Questo articolo è uscito in origine su Agrarian Sciences
Riassunto
In Italia alla fine delle seconda guerra mondiale la malaria stava tornado ad essere un problema sanitario rilevante a causa degli eventi bellici che avevano rese vane le misure di contenimento delle malattia attuate negli anni precedenti.In tali condizioni il DDT fu l’ideale complemento alle altre misure di sanità pubblica per ridurre in modo radicale la morbilità e mortalità da malaria, con mortalità che passa dai 35 morti per milione di abitanti del 1944 a zero morti del 1950. Gli ultimi casi di malaria furono registrati in Sicilia negli anni ’60 e nel 1970 l’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiarò l’Italia ufficialmente libera dalla malaria.
I difetti (elevata persistenza negli esseri viventi, problemi di resistenza alla molecola insorti nelle zanzare anofele) e i pregi (costo contenuto, lunga persistenza dell’azione insetticida) del DDT sono evidenziati nell’articolo che tuttavia mette in guardia dalla damnatio memoriae di una molecola che ha avuto grandi meriti nell’eradicazione della malaria in Italia e in molti altri paesi del mondo.
Il DDT
Il DDT (para-diclorodifeniltricloroetano) è un clorurato organico la cui attività insetticida fu scoperta nel 1939 dal chimico svizzero Paul Hermann Muller, che per tale scoperta ricevette il premio Nobel per la medicina nel 1948. In quegli anni il DDT, in virtù del basso costo, dell’efficacia elevata, della limitata tossicità per l’uomo e dell’elevata persistenza dell’azione insetticida fu assunto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per i piani di eradicazione dei pidocchi, vettori del tifo petecchiale, e delle zanzare, vettrici di malaria e febbre gialla. Al DDT in primis si deve fra l’altro la sconfitta della malaria in Italia, ove la malattia era endemica da millenni e mieteva vittime a migliaia fra la popolazione.
Il 6 dicembre scorso, mentre lavavo i piatti e seguivo la trasmissione di RAI STORIA “Il tempo e la storia” sul tema “Sfollati italiani della seconda guerra mondiale” ho ascoltato la frase seguente che cito a memoria: “vi fu un’epidemia di tipo petecchiale e si fu costretti ad usare il DDT, un potente insetticida di cui allora si ignorava l’effetto cancerogeno.”Sentendo questa frase mi è tornata in mente una fredda primavera inglese che tardava ad arrivare e Winston Smith, impiegato presso gli uffici del Ministero della Verità con l’incarico di “correggere” i libri di storia e gli articoli di giornale già pubblicati, modificandoli in modo da renderli coerenti rispetto alla linea del Partito Esterno. Il paragone con l’incipit di “1984” di Orwell mi è sorto spontaneo perché in questi anni sui media è a mio avviso in atto una riscrittura della storia ad uso e consumo di una elite che non ha conservato alcuna memoria della miseria, dell’insicurezza alimentare, delle malattie che hanno angustiato le brevi e tavagliate vite dei nostri nonni. Questo atteggiamento culturale porta a creare un passato fittizio ad uso e consumo di tali elite e che con la realtà del nostro passato ha poco o nulla a che spartire. E’ proprio per combattere questa “pseudocultura del mulino bianco” che abbiamo oggi il dovere di conservare la memoria storica del nostro passato, dando il giusto valore ai pregi e ai limiti del progresso che ha avuto per teatro i Paesi europei negli ultimi 100 anni. Questa necessità di conservare memoria è in primo luogo un dovere per le generazioni più anziane, che oggi dovrebbero a mio avviso sentirsi motivate a trasmettere tale memoria a quelle più giovani le quali non hanno nella maggior parte dei casi i mezzi culturali per contrastare la pseudocultura di cui sopra.
