Riassunto
Partendo dal ricco materiale presentato nella review a firma Javier, apparsa alcuni giorni or sono sul sito di Judith Curry, parleremo degli eventi di Dansgaard-Oeschger (D-O) e degli eventi di Heinrich (H) discorrendo in particolare delle possibili cause e degli effetti sugli ecosistemi e sulle popolazioni umane che vissero in Eurasia alle medie latitudini durante l’ultima era glaciale.
Abstract
Starting from the wide review of Javier issued a few days ago on the web site of Judith Curry (https://judithcurry.com/2017/02/17/nature-unbound-ii-the-dansgaard-oeschger-cycle/ ), we talk about the Dansgaard-Oeschger events (D-O) and the Heinrich events (H) discussing in particular the causes and the effects on the ecosystems and human / hominid populations living in Eurasia at mid latitudes during the Wurm glaciation.
LA SCOPERTA DEGLI EVENTI D-O E DEGLI EVENTI H
Gli eventi di Dansgaard-Oeschger (di qui in avanti indicati come eventi D-O) sono eventi climatici il cui elemento più caratteristico è un forte ed improvviso aumento delle temperature dell’aria in Artico, per cui possono essere fatti ricadere nella categoria degli “abrupt climate changes”. La scoperta di tali eventi nella glaciazione di Wurm si deve a Willi Dansgaard, il quale li mise in evidenza nel 1972 studiando la composizione isotopica di una carota glaciale prelevata a Camp Century in Groenlandia. Circa 20 anni dopo, Hans Oeschger segnalò che gli eventi D-O erano accompagnati da un brusco aumento dei livelli di CO2 (Stauffer et al., 1984), aumento poi destituito di fondamento e attribuito ad una contaminazione chimica in quanto non trova alcun riscontro nelle carote glaciali antartiche (Javier, 2017).
Gli eventi di Heinrich (di qui in avanti eventi H) sono invece eventi il cui aspetto più caratteristico è la sensibile diminuzione delle temperature dell’aria in Artide e che sono così chiamati perché descritti per la prima volta dal geologo marino Hartmut Heinrich (Heinrich, H., 1988), il quale mise in luce sul fondale oceanico del Nord Atlantico la presenza di sedimenti trasportati da Iceberg staccatisi dai margini marini delle calotte glaciali nella parte finale di tali fasi fredde.
CARATTERISTICHE DEGLI EVENTI D-O E DEGLI EVENTI H
La glaciazione di Wurm si è caratterizzata per l’elevatissima variabilità del clima (figure 1, 7, 8) , con l’alternarsi di fasi calde e fredde rispettivamente note come stadiali e interstadiali. In tale contesto gli eventi D-O e gli eventi H spiccano per la loro intensità, pur non essendo in alcun modo da considerare come gli unici cambiamenti climatici avvenuti in epoca glaciale.
Gli eventi H presentano una periodicità di circa 6000 anni e la loro cronologia è riportata in tabella 1 (Hemming, 2004). Al loro culmine tali eventi determinano la discesa del ghiaccio artico marino in inverno fino a latitudini inferiori ai 45° Nord e alla loro conclusione si manifesta il distacco dalle calotte glaciali boreali di quelle flotte di Icebergs di cui per l’appunto trovò traccia Hartmut Heinrich nei sedimenti marini.
Tabella 1 – I sette eventi di Heinrich della glaciazione di Wurm. Sono indicate le datazioni dei sedimenti glaciali marini che segnano la chiusura degli eventi (Hemming, 2004).
Evento | H6 | H5 | H4 | H3 | H2 | H1 | H0 |
Migliaia di anni da oggi | 60 | 45 | 38 | 31 | 24 | 16.8 | 12 |
Circa gli eventi D-O si deve anzitutto segnalare che nella glaciazione di Wurm se ne sono registrati un totale di oltre 20 (figura 1) e che la loro periodicità in anni è di 1470 +/- 8%, che diviene +/- 2% negli eventi più recenti e meglio datati (Rahmstorf, 2003). L’interesse per tali eventi si lega alla loro inusitata potenza: secondo i proxy data del plateau groenlandese le temperature medie annue salgono di circa 8-10°C nell’arco di alcuni decenni e dunque su intervalli di tempo compatibili con la vita umana (figura 2). Come termine di confronto si consideri che l’attuale AGW si caratterizza per un aumento delle temperature in 150 anni che è stato di 0.85°C per le temperature globali e di 1.3°C per quelle europee.
