costo e al prodotto raffinato si trovi qualche insidia a livello salutare che oggi non conosciamo.
Errata corrige
“Per esempio nel mio caso producendo grano,autoimpastandomelo e cuocendolo in forno io risparmierei 730€/anno nel mio bilancio familiare e utilizzerei il mio tempo libero per autoprodurre pane .”
Il problema è l’autoproduzione di grano. Considerando i costi di produzione del grano spenderesti lo stesso o poco meno. Prova a valutare il tempo impiegato a produrre il grano, quello necessario a produrre il pane ed i costi vivi, cioè lavorazioni del terreno, cure colturali, raccolta, conservazione e consumi energetici e vedrai che arrivi ai 730 euro per anno.
Io produco direttamente tutte le verdure e la frutta che consumo, i salumi (esclusa la materia prima per la quale mi affido ad un amico allevatore), le confetture, i sottaceti et similia e posso garantirti che, facendo i conti, da un punto di vista puramente economico, non conviene.
L’unica cosa che mi spinge a continuare imperterrito ad utilizzare buona parte del mio tempo libero nell’impresa, è il gusto, il sapore, la bontà che trovo nelle cose che produco e che nulla hanno a che spartire con ciò che normalmente si compra.
Dice un vecchio detto che “dove c’è gusto, non c’è perdenza (perdita)”! 🙂
Ciao, Donato.
Anche io la lavorerei per passione e perderei ugualmente lo stesso tempo per fare altro. SIcuramente lo farebbero anche molti altri se il pane costasse si più, se ci fosse meno disponibilità di denaro e se ci fosse più fame, mangeremmo tutti cibo di maggior qualità.
Il fornaio mi dà il pane ma non mi dà gli ingredienti con cui lo ha fatto e questa mi pare una difformità di trattamento nel commercio al dettaglio.
Sono d’accordo con te, Donato.
Anch’io ho mangiato i prodotti del mio orto, e mi sarebbe costato molto di meno comprarne al negozio. Hanno un altro sapore.
Anch’io mi sono autoprodotto lo yoghurt.
Era buonissimo.
Se adesso non lo faccio più è perché sono pigro, e alla fine mi sono arreso.
Quei dannati degli alberi di limone ora non producono più un limone, solo foglie.
I prugni, l’albero dei bambini, secondo i Cinesi, mi producono tutto assieme, un’abbondanza che non ho il tempo di mangiare, e poi marciscono.
Non sono un contadino, non sono un giardiniere, ed è un vero peccato non avere questa passione.
Io amo i libri, amo studiare, non prendermi cura dell’orto.
Sì, lo ammetto, faccio outing, sono colpevole di pigrizia verso il mio orto.
A me piace solo strafogare gli ottimi prodotti della terra, come quelli che qualcuno ogni tanto mi porta.
Però se vado al negozio, la roba mi costa dieci volte di meno (dico per dire, non ho fatto un conto preciso, ma se ci metti il costo di un contadino, sono andato basso). Non è così buona? Vero.
Cari Luigi e Alberto, i miei nonni e zii sono nati in mezzo alla vita contadina dei primi del novecento e sono mancati quasi tutti ultranovantenni. In particolare producevano pane con lievito madre e lo infornavano una volta a settimana per poi mangiarlo nell’arco dei 7 giorni, visto che i pani antichi si conservavano meglio di oggi.
La vita era di quelle faticose, si lavorava al caldo nei campi e non avevano bisogno di integratori, nè tantomeno di prodotti gluten free per ricaricarsi di sostanze nutritive.
Il boom degli integratori e dei prodotti senza glutine sono una realtà, ma meno reali sono i vantaggi per il consumatore. Sappiamo tutti che con certe regole UE si può consentire di far commercializzare certi prodotti con sostanze elaborate. e raffinate industrialmente.
L’industria molitoria vuole grani di forza perchè così producono a basso costo e più velocemente i loro prodotti e senza il lievito madre che era un toccasana per l’assimilazione delle sostanza nutritive da parte del nostro organismo.