La malaria
Malaria è un nome di origine italiana, il che la dice lunga sulla rilevanza storica che la malattia ebbe per il nostro Paese e deriva dal fatto che la malattia era tradizionalmente associata all’aria cattiva, in epoche in cui non si era ancora compreso il meccanismo causale delle malattia, la quale è provocata da protozoi del genere Plasmodium di cui le tre specie presenti nell’area del Mediterraneo sono P. falciparum (terzana maligna), P. vivax (terzana benigna o primaverile) e P. malariae (quartana). Come il protozoo infetta l’uomo grazie a vettori, le femmine ematofaghe di zanzare appartenenti al genere Anopheles[1], che a loro volta si infettano pungendo esseri umani malati, per cui in assenza di esseri umani infetti le zanzare anofele sono fastidiose per le loro punture ma del tutto incapaci di trasmettere la malattia. Circa l’epoca in cui la malaria si insediò nel Mediterraneo il dibattito è tutt’ora aperto e, se vi è concordanza sul fatto che la malattia era sicuramente presente nel primo millennio prima di Cristo e che con essa ebbero a che fare Etruschi, Greci e Romani, vari studiosi sostengono che la malattia si sarebbe insediata nel Mediterraneo addirittura nel neolitico. Su questi aspetti rimando alla trattazione di grande spessore storico svolta da Robert Sallares (1999).
I sintomi della malaria sono picchi intermittenti nella temperatura corporea, brividi, sudorazione violenta e attacchi di cefalea spesso accompagnati da vomito, diarrea e delirio. Nei casi più gravi si ha la morte dell’ammalato a seguito di coma, stress respiratorio acuto o anemia. Le donne in gravidanza sono soggette ad aborti, parti prematuri e a gravi emorragie. Anche nei casi più leggeri poi i malati possono subire menomazioni croniche (ingrossamento della milza, deperimento, anemia e mancanza di resistenza alla fatica (Medde, 2016). La malaria è tutt’ora un flagello in quanto rappresenta la più importante parassitosi e laseconda malattia infettiva al mondo per morbilità e mortalità dopo la tubercolosi, con oltre 2 miliardi di persone esposte al rischio di contrarla, oltre 200 milioni di nuovi casi clinici l’anno e 438.000 decessi all’anno (World Health Organization, 2015; voce Malaria in Wikipedia). Peraltro la maggior parte dei casi è oggi registrata nell’Africa sub-sahariana mentre zone un tempo a forte rischio (Tailandia, Cina, Brasile, Isole Salomone, Filippine, Vietnam) stanno di recente registrando ottimi risultati in termini di controllo (Majori, 2012). La difesa dalla malaria è affidata da un lato a interventi volti a contenere le zanzare vettrici con mezzi chimici (insetticidi) o fisici (eliminazione delle aree acquitrinose e delle raccolte d’acqua favorevoli alla moltiplicazione delle zanzare) e dall’altro a combattere il protozoo presente nell’ospite umano.
Storia recente della lotta alla malaria in Italia
Per secoli la malaria ha infierito su vaste aree del nostro territorio nazionale condannandole a limitazioni allo sfruttamento agricolo ed a gravissimi ritardi nello sviluppo economico. Per questo la lotta alla malaria in Italia ha una lunghissima tradizione che ha probabilmente origine nelle opere di bonifica condotte da parte degli antichi Greci, Etrusci e Romani, opere che non sempre ebbero però l’effetto voluto, nel senso che la zanzara anofele predilige acque limpide e rifugge le acque putride obiettivo primario delle bonifiche. Inoltre l’anofele in estate riesce a sfarfallare anche quando le riserve idriche in cui le sue larve si sono sviluppate si sono ormai esaurite. Al riguardo non si può trascurare che il problema della malaria non fu mai completamente risolto come ci rammentano i demografi che ci narrano che in epoca augustea le zanzare si moltiplicavano a dismisura nelle pozze lasciate dalle piene del Tevere ed entravano contribuendo significativamente a ridurre la vita media a Roma, la più grande città del mondo antico (Sallares, 1999).
Si tenga conto poi che il caso italiano è tutt’altro che un unicum se si considera che fino al XIX secolo esistevano aree malariche in gran Bretagna (Cambridge) e in Svezia (Goteborg). Peraltro il fatto che nel periodo freddo della piccola era glaciale la malaria prosperasse tanto a Nord la dice lunga sul fatto che non è certo la fase di riscaldamento attuale ad impensierire qualora si manterranno idonee politiche sanitarie (Reiter, 2008).