L’ALTALENA BIPOLARE
Inizialmente gli eventi D-O furono considerati come fenomeni locali, per essere poi elevati al rango di fenomeni globali dopo averne riscontrato traccia in ambedue gli emisferi (figure 3 e 4), con l’emisfero australe soggetto a una caratteristica opposizione di fase a livello termico rispetto a quello boreale. Infatti le carote glaciali artiche e antartiche mostrano che:
- il brusco riscaldamento in Groenlandia causato dagli eventi D-O è seguito dall’insorgere di un raffreddamento antartico che si innesca mediamente con un ritardo di 218 ± 92 anni (2σ)
- il raffreddamento in Groenlandia è seguito dall’insorgere di un riscaldamento in Antartide che si innesca mediamente con un ritardo di 208 ± 96 anni e che è più intenso se la fase fredda di D-O coincide con un evento H (figura 5).
Tutto ciò porta a pensare che si sia di fronte ad una connessione di tipo oceanico fra emisfero Sud e Nord fondata sull’AMOC (Atlantic Meridional Overturning Circulation), che è il principale ramo della grande circolazione termoalina, componente essenziale del sistema climatico. AMOC è caratterizzata da una corrente propria degli strati superiori dell’Atlantico (prime centinaia di metri di profondità) e che trasporta verso Nord acqua calda e ricca di sale[1] e da una corrente profonda (North Atlantic Deep Water – NADW) che trasporta verso sud acqua fredda. Questo sistema circolatorio oceanico trasporta enormi quantità di calore dall’Emisfero australe e dai tropici verso il Nord Atlantico, dove l’acqua calda risale in superficie trasferendo calore all’atmosfera e raffreddandosi al punto di sprofondare, innescando così la corrente profonda verso sud. Per lo sprofondamento è essenziale che l’acqua si sufficientemente fredda e sufficientemente ricca di sale, per cui una diluizione dovuta allo scioglimento dei ghiacci artici potrebbe almeno in teoria interromperla.
Il legame fra eventi D-O e AMOC è stato recentemente riassunto in uno schema meccanicistico noto come bipolar seesaw (altalena bipolare, nel senso che coinvolge i due poli) (WAIS Divide Project Members, 2015).
COME FUNZIONA L’ALTALENA
Secondo i dati disponibili e utilizzando lo schema prodotto da Javier (2017), proviamo a delineare un interno ciclo D-O partendo dallo stadiale freddo nel momento in cui l’Antartide inizia a riscaldasi (altalena bipolare impostata in modo tale da riscaldare l’Antartide e raffreddare l’Artide). In tale momento AMOC è indebolita e trasferisce poco calore verso il Nord Atlantico, il quale pertanto vede la copertura glaciale espandersi in modo massiccio.
L’aumento delle temperature antartiche accresce il gradiente termico fra i due poli, per cui AMOC si intensifica gradualmente, accrescendo la quantità di acqua calda trasmessa verso Nord. L’acqua calda produce rilascio di iceberg dalle calotte glaciali con la formazione di sedimenti oceanici tipica della fase finale degli eventi H e tuttavia non riesce a scaldare le alte latitudini perché invece di cedere calore all’atmosfera si immerge sotto il mare ghiacciato dove viene stratificata e isolata dall’Aloclino. Tuttavia ogni 1470 (± 120) anni le acque calde emergono in superficie e bruscamente iniziano a riscaldare l’atmosfera, dando così l’avvio all’interstadiale artico. Questo brusco riscaldamento inverte l’altalena bipolare tant’è che dopo circa 218 anni la regione antartica inizia a raffreddarsi. Infatti, una volta emerse in superficie in area artica, le acque calde si raffreddano ed affondano, alimentando la corrente di ritorno fredda. In tale fase le alte latitudini settentrionali iniziano a raffreddarsi aumentando l’estensione del ghiaccio marino e ripristinando così l’aloclino. Pertanto le acque calde in arrivo da sud sono di nuovo isolate rispetto all’atmosfera e la temperatura dell’aria scende fino a porre fine all’interstadiale. Infine il forte raffreddamento del nuovo stadiale ribalta l’altalena bipolare riavviando il ciclo.
