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Metafisica teorica del clima che verrà

Nel bel mezzo di un’ondata di freddo continentale come non ne arrivavano da un po’, siamo perfettamente a nostro agio nel commentare, sempre in tema di clima che si sfascia, l’arrivo di un’era glaciale per colpa del global warming. L’arcinoto mantra del freddo che viene dal caldo ogni volta che caldo non fa, hai visto mai che qualcuno dovesse dimenticarsi per un po’ che stiamo andando arrosto, vive sull’onda del successo cinematografico del Climate Fiction blockbuster “The Day After Tomorrow”, ma ogni tanto riceve una concimata da qualche nuovo studio.

La chiave di tutto è l’AMOC, il ramo atlantico della circolazione termoalina degli oceani, quel ramo (che pure guarda a mezzogiorno 😉 ) che regola il trasporto di calore dalle basse alle alte latitudini in carico al mare in area atlantica. L’ambientazione è futuribile, nel senso che, come ogni buona previsione climatica, è sufficientemente lontana nel tempo da essere del tutto inverificabile; non abbastanza però da risultare non appetibile ad un sano commento in chiave catastrofica.

Dunque, l’AMOC, come molti altri pattern fondamentali del sistema, è nelle sue dinamiche, nel suo passato e nella sua evoluzione, abbastanza poco nota. In termini generali, è ritenuta essere piuttosto stabile nel lungo periodo. Questa stabilità, seppur con riserva, sembrerebbe essere confermata dalle pochissime (in termini di lunghezza temporale) osservazioni di cui disponiamo, che pure mostrano delle oscillazioni, che però tra incertezze e diverse frequenze di occorrenza non sembrano minare questo assunto. Nella scatola dei Lego del clima, i modelli climatici, l’AMOC è quindi riprodotta con questa caratteristica di stabilità. Questo però non introduce sufficienti elementi di terrore, perché questa stabilità fa a pugni con la sceneggiatura del film e con il tema del freddo che viene dal caldo. Sarebbe piuttosto necessario un chiaro segnale di rallentamento della vigoria dell’AMOC nel portare calore da sud a nord per confermare che la deriva di riscaldamento del clima, in modo apparentemente controintuitivo, finirebbe per gelare il vecchio continente e forse non solo quello.

Secondo un paper appena uscito su Sciences Advances…

Overlooked possibility of a collapsed Atlantic Meridional Overturning Circulation in warming climate

… questa intrinseca imperfezione dei modelli può essere corretta facendo uso delle osservazioni più recenti e ottenendo quindi, incredibile a dirsi, un altro modello, più affidabile, che prevede un collasso dell’AMOC a 300 anni di distanza dal raggiungimento del raddoppio della concentrazione di CO2 rispetto al periodo pre-industriale. A occhio e croce, quindi tra 450 anni. Questo perché, naturalmente, l’AMOC, che sta lì da un bel pezzo, sarebbe invece molto più instabile di quanto si creda, quindi molto più incline a subire l’impatto del perfido forcing antropico.

Il paper è liberamente accessibile al link di poche righe fa. Se ne volete un riassunto è anche su Science Daily.

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Published inAttualità

4 Comments

  1. Fabrizio Giudici

    “È un aspetto dell’estremizzazione del clima italiano”.

  2. Mario

    Ancora oggi sul “Corrierone” si chiedono (scambiando il tempo atmosferico con il clima) perchè il clima cambia così in fretta? Mah! 🙂

  3. luigi mariani

    Caro Guido,

    l’articolo di Liu et al. mi è parso interessante in quanto mette in luce un meccanismo che manda in crisi AMOC perturbando la buoyancy nel Nord Atlantico, con conseguante raffreddamento del Nord Atlantico e fa entrare in una nuova era glaciale.
    Si tratta a mio avviso di un meccanismo plausibile e che potrebbe essere stato responsabile della transizione interglaciale – glaciale avvenuta per una quindicina nel corso del quaternario.
    In tal senso potremmo sostenere ad esempio che 125mila anni orsono, con temperature che erano sensibilmente più elevate di quelle attuali e mare più alto di 5-8 m per l’avvenuto scioglimento delle calotte glaciali, il clima del pianeta ha ripreso la via della glaciazione seguendo lo schema proposto nell’articolo e basato sulla crisi di AMOC.
    Quello che sto dicendo è cioè che lo schema proposto dagli autori (AMOC che va in crisi per la perturbazione nella buoyancy in Atlantico) sta benissimo in piedi anche senza raddoppio di CO2 e potrebbe essere proprio il meccanismo d’innesco delle ere glaciali quaternarie, un meccanismo che ripropone in modo meccanicistico quanto proposto come science fiction da “The day after Tomorrow”, film che non ho visto ma che penso si richiamasse alle teorie sull’indebolimento della corrente del Golfo (o meglio del grande trasportatore Nord Atlantico) come fattore d’innesco delle ere glaciali, teorie che risalgono agli anni 80 del XX secolo.
    Resta solo un dubbio di fondo che non riesco a scacciare (e qui sta anche per me l’aspetto metafisico della questione): uno dei più grossi problemi che hanno oggi i GCM sta nel descrivere in modo realistico la ciclicità nelle temperature oceaniche dell’Atlantico settentrionale nota come AMO (Atlantic Multidecadal Oscillation) , cui si lega ad esempio il calo delle temperature globali ed europee avvenuto fra gli anni 50 e 70 del XX secolo. Poichè AMO è legato a doppia corda ad AMOC, c’è qualcosa che non mi torna, nel senso che non so davvero se basta agire sui bias per risolvere un problema che mi pare più concettuale… ma forse gli autori potrebbero chiarirci questo aspetto.

    Luigi

    • Luigi,
      grazie innanzi tutto per acer approfondito la spiegazione. Il punto della mia segnalazione è esattamente quello che anche tu esprimi. Se da un lato il meccanismo è plausibile, leggerlo in chiave attuale come portato dell’AGW è solo speculativo. Certo, lo studio fa un’interessante analisi del meccanismo che torna senz’altro utile per accrescerne il livello di comprensione, ma poi sono gli stessi autori a portare tutto alla solita riduzionistica lettura antropogenica in sede di divulgazione. E questo lo trovo deprimente.
      gg

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