No, per dirla come gli autori di un interessante articolo che fa il punto sullo stato dell’arte della conoscenza sulla relazione causale tra il riscaldamento dell’Artico, la giuria è ancora fuori dall’aula.
Nella trasposizione nel mondo reale del riscaldamento globale e suoi derivati, primo tra tutti il disfacimento climatico, gli effetti reali, presunti o previsti sul tempo di tutti i giorni sono un argomento topico. Nessuno, tranne chi fa ricerca sul clima, sarebbe in grado di accorgersi del clima che cambia se questo fosse riferito – come in effetti è – al solo aumento di 0,8 decimi di grado della temperatura media globale. Perché tutto questo diventi tangibile devono essere più forti le piogge, più insopportabile il caldo, più rigido il freddo etc etc. Ma quanto di tutto ciò è realmente attribuibile al cambiamento piuttosto che alla intrinseca variabilità naturale del sistema? E, questa attribuzione, può trovare la sua origine nei cambiamenti che avvengono nell’Artico?
Può effettivamente l’amplificazione artica – il fatto cioè che le alte latitudini settentrionali si scaldano di più del resto dell’emisfero – avere effetti sul motore del tempo atmosferico, la corrente a getto, e quindi averne sul tempo osservato?
Il riscaldamento dell’Artico e la conseguente perdita di massa glaciale, hanno già avuto effetti sulle condizioni atmosferiche delle medie latitudini?
Queste dinamiche, se possono essere distinguibili dalla variabilità naturale, a prescindere dal fatto che possano già avere avuto un effetto tangibile, potranno giocare un ruolo significativo in futuro?
Queste le tre domande che si sono posti gli autori di questo articolo:
The impact of Artic warming on the midlatitude Jet Stream: Can it? Has it? Will it?
Con riferimento alla prima domanda, l’unica indagine possibile deve essere condotta con approcci di tipo modellistico, tentando di modulare le variabili in gioco per valutarne l’effetto. In letteratura, il risultato di questo approccio è molto incerto. Due gli elementi di incertezza fondamentali: l’ampiezza degli effetti del riscaldamento, pur confermandone il ruolo, è minimale rispetto alla potenza del segnale della variabilità naturale. I risultati delle simulazioni, inoltre, sono largamente discordanti.
La seconda domanda. La posizione media del getto può variare anche di 10° di latitudine tra una stagione e l’altra. Ancora una volta, l’analisi della letteratura disponibile non consente di identificare un segnale chiaro con riferimento al passato. La conclusione cui giungono gli autori è che quello che abbiamo visto negli ultimi anni è semplicemente il risultato di quello che il sistema, con o senza il riscaldamento dell’Artico e la perdita di massa glaciale, ha in serbo per noi.
E infine il futuro, scuro per definizione. Ma non in quanto cupo, quanto piuttosto perché imperscrutabile. Facendo correre i modelli climatici ritenuti più validi, si scopre che nella maggior parte dei casi questi prevedono uno spostamento verso nord della corrente a getto in tutte le stagioni tranne che in inverno, mentre i modelli forzati con l’evoluzione reale delle temperature e della massa glaciale nell’Artico individuano uno shift verso sud della corrente a getto. Bene, un getto più a nord è tipicamente associato con meno frequenti situaizoni di blocco e meno frequenti eventi intensi, ossia il contrario di quanto prospettato come relazione causale tra il riscaldamento dell’Artico e gli eventi estremi. Infine, le dinamiche dell’Artico sono uno degli elementi da considerare e la loro influenza sul tempo atmosferico delle media latitudini non è lineare, quanto piuttosto condizionata da altri numerosi fattori.
Torniamo quindi dove abbiamo iniziato con qualche ragione in più per giustificare l’assenza di un verdetto. Interessante, occorrerà ricordarsene laprossima volta che qualcuno emetterà una sentenza senza appello.
Un precisazione: l’articolo a cui il post fa riferimento è stato pubblicato nel 2015 (http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/wcc.337/abstract).
Mi permetto inoltre di lasciare qualche traccia di precedenti lavori:
“Different measures of amplitude show notably different trends, and in many cases the trends are of opposing sign … Over the European-Atlantic region in summer, we observe significant, but opposing, meridional and zonal amplitude trends. These contrasting trends have different and complex possible implications for European summer weather, which further work will seek to address” (Screen and Simmonds, 2013, Geophysical Research Letters)
“We have described a possible dynamical mechanism for how global warming might contribute to future extreme summer events … The atmospheric wave quasiresonance described here as a mechanism for weather extremes can explain the magnitude of several recent extremes … The data and results we present suggest that atmospheric conditions already might have changed to the extent that the considered quasiresonant wave amplification may occur rather frequently” (Petoukhov et al., 2013, Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America)
“Long-term change in planetary wave amplitudes, if present, are not statistically significant and emphasize the need for caution when linking the increased occurrence of weather extremes to amplified planetary waves” (Screen and Simmonds, 2013, Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America)
“We feel we identified a physical mechanism that helps to understand the exceptional nature of many recent extreme” (Petoukhov et al., 2013, Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America)
“Previous studies have suggested that Arctic amplification has caused planetary-scale waves to elongate meridionally and slow down, resulting in more frequent blocking patterns and extreme weather … it is demonstrated that previously reported positive trends are likely an artifact of the methodology … We conclude that the mechanism put forth by previous studies … appears unsupported by the observations” (Barnes et al., 2013, Geophysical Research Letters)
“A series of weather extremes have hit the Northern Hemisphere mid-latitudes in recent years, such as the European heat wave in summer 2003, cold and snowy winters in 2009/10, 2010/11 and 2013/14 in the northeast United States, the Russian heat wave in summer 2010, the Texas drought of 2011, and the summer 2012 and winter 2013/14 floods in the United Kingdom … The months of extreme temperature and the months of extreme precipitation lie relatively evenly through the 34-year period, and there is no long-term trend” (Screen and Simmonds, 2014, Nature Climate Change)
Come al solito possiamo dire che in campo climatologico è tutto molto chiaro, abbiamo capito tutto ciò che c’era da capire e restano da definire solo i dettagli. 🙂
Una domanda continua a girarmi per la testa da diversi anni senza che riesca a trovare la risposta: possibile che solo su questo blog si discuta di queste “incongruenze” mentre per tutti gli altri la scienza ha espresso in modo inequivocabile il suo responso in materia climatologica con un consenso che supera il 97%?
Mah!
Ciao, Donato.
@Donato
A proposito della tua domanda ricorrente… parecchi anni di esperienza diretta con/su svariati blogs mi stanno convincendo del fatto che questo blog unico perche’ non ha interessi diretti nel promulgare il dogma CAGW.
Continuate cosi’, per favore.
Saluti.