In tale schema la chiave di volta è la salita in superficie delle acque calde che ha luogo ogni 1470 anni. Sul motivo di tale salita si brancola tuttora nel buio e Javier avanza un’ipotesi di tipo mareale e dunque legata a un’interazione del nostro pianeta con Luna e Sole, anche se l’autore si rende perfettamente conto che non vi sono al momento prove a favore della stessa, tanto che la definisce “unsupported hypothesis”. Al riguardo la figura 6 illustra il forcing luni-solare dal 1600 ad oggi così come presentato in un lavoro di Keeling[2] e Wholf del 2000. Lo stesso Keeling negli ultimi anni della sua vita si interessò di effetti mareali sul clima e ciò spiega il suo lavoro con Wholf.
EFFETTI ECOLOGICI E STORICI
A livello ecologico occorre evidenziare che gli eventi D-O non sono accompagnati da particolari innalzamenti dei livelli di CO2 atmosferica, il che non è certo favorevole all’espansione dei vegetali che sono alla base delle catene alimentari. Favorevoli a tale espansione si rivelano invece le temperature più miti e le piovosità più elevate alle latitudini medio-basse (figura 4) proprie degli interstadiali D-O. Alla temperatura mite e all’elevata piovosità si lega anche il sensibile aumento dei livelli di metano (CH4) caratterizzato da bassi tenori in deuterio. La povertà in deuterio sta a indicare una probabile origine dalle aree umide dell’emisfero boreale, escludendo una sua liberazione dai clatrati, evidenza questa che destituisce di fondamento l’ipotesi di una “clathrate gun” come feed-back positivo che agendo su un fattore primario d’innesco sarebbe in grado di dar luogo agli eventi D-O.
Gli eventi D-O e gli eventi H hanno avuto conseguenze profonde sull’evoluzione del genere umano, influenzando vita dei nostri progenitori che nel paleolitico vissero di caccia e raccolta alle medie altitudini di Europa e in Asia. Si tenga infatti conto che in Eurasia durante la glaciazione di Wurm hanno vissuto la nostra specie e almeno altri tre ominidi (Neanderthaliani, Denisovani, e Homo heidelbergensis) dei quali portiamo tracce significative nel nostro stesso DNA (Ko, 2016).
La nostra specie (Homo sapiens) compare in Europa circa 42 mila anni orsono e dunque in uno stadiale freddo (figura 7), colonizzando le aree che l’effetto oceanico tenevavo libere dal ghiaccio (es: Francia centrale ove si sono reperite le prime tracce dell’uomo di Cro-magnon).
Inoltre degli altri ominidi presenti alle medie altitudini in Europa e in Asia sappiamo che:
- la presenza di Homo heidelbergensis è documentata fra 600mila e 100mila anni fa
- la presenza di Homo neanderthaliensis è documentata fra 200mila e 40mila anni fa
- la presenza dell’uomo di Denisova è documentata nella zona dei monti Altai in Siberia fra 70mila e 40mila anni fa.
Dal diagramma in figura 8 si nota che intorno a 100mila anni orsono l’era glaciale aveva già avuto inizio anche se non aveva ancora raggiunto il proprio apice, toccato intorno a 80mila anni fa. Gli sconvolgimenti ecologici legati all’espansione dei ghiacci possono aver portato al collasso la popolazione di Homo heidelbergensis, ad esempio riducendone drasticamente le fonti di cibo. In tal senso non è da escludere l’effetto negativo della concorrenza con il più evoluto uomo di Neanderthal.
