Qualcuno ha ancora dei dubbi circa il fatto che lo studio ammazza-pausa uscito appena prima del summit di Parigi sia servito solo a spianare la strada agli accordi? Nature Climate Change:
The subtle origins of surface-warming hiatuses
Infingarde queste pause del riscaldamento globale. Non solo esistono, malgrado dopo aver individuato decine di possibili cause della loro occorrenza se ne sia decretata l’esistenza solo in dipendenza dal fatto che non siamo capaci di osservare correttamente il sistema – per la serie se la realtà non mi piace la cambio – ma continuano anche a mettere in discussione la validità delle proiezioni – per la serie l’immaginazione non basta.
Secondo questo paper di fresca stampa, né i gap nelle osservazioni, né le altre ipotesi avanzate per spiegare perché malgrado la persistenza del forcing da CO2 la temperatura ha smesso di aumentare hanno centrato il problema. Per farlo, scrivono, bisogna guardare in alto, verso il top dell’atmosfera, con la consapevolezza che forse una spiegazione vera e propria non la troveremo mai.
Sorge a questo punto un altro dubbio: ma se queste pause sono vere e dunque possibili, e se i modelli di cui disponiamo non riescono ad intercettarle, forse non si dovrebbero basare le policy climatiche su quei modelli.
Troppo razionale? Forse sì, dal momento che, sempre fresco di stampa, ecco un altro paper che, ignaro di tutta la vicenda, prende quelle proiezioni per oro colato, le applica al mondo finanziario e “scopre” che, in fondo, delle sane politiche di riduzione delle emissioni che prevedano una idonea transizione verso un mondo libero dai combustibili fossili (ma con la luce spenta) non avrebbero un impatto così serio sul sistema bancario, mentre ne avrebbero uno devastante sui fondi di investimento.
A climate stress-test of the financial system
Incidentalmente, pare che l’esposizione dei fondi di investimento sui settori che riceverebbero l’impatto maggiore da queste politiche salvamondo ma non salvadanaio, sia pari alla capitalizzazione delle banche.
Avete capito ora che gridare al disastro climatico senza avere la più pallida idea di quello che sta realmente accadendo non è un gioco?
[…] resto, appena pochi giorni fa, abbiamo commentato un paper uscito su Nature che riconosce l’esistenza della “pausa” del global warming (o rallentamento se […]
Questo titolo raggiunge l’apice del top: “la pausa c’è”.
Dopo che 2014, poi 2015 e poi 2016 a livello globale sono stati i 3 anni più caldi dal 1880 viene detto la pausa c’è!
Bellissimo!
CommentoSignor Guido, dovrebbe dare un’occhiata alle previsioni di Giuliacci su questa Estate, sostenendo che non sarà facile prevedere come sarà ma sarà più facile prevedere quella del 2018: e sarà tremenda…La prego vada a dare un’occhiata e faccia qualche riflessione, magari non nominando direttamente il giuliacci. La prego ci stemperi…
Grazie di esistere, tutti voi di Attività Solare.
No grazie, certe cose mi rendono nervoso 😉
gg
[…] un recente post G. Guidi ha segnalato un interessante articolo, pubblicato su Nature Climate Change. in cui C. […]
“….suggests that the origin of the recent hiatus may never be identified.””
Scusatemi io sono un banale ingegnere ma se in un sistema termodinamico chiuso ad un certo punto manca dell’energia ,a quanto pare non poca, o la sorgente non emette quanto previsto o ho delle perdite per irraggiamento . Non esistono altre soluzioni
Guido, ottimo post che mi ha suggerito molte riflessioni: non ci stavano tutte in un commento, per cui questo post avrà un seguito. 😉
Ciao, Donato.
“Sorge a questo punto un altro dubbio: ma se queste pause sono vere e dunque possibili, e se i modelli di cui disponiamo non riescono ad intercettarle, forse non si dovrebbero basare le policy climatiche su quei modelli.”
Il dubbio c’è, Guido, ce l’abbiamo da anni e ce lo teniamo. Tuttavia penso che il sistema non se ne faccia nulla dei nostri dubbi, nel senso che dopo aver ammantato di autorevolezza e veridicità previsioni che non valgono la carta su cui sono scritte, al resto pensano i maghi della comunicazione, quelli capaci di mettere in marcia il gregge.
In sostanza, come ben dici nella parte finale dell’articolo, il gioco è troppo grande per essere lasciato ai climatologi o ai modellisti, i quali fanno solo da “mosche cocchiere” a interessi molto più grandi di loro..
D’altronde, parliamoci chiaro, se davvero si volesse staccare la spina alla crescita di CO2 che tanto ci preoccupa, lo si potrebbe fare in qualunque momento puntando decisamente sul nucleare e piantandola una volta per tutte con i barnum tipo Parigi e Marrakech. Ma dove finirebbero allora gli interessi dei petrolieri? E quelli della green economy?
Peraltro penso che a questo punto il dubbio di non essere altro che “mosche cocchiere” dovrebbe attanagliare non solo i climatologi e i modellisti ma gli stessi ambientalisti, che a furia di dire no si sono auto-condannati a questo ruolo.
Grazie Guido perché con i tuoi scritti stimoli queste riflessioni su “a che punto è la notte”.
Luigi