Energia e vita
Tutti gli esseri viventi del pianeta, dai batteri alle balene, hanno in comune una molecola fosfatica, l’ATP, che funge da vettore energetico per i diversi processi metabolici. Grandi differenze si hanno invece nella fonte dell’energia per i processi metabolici, in base alla quale distinguiamo gli esseri viventi nelle tre grandi categorie degli autotrofi fotosintetici, degli autotrofi chemiosintetici e degli eterotrofi. In sintesi dunque l’energia che attiva le catene metaboliche è alla base della vita sul pianeta. Al riguardo mi fa piacere segnalare questo brano di Vaclav Smil, tratto da un suo testo introduttivo alla bioenergetica disponibile in rete nel sito della Treccani:
Il giorno in cui iniziai a scrivere questo testo la temperatura esterna nella maggior parte delle praterie canadesi era inferiore a −30 °C con punte di −40 °C, se si considerava il fattore raffreddamento dovuto al vento. Guardando però fuori dalla finestra della cucina mi accorsi che intorno alla mangiatoia appesa a una vecchia pianta rampicante si era radunato il consueto gruppo di piccoli uccelli: cince, picchi muratore pettobianco, fringuelli e gli ubiquitari passeri che cercavano di farsi largo per raggiungere i semi neri dei girasole. Questa scena così familiare è in realtà una delle più sorprendenti lezioni di bioenergetica, lo studio della fissazione, della conversione e dell’utilizzazione dell’energia da parte dei sistemi viventi. Quei piccoli volatili, la maggior parte dei quali pesa meno di 15 g, mantengono la temperatura corporea interna a 40 °C, tre gradi in più rispetto a quella dei grandi mammiferi. Ciò significa che durante i freddi inverni canadesi si stabilisce un gradiente di temperatura dell’ordine di 80 °C attraverso i tre cm circa di spessore del loro minuscolo corpo, ossia tra i loro cuori dal battito veloce e la punta delle loro piume arruffate. Tutto ciò è straordinario, e tutto quello che gli uccelli devono fare è continuare a consumare i semi neri ricchi di olio e perciò di energia (i semi dei girasole rispetto a quelli dei cereali contengono circa 23 kJ/g, cioè il 50% in più di materiale digeribile ricco di energia) a una velocità che libera dal loro efficiente metabolismo enzimatico una quantità di calore superiore a quella persa per irraggiamento e convezione dai loro piccoli corpi. Per giungere a questa verità, all’apparenza tanto semplice, è stato necessario però molto tempo. La comprensione dell’equivalenza delle energie e del modo in cui funzionano il metabolismo animale o la fotosintesi vegetale e batterica è diventata possibile molto tempo dopo il calcolo dei tempi e dei luoghi delle eclissi solari.
Ho riprodotto per intero queste considerazioni di Smil perché rimandano in modo molto efficace all’importanza dell’energetica nel mondo biologico, le cui catene alimentari sono in larghissima misura basate sulla fotosintesi che si fonda sull’energia del sole, mentre un ruolo più circoscritto (ma comunque essenziale in termini ecosistemici) lo riveste la chemiosintesi che si fonda sull’energia di legame chimico.
Energia e filiere agro-alimentari
Nelle filiere agro-alimentari l’efficienza energetica può essere indagata per mezzo del rapporto G fra gli input energetici da parte dell’uomo ed il contenuto energetico del prodotto finale. Il termine G è stato indagato dall’amico Gianluca Alimonti il quale ha recentemente pubblicato sulla rivista scientifica EPJ plus un articolo scritto a più mani con gli studenti del suo corso di energetica dal titolo
Edible Energy: balancing inputs and waste in food supply chain and biofuels from algae”
il quale conclude un’iniziativa svolta nell’ambito di Expo 2015 per valutare gli input e gli output energetici delle catene agro-alimentari.
Debbo dire che in passato mi sono sempre e solo occupato di consumi energetici a livello di campo senza indagare quanto accade lungo le intere filiere a monte (produzione e commercio dei mezzi tecnici quali macchinari, concimi, carburanti, fitofarmaci) e a valle (stoccaggio , trasformazione e commercializzazione all’ingrosso e al dettaglio dei prodotti agricoli). Limitandomi al campo sapevo che rispetto agli input, gli output erano in certi casi maggiori e in altri minori, pur non scostandosi mai moltissimo dall’equilibrio (G=1).