Gli altri eventi critici (scomparsa della nostra specie ed estinzione di neandertaliani e denisoviani) si collocano invece tutti fra 42mila e 40mila anni orsono. Tale breve periodo cade in uno stadiale freddo (un evento H che immaginiamo difficile per uomo e ominidi) che precede il brusco inizio di un interstadiale caldo avvenuto intorno a 38mila anni orsono (figura 7), il quale ha senza dubbio favorito l’insediamento dei nostri progenitori in Europa e la cui alba non fu invece a quanto pare vista da neandertaliani e denisovani, i quali sarebbero scomparsi prima che questo avesse inizio. Non è da escludere che la scomparsa dei nostri cugini più prossimo sia stata frutto della competizione con il più moderno Homo sapiens per i territori di caccia e raccolta, i ripari, ecc. anche se altre ipotesi (malattie portate dai nuovi colonizzatori o cause non antropiche) non sono al momento da scartare.
L’evento H a noi più noto è il Dryas recente che prende nome da una specie erbacea artica (Dryas octopetala L.) che oggi come relitto glaciale è presente anche su Alpi e Appennino centro-settentronale. Il Dryas recente segue l’evento D-O noto come oscillazione di Allerod ed è da intendere come l’ultimo evento H con cui ci siamo confrontati come specie. Il Dryas recente ha conseguenze enormi in quanto coincide con la nascita dell’agricoltura in quattro luoghi fra loro remoti e non comunicanti e cioè la mezzaluna fertile (medio oriente), Il sudest asiatico, il centro-sud America e l’Africa sub-sahariana. Sulla peculiare sincronicità di quella che può essere considerata una delle maggiori rivoluzioni della storia umana[3] ha certamente agito il clima che durante il Dryas recente divenne più freddo e più arido, motivando popoli dediti a caccia e raccolta a investire nella semina sistematica di vegetali come, nel caso dei Natufiani della mezzaluna fertile, il frumento, l’orzo e le leguminose da granella. Un ruolo enorme nel fenomeno lo rivestì tuttavia l’aumento di CO2 che passando dalle 180 ppmv dell’era glaciale alle 280 ppmv dell’interglaciale rese sensibilmente più produttiva la nascente agricoltura (Sage, 1995).
Si ricordi inoltre che la fine della glaciazione di Wurm fu segnata anche da un imponente aumento del livello marino che crebbe in breve tempo di circa un centinaio di metri, distruggendo i popolamenti umani presenti lungo le coste. Tale incremento, come sostiene da tempo l’amico geologo Uberto Crescenti, può essere ritenuto all’origine dei miti del diluvio che si ritrovano in tante società umane (dagli aborigeni australiani ai popoli del medio oriente ai popoli pre-colombiani).
Conclusione
E’ difficile ragionare di eventi D-O per le fasi glaciali precedenti a Wurm in quanto la copertura glaciale della calotta groenlandese, su cui si fonda la teoria dell’altalena bipolare, è tutta riferibile alla glaciazione di Wurm o all’Olocene e ciò in quanto il caldissimo interglaciale precedente al nostro ha spazzato via tutto il giaccio della glaciazione di Riss. In sostanza occorrerà trovare altri proxy per estendere la comprensione alle glaciazioni quaternarie che hanno preceduto Wurm (Mc Gregor et al., 2015).
Quanto fin qui scoperto in relazione ad eventi D-O e H pone in luce meccanismi molto interessanti e che mettono in primo piano come agente causale la grande circolazione oceanica (AMOC). Al riguardo può essere utile domandarsi quanto i meccanismi scoperti siano estendibili all’Olocene. In tal senso Javier ci segnala che, con riferimento all’ipotesi mareale, la minore altezza dei mari rende la situazione glaciale del tutto peculiare, nel senso che solo con mare più basso sarebbe possibile il ciclo che la salita in superficie della acque calde ogni 1470 anni.
In sintesi dunque per gi eventi D-O disponiamo di un’ipotesi di meccanismo (l’altalena bipolare) che tuttavia non getta luce sulla chiave di volta di tutto il meccanismo e cioè la ciclicità a 1470 anni, il che è un po’ come avere per le mani un antico orologio di cui possiamo studiare gli ingranaggi senza tuttavia avere la più pallida idea della fonte di energia che lo muoveva. C’è dunque ancora molta strada da fare ma questo forse è il bello della faccenda.
