Recentemente è stato pubblicato su EPJ Plus l’articolo “Carbon plants nutrition and global food security” in cui Luigi Mariani affronta coraggiosamente il tema dell’effetto di fertilizzazione della CO2, con lo scopo di valutarne in termini quantitativi l’impatto sulla produzione agricola mondiale.
L’importanza della CO2 nell’ecosistema non viene solo dall’essere un gas serra ma anche e soprattutto dall’essere un fondamentale input nel processo fotosintetico che fornisce la materia prima alla larghissima maggioranza delle catene alimentari del nostro pianeta. La premessa al lavoro è dedicata fra l’altro a descrivere come grazie alle attività di scienziati come De Saussure, Arrhenius e Menozzi sia stata raggiunta la piena consapevolezza sul ruolo delle CO2 come molecola che chiude il ciclo del carbonio costituendo il vero e proprio mattone della vita sul nostro pianeta.
L’argomento come si capisce è delicato se non quasi un tabù, tanto che a fronte di un oramai comprovato effetto di “global greening” dovuto, come si legge in “Greening of the Earth and its drivers” di Z.Zhu et al., per il 70% alla CO2 e che ha portato negli ultimi 33 anni ad una crescita del verde planetario equivalente al doppio della superficie degli USA, si parla ancora, anche nelle alte sfere…., di desertificazione! Per questo ho scritto “affronta coraggiosamente”.
Il tema viene studiato con un modello meccanicistico in cui la fotosintesi produce materia organica che viene progressivamente ridotta dall’azione delle diverse limitazioni (termiche, idriche, ecc.) fino a giungere al prodotto finale. Tale schema modellistico a base fisiologica è guidato dai dati climatici della FAO ed applicato ai raccolti di frumento, mais, riso e soia (WMRS) che forniscono attualmente il 64% dell’apporto calorico alla popolazione globale. Sono stati simulati 5 diversi scenari con le condizioni riportate nella tabella seguente.
Osservo che la crescita di T è coerente con quanto prevedono i GCM.
Lo studio è molto dettagliato e prende in considerazione la presenza o meno di stress sia biotici che abiotici, la possibilità della migrazione latitudinale delle coltivazioni e le limitazioni imposte da possibile carenza di acqua.
Le conclusioni sono attente e ragionate e quelle che mi hanno colpito maggiormente sono:
- Come c’era da aspettarsi, una nuova era glaciale avrebbe un effetto dirompente sulla produzione globale, con una riduzione a circa la metà dei valori attuali.
- Se tornassimo ai livelli preindustriali di temperatura e CO2 atmosferica si avrebbe una diminuzione stimata della produzione globale annua di WMRS di quasi il 20%. Dopo tutti gli sforzi fatti per aumentare la produzione e soddisfare le necessità alimentari della crescente popolazione mondiale, questo sarebbe un bel passo indietro.
- Nei due scenari futuri, le mutate condizioni ambientali, a parità di tutto il resto, aumenterebbero la produzione globale, che non sarebbe comunque sufficiente a soddisfare le esigenze alimentari della popolazione che nel 2050 è stimata essere di 9.7 miliardi di persone. Tali esigenze sarebbero invece soddisfatte se, oltre al contributo positivo di CO2 e temperatura, ci fosse anche un’attenta gestione della risorsa acqua, vero fattore limitante dell’agricoltura mondiale.
Gli scenari studiati in questo lavoro sono un esercizio utile per valutare gli effetti di diversi fattori limitanti sulla crescita delle principali colture e dare una prospettiva utile per pianificare i futuri sviluppi dell’agricoltura su una scala globale. Vengono inoltre superati i limiti dei risultati presentati nel capitolo 7 dell’ultimo rapporto dell’IPCC ottenuti con modelli che solo in alcuni casi prendono in considerazione l’effetto fertilizzante della CO2.
Provo a rispondere io.
La valle del Po prima dell’agricoltura era una livida palude infestata dalla malaria. A seguito delle bonifiche etrusche e romane e più ancora dal medioevo si afferma un’agricoltura irrigua che è fra le più produttive d’Europa e che è basata sull’irrigazione per scorrimento, resa possibile dal fatto che fra il punto d’uscita del Ticino dal lago Maggiore (Golasecca – 256 m slm) e la punta del mantovano (7 m slm) ci sono 250 km e il dislivello è di circa 250 m, il che significia una pendenza d’1 per mille, un fatto che che come già evidenziava Carlo Cattaneo è l’ideale per questo tipo di irrigazione.
L’irrigazione per scorrimento ha tuttavia il difetto di essere poco efficiente in termini irrigui (ove l’efficienza è da intendere come differenza fra l’acqua che arriva al campo e quella che viene consumata dalla coltura e per tale irrigazione è del 30-40%).
Oggi poi i nodi vengono al pettine se si pensa che le rese del mais, coltura principe della pianura padana irrigua, sono quintuplicate rispetto a quelle del 1910, il che significa che sono grossomodo quintuplicati anche i consumi irrigui (per inciso il mais è stato adottato perchè è una delle culture più efficienti nel tramutare acqua irrigua in biomassa).
Occorre peraltro dire che oggi esistono sistemi molto più efficienti rispetto allo scorrimento (l’efficienza è dell’80-90% per l’irrigazione a goccia e per le grandi ali piovane). Tuttavia questi nuovi sistemi richiedono investimenti da parte del pubblico e del privato. Il pubblico dovrebbe dal canto suo cambiare le modalità con cui i consorzi d’irrigazione cedono agli utenti l’acqua e che sono oggi basate su turni di 7-14 giorni funzionali all’irrigazione per scorrrimento e non ai nuovi sistemi. Per farla breve adottare sistemi più efficienti comporta disporre di quattrini che l’ente pubblico non è oggi in grado di mettere a dispozione, il che credo disincentivi anche il privato dal fare la sua parte.
Hai scritto bene Gianluca:
” ci fosse anche un’attenta gestione della risorsa acqua”
L’aumento intensivo della coltivazione in Pianura Padana per esempio scommetterei che abbia portato un notevole abbassamento del livello del Po. Com è gestita l’acqua?