Considerando però le intere filiere agricolo-alimentari, i dati peggiorano sensibilmente come Alimonti et al. mostrano descrivendo l’energia impiegata per la trasformazione, il packaging e i trasporti (figura 1). Un’idea complessiva al riguardo ci viene da un vecchio lavoro di Hendrikson dal titolo “Energy Use in the U.S. Food System: a summary of existing research and analysis” che è reperibile a questo link e dalla cui figura A si evince che il sistema agricolo alimentare USA nel 1975 consumava 2400*10^12 kcal per produrre circa 280 * 10^12 kcal. I rapporti fra input e output sono grossomodo di 10 a 1. Occorre al riguardo rammentare che il sistema agricolo-alimentare USA era probabilmente molto meno efficiente nel 1975 di quanto non lo sia oggi e ciò ci rimanda alla necessità di effettuare conteggi complessivi aggiornati all’attualità.
Ma l’aumento degli input energetici è da considerare come positivo o negativo? Al riguardo l’articolo di Alimonti et al. inizia affermando che all’epoca della rivoluzione neolitica, circa 10.000 anni fa, per ogni caloria di lavoro muscolare compiuto, l’agricoltore otteneva da 15 a 40 calorie di nutrimento, ma per nutrire un essere umano occorrevano alcuni ettari di arativo mentre oggi occorrono 0,2 ettari. Tale dato ci riporta al fatto che l’aumento dell’intensità energetica ha consentito di ridurre in modo sostanziale la superficie agricola necessaria per nutrire un essere umano, consentendo così al genere umano di superare i 7 miliardi di individui che per oltre il 50% sono inurbati. Per fare un esempio, il frumento in Italia è passato da una resa media ettariale di 10 quintali del 1910 a una di 60 quintali del decennio più recente. Ciò per effetto di un’industria sementiera che fornisce varietà più produttive, una meccanizzazione che permette una migliore preparazione del letto di semina, più efficaci operazioni colturali e minori perdite di raccolta, una nutrizione molto più efficace garantita dai concimi di sintesi, fitofarmaci che evitano perdite produttive dovute agli attacchi fungini, ecc. A ciò si aggiunga un sistema a valle del campo che conserva la produzione e la commercializzazione del prodotto finale orientandolo verso la produzione di pane, pasta, biscotti, ecc.
L’elevata intensità energetica delle filiere è anche funzionale alla sicurezza alimentare. In proposito Alimonti t al. mettono ad esempio in evidenza i consumi energetici legati al packaging, che tanta importanza ha per la qualità degli alimenti.
D’altro canto l’elevata intensità energetica delle filiere agro-alimentari moderne pone inevitabilmente il problema di cosa potrebbe accadere se le fonti di energia fossile si riducessero e qui personalmente penso che in un simile caso sarebbe possibile approdare con relativa rapidità a soluzioni energetiche alternative. In ogni caso Gianluca si pone il problema della razionalizzazione delle filiere agro-alimentari quando parla ad esempio della necessità di:
- Sfruttare per scopi energetici una parte dei residui colturali evitando tuttavia di eccedere onde evitare effetti negativi sulla fertilità dei suoli
- Razionalizzare l’utilizzo dei concimi organici di origine animale
- Sfruttare più a fondo le opportunità offerte dalle colture di alghe che presentano un’efficienza davvero interessante
- Evitare gli sprechi di cibo
Temi cui aggiungerei da parte mia le opportunità in termini di contenimento dei consumi energetici oggi offerte dalle tecniche di agricoltura conservativa e di precisione.
In complesso dunque un articolo quello di Gianluca Alimonti e dei coautori che porta a riflettere su un aspetto, quello dell’energia, tanto fondamentale per la sicurezza alimentare globale.
Molte grazie per una descrizione sistemica nuova per me. Così ben spiegata sembra ovvia, ma non ci avevo mai pensato!
Un’eccellente riflessione che dovrebbe portare a rivedere le enormi speculazioni che sempre più ci sono presentate dai media quando parlano di energia e cambiamenti climatici, condizionati in ciò dalla retorica speculativa degli adepti alle teorie climalteranti.
Sarebbe bello che questo articolo venisse letto dal mondo della scuola, a cominciare dalle medie per aiutare ed indurre i nostri giovani all’approfondimento quando sono ubriacati dalle
teorie catastrofiste.