Bibliografia
- Ganopolski A., Rahmstorf S., 2001. Rapid changes of glacial climate simulated in a coupled climate model, Nature 409, 153-158 – doi:10.1038/35051500
- Hemming S. R., 2004. Heinrich events: Massive late Pleistocene detritus layers of the North Atlantic and their global climate imprint. Reviews of Geophysics
- Javier, 2017. Nature Unbound II: The Dansgaard- Oeschger Cycle, https://judithcurry.com/2017/02/17/nature-unbound-ii-the-dansgaard-oeschger-cycle/
- Keeling C.D., Whorf T.P., 2000. The 1,800-year oceanic tidal cycle: A possible cause of rapid climate change, PNAS 97 3814-3819 (http://www.pnas.org/content/97/8/3814.full.pdf)
- Ko K.H., 2016. Hominin interbreeding and the evolution of human variation, Journal of Biological Research-Thessaloniki, DOI 10.1186/s40709-016-0054-7.
- McGregor etal 2015 Radiostratigraphy and age structure of the Greenland Ice Sheet, Journal of geophysical research, Earth surface, Volume 120, Issue 2, pages 212–241, February 2015
- Rahmstorf S., 2003. Timing of abrupt climate change: A precise clock, Geophys. Res. Lett., 30(10), 1510, doi:10.1029/. 2003GL017115
- Sage R.W., 1995. Was low atmospheric CO2 during the Pleistocene a limiting factor for the origin of agriculture?, Global Change Biology, Volume 1, Issue 2, 3–106.
- van Ommen T., 2015. Palaeoclimate: Northern push for the bipolar see-saw. Nature, 520, 630–631
- WAIS Divide Project Members, 2015. Precise interpolar phasing of abrupt climate change during the last ice age, Nature 520, 661–665.
[1] La ricchezza in sale è frutto in particolare dei processi evaporativi che lo concentrano negli strati superficiali.
[2] Keeling è lo scienziato che avviò i monitoraggi di CO2 a Mauna Loa e che se non erro è citato da Gore nel suo An inconvenient truth
[3] Con la nascita dell’agricoltura nascono ad esempio le prime città e si possono creare quei surplus di cibo che consentono la sopravvivenza di categorie non dedite all’agricoltura (sacerdoti, guerrieri, artigiani, ecc.) ponendo così le basi delle civiltà moderne.
Cari Franco e Donato,
rispondo a tutti e due ringraziandovi anzitutto per l’attenzione che dedicate agli argomenti che ci stanno a cuore e per i vostri utili commenti.
Circa l’attività geotermica (penso ad esempio ai vulcani sottomarini) ne ho discusso recentemente con alcuni amici in relazione a En Nino. La mia posizione attuale sul tema è che l’attività vulcanica sia qualcosa di troppo casuale per poter giustificare ciclicità tipo quella di El Nino o anche quella a 1470 anni. In ogni caso credo che varrebbe la pena di trovare degli indici di attività geotermica (ammesso che esistano) e provare a fare un’analisi di frequenza per vedere cosa ne esce.
La cosa più probabile è infine a mio avviso che gli eventi D-O siano finiti con l’inizio dell’olocene e che poi sia tutta un’altra storia, a meno … e consentitemi qui un’eresia … a meno di non voler considerare la PEG come un evento H e la fase di GW attuale con la fase di riscaldamento abrupto di un evento D-O (teoria affascinante ma al momento difficile da supportare, per lo meno fin tanto che le temperature globali non iniziassero a calare come accade dopo il picco caldo di un D-O).
Mi associo infine con Donato nello spronare Franco a sviluppare le sue analisi di frequenza per approfondire il più possibile il tema delle somiglianze fra glaciale e interglaciale (e per l’analisi frequenza non c’è solo Wurm ma anche l’intergalcale Riss-Wurm e poi Riss).
Ciao.
Luigi
Cari Luigi e Donato,
senz’altro cercherò di mettere insieme alcune considerazioni nel prossimo post.
Intanto ho appena graficato sovrapposti Olocene (H) e Glaciale (G) su due scale di periodi ( 0-3000 e 0-500 anni) in modo da osservare meglio le somiglianze e le differenze.