Il mainstream mi pare coprire molto certi dati di fatto che altrimenti potrebbe ripercuotersi nel sistema consumistico occidentale e ai danni dell’industria.
Per esempio nel mio caso comprando pane,autoimpastandomelo e cuocendolo in forno io guadagnerei 730€/anno nel mio bilancio familiare.
Cosa ne pensate? sto scrivendo inesattezze secondo voi?
Beh, il “bello” deve ancora arrivare: diverse regioni si stanno attrezzando per analizzare la concentrazione di glyphosate nel monitoraggio ambientale delle acque, che finora spesso non veniva effettuato richiedendosi di fatto (costosi) strumenti dedicati. E’ facile prevedere concentrazioni diffusamente abbondantemente superiori agli EQS (standard di qualità ambientale), con conseguente campagna mediatica per il bando definitivo. Il punto è che nella normativa italiana gli EQS per il glyphosate non sono espliciti, ma ricadono nella categoria “altri pesticidi” per i quali vale la regola “e di sale un pizzichin” (dove per “sale” si intende qualsiasi fitofarmaco non considerato esplicitamente e per “pizzichin” 0.1 microgrammi/litro), evidentemente ritenendo che per un prodotto di così scarso rilievo in termini di diffusione non valesse la pena effettuare approfondimenti riguardo criticità ambientali per determinare EQS ad hoc…, i valori di EQS proposti in alcuni studi internazionali, si aggirano sui 30 microgrammi/litro (circa 300 volte il “pizzichin” italiano), mo’ che facciamo?
E poi, è cancerogeno o no? Da una parte si è pronunciata una oncologa (nell’articolo originale), dall’altra i due autori della risposta che non mi pare però abbiamo competenze in merito.
Quindi, dove sta la verità?
Un cittadino ignorante in materia è ovviamente portato a dare più attendibilità alle parole di un oncologo.
NON è cancerogeno, e nemmeno tossico. La scheda di sicurezza dell’erbicida, fatta per chi ci lavora (quindi MOLTO più esposto al reagente rispetto alla popolazione generale) lo classifica come “lieve irritante per la pelle e gli occhi”. Come l’alcool etilico e un po’ meno dell’acqua ossigenata, per intenderci. La scheda di sicurezza in inglese: http://bit.ly/2sAoGmK o qui: http://bit.ly/2sPIOmY (due diverse formulazioni).
Sul sito dell’AIRC (Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro) si trova questo:
http://www.airc.it/cancro/disinformazione/glifosato-erbicida-cancerogeno/
Qui il profilo tossicologico aggiornato: https://www.efsa.europa.eu/it/press/news/151112
“Il rapporto conclude che è improbabile che il glifosato costituisca un pericolo di cancerogenicità per l’uomo”.
Le schede di sicurezza per gli operatori evidentemente lo sapevano già 🙂
Ma i due autori della risposta hanno anche tentato di contattare l’autrice dell’articolo “denuncia”?
Andrebbe contestualizzato un po meglio il discorso e specificare che per il Glifosato è scaduto il Brevetto Internazionale ed ora a produrlo, a basso costo, è la CINA e non più la (ex) Monsanto.
Ad ogni modo resta il discorse, che nell’articolo si riesce ad intuire da un’analisi attenta, che c’è una campagna denigratoria post-scadenza del brevetto. Quindi risulta un discorso fazioso e basato quasi esclusivamente su motivazioni “economiche” e “politiche”.
Ve la raccomando la dott.ssa Gentilini!
Basta leggere qualche suo articolo demenziale sul FQ per rendersi conto con chi si ha a che fare!
Massì, eliminiamo il glifosato e tutti gli erbicidi, insieme a i fertilizzanti e alle macchine agricole a combustione interna, così quei bambini non avranno mai problemi con la chimica.
Creperanno di fame ben prima…..