I grafici mostrati qui non sono ancora nel sito -li ho appena fatti- ma spero di riuscire a metterli prima di alcuni impegni che ho in mattinata: ci saranno i dati numerici e i grafici distinti Olocene e Glaciale.
Le variazioni di di emissione termica dalle dorsali oceaniche: ho letto qualcosa sul sito di Scottishsceptic http://www.scottishsceptic.com
E’ quella che lui (Mike Haseler ) chiama la teoria “caterpillar” e nel suo sito fa riferimento a due articoli scientifici che la confermerebbero. Non conosco bene la successione temporale dell’aumento/diminuzione e se questa si lega ai 1470 anni ma forse vale la pena di approfondire.
Andare indietro rispetto alla glaciazione di Wurm mi sembra difficile: ho solo i grafici riportati in http://www.zafzaf.it/clima/cm78/antonello-paleo-2015.pdf
e non so dove recuperare i dati numerici.
Ciao. Franco
Immagine allegata
La relazione tra AMOC e cicli di Dansgaard-Oeschger è stata ripetutamente indagata e, per quel che ne so, l’inversione di AMOC rappresenta il meccanismo che meglio di altri spiega il fenomeno. Resta da capire, però, perché si ha l’inversione della circolazione termoalina e quali meccanismi entrano in gioco nel determinare le variazioni di velocità del “nastro trasportatore” atlantico. Bisogna capire, inoltre, se il fenomeno è veramente limitato alle sole fasi glaciali o si estende anche a quelle interglaciali.
.
Ho dato un’occhiata ai grafici di F. Zavatti e ho notato che nella marea di picchi nei vari periodogrammi riferiti all’Olocene che egli ha costruito, quello di 1470 anni non si vede.
Il discorso non sembra chiuso, però, in quanto il periodo di 1470 anni è compreso entro un intervallo di incertezza di circa +/-120 anni. Detto in altri termini il periodo di 1510 anni che compare nel grafico NOAA/GRIP, così come quello di 1388 anni che compare nel grafico NOAA/GISP, sono compresi nella forchetta di errore del periodo di 1470 anni. Purtroppo il periodo di 1065 anni (o 2344 anni) del grafico NOAA/BE è esterno all’intervallo di errore e quindi il periodo di 1470 anni non esisterebbe nell’Olocene.
Per una parola definitiva è necessario, però, che F. Zavatti pubblichi le sue considerazioni in modo da tener conto di tutti i dati e non solo di quelli parziali (come ho fatto io 🙂 ).
Ciao, Donato.
[…] Autore: Luigi MarianiData di pubblicazione: 21 Febbraio 2017Fonte originale: http://www.climatemonitor.it/?p=43790 […]
Caro Luigi,
come sai, a me non piace molto fissare un livello di confidenza e trascurare le frequenze al di sotto di tale livello, in particolare se i picchi si presentano quasi alla stessa frequenza in dataset diversi; preferisco usare una sorta di probabilità frequentista se i dataset sono abbastanza numerosi.
Nel caso del ciclo di 70 anni che tu citi, non saprei cosa dire: mi sembra piuttosto poco potente e credo di ever visto altri massimi più significativi attorno a 65-69 anni ai quali mi sentirei di attribuire qualche significato.
Però ho appena finito di organizzare meglio i miei risultati e non ho ancora avuto tempo di pensare al loro significato.
Per la serie di armoniche di 1470 anni del periodo glaciale
potrebbe avere senso il modello di Javier per cui questi affioramenti di acqua calda sarebbero favoriti da una minore profondità, anche se non ho ben chiara la tempistica, visto che la salita è davvero molto rapida (come scrivi, avviene nell’arco di una vita umana) e il ritorno al freddo è più lento. Come viene recuperato il calore velocemente disperso in atmosfera nella fase calda?
Sempre più spesso mi viene in mente l’attività geotermica
delle dorsali oceaniche che durante le fasi fredde dovrebbe (potrebbe) essere incrementata dalla generale contrazione del pianeta, ma non saprei davvero come amalgamare tutti questi argomenti.
Si potrebbe anche pensare che nei periodi glaciali la spinta dovuta al caldo appare più evidente di quanto si possa vedere in un periodo caldo come l’Olocene, quando la piccola differenza tra temperatura media ambientale e temperatura massima dei D-O dà luogo ad un “contrasto” basso e che i 1470 anni (e le sue armoniche) si perdano nel rumore di fondo degli spettri.
Proverò ad estrarre qualcosa di sensato da queste idee appena sarò riuscito ad organizzarmi. Ciao. Franco
eventi D O … ciclo di 1470 anni +- ed oggi eventi Bond
come datare con precisione la cronologia del prossimo evento,
me lo aspetto 2020-2030 in concomitanza con un minimo solare notevole e con una sovrapposizione a un evento H … tempi interessanti.
Caro Luigi,
un post molto interessante e di inquadramento della situazione Olocene-Era Glaciale. Fra l’altro mi ha tolto dall’obbligo di dover fare io questoinquadramento, e tu sei molto più bravo di me. Grazie.
Provo a spiegarmi: nel tentativo di rispondere a una tua domanda in un mio post precedente http://www.climatemonitor.it/?p=43645
(Occorrerebbe ora scoprire come si comportano gli spettri durante le fasi glaciali.) avevo scaricato i dati GRIP (d18o) e i dati GISP2 (10Be) per verificare, dai loro spettri, il comportamento sia nell’Olocene (fino a circa 8000 anni fa) che nella glaciazione (10000-50000 anni fa). Mi sono però
accorto che il passo dei dati non è tale da permettere di vedere i periodi più brevi (da 2 a 7 anni circa) sui quali verteva la tua domanda: mi preparavo allora a risponderti che non ero in grado di fare confronti.
Nel frattempo ho letto l’articolo di Javier che tu citi e ho visto il grafico (tua fig.7) degli eventi D-O derivati dal d18o di GISP2 e ho provato a confrontarlo con il grafico dello stesso d18o derivato da GRIP che avevo appena finito di graficare. Nella figura il confronto tra fig.7 e il mio GRIP, che ho rozzamente cercato di mettere sulla stessa scala. si vede
immediatamente che GRIP ha un aspetto assolutamente uguale a GISP2, tranne per il piccolo dettaglio che la scala di GRIP è diversa (in modo non lineare) rispetto a quella di GISP2 per cui i dati non sono confrontabili.
Molto demoralizzato (chi lo dice che GISP è migliore di GRIP?) ho scaricato anche il d18o di GISP2 e ho rifatto tutti i conti (finiti questa notte).
Adesso ovviamente torna tutto.
Rahmstorf (2003) ha inventato un sistema per verificare la presenza ad intervalli fissi di 1470 anni degli eventi D-O(le righe verticali ugualmente spaziate): probabilmente è un bel sistema ma inutile. Negli spettri relativi all’età glaciale (10-40 Ky) si vede benissimo (sia in GRIP che in GISP2 -ossigeno e berillio) un picco a circa 1470 anni e le sue armoniche di 2, 3 e 4 volte.
Penserò a cosa scrivere in un post su questi argomementi ma nel frattempo metto a disposizione dei lettori quello che ho fatto (ad esempio gli spettri e il grafico del passo dei vari dataset) nel sito
http://www.zafzaf.it/clima/cm78/cm78.html
sperando fare cosa gradita. Ciao. Franco
Immagine allegata
L’indirizzo corretto del sito è
http://www.zafzaf.it/clima/cm78/cm78home.html
errore di battitura.
Caro Franco,
grazie per aver apprezzato questo post e per tutto il lavoro di analisi che hai svolto, dal quale emergono varie frequenze comuni fra glaciale e interglaciale. Ad esempio ce n’è una a 70 anni e ti domando se la ritieni riconducibile alla ciclicità di AMO-AMOC.
Invece nello spettro oltre i 1000 anni vedo da un lato che il glaciale è più ricco di picchi e inoltre che la frequenza a 1470 anni non si vede nell’interglaciale, il che sembrerebbe confermare l’idea di Javier secondo cui tale la periodica emersione dell’acqua calda sarebbe legata a effetti mareali propri di un oceano più basso di quello attuale.
Grazie ancora e ciao.
Luigi