In epoca postunitaria la malaria si rivelò il più grave problema di sanità pubblica d’Italia (Majori, 2012; Medda, 2016) come attesta la carta di Torelli del 1882 (figura 1) che illustra la vastissima diffusione territoriale del morbo, il quale alla fine del XIX secolo colpiva 2 milioni di persone l’anno causando dai 15 ai 20mila morti (Majori, 2012) ed impedendo la coltivazione di 2 milioni di ettari di fertili terreni di pianura. Si avviarono dunque iniziative di lotta basate in particolare sulla distribuzione gratuita delle pastiglie di chinino ad abitanti e lavoratori delle plaghe malariche; al riguardo si parlava di “Chinino di Stato” in quanto con una legge del 1901 era stato istituto il monopolio statale su produzione e commercio di tale farmaco.
Un ruolo chiave lo ebbe inoltre il superamento delle teorie precedenti e cioè della teoria dell’aria cattiva come causa del morbo (la malaria, appunto) e la teoria tellurica secondo cui la malaria era provocata da minutissimi microrganismi emessi dalle paludi. In particolare alla fine del secolo scorso lo zoologo dell’Università di Pavia Giovanni Battista Grassi scoprì il vettore (le zanzare della specie collettiva). Inoltre lo stesso Grassi, coadiuvato da Bignami e Bastianelli, tramite esprimenti condotti all’ospedale Santo Spirito di Roma scoprì le modalità con cui l’agente causale (Plasmodio) infetta l’uomo (Majori, 2012). Giova peraltro ricordare che Grassi non vincerà il premio Nobel perché il riconoscimento per la scoperta del ciclo della malattia sarà attribuito nel 1902 all’inglese Ross che al lavoro di Grassi si era ispirato per descrivere a sua volta il ciclo (Rubin, 2015). Grassi fu solo una delle punte di diamante di unascuola malariologia di assoluta rilevanza mondiale e che vide attivi personaggi comeCamillo Golgi, Angelo Celli, Ettore Marchiafava, Amico Bignami, Giuseppe Bastianelli,Alberto Messea, Alberto Missiroli e Alberto Coluzzi. L’attività di tale scuola è rievocata in modo molto efficace da Giancarlo Majori in un articolo del 2012 apparso sul Mediterranean journal of hematology and infectious diseases.
Alla recrudescenza registratasi con la prima guerra mondiale (allorché la malaria colpì duramente sia le popolazione civile sia i militari al fronte) seguì una nuova riduzione di morbilità e mortalità sia a seguito delle opere di bonifica integrale volute dal regime fascista e normate dalla legge Serpieri sia in virtù delle attività di lotta intraprese e che videro fin dal 1924 il contributo economico e scientifico della fondazione Rockefeller (Majori, 2012). Tali iniziative si basavano da un lato sull’uso di insetticidi larvicidi (in particolare l’acetoarsenito di rame o “verde di Parigi”, stante il fatto che il Piretro si era rivelato scarsamente efficace) e dall’altro sul contenimento del Plasmodio negli ospiti umani tramite l’uso massiccio e continuativo del chinino.
Il morbo ebbe poi una nuova recrudescenza con la seconda guerra mondiale anche perché i tedeschi in ritirata sabotarono le idrovore e allagarono intenzionalmente le zone di bonifica dell’agro pontino per rallentare l’avanzata degli alleati. In tale contesto sia durante la fase bellica che negli anni immediatamente successivi alla stessa, il DDT fu impiegato, su iniziativa degli americani supportata dalle nostre rinate strutture sanitarie, in vaste zone del territorio con un successo davvero entusiasmante, se si pensa che solo 113 casi di malaria furono registrati in Italia nel 1952, 19 nel 1953 e 15 nel 1954.
L’idea del successo della strategia adottata viene resa dal diagramma in figura 2 che illustra la mortalità da malaria dal 1887 (anno delle prime statistiche sul morbo) e il 1950 e dai diagrammi nelle figure 3 e 4 (Majori, 2012) che illustrano l’effetto risolutivo avuto dal DDT, il quale fu irrorato nelle abitazioni e nelle stalle per colpire le zanzare adulte mantenendo il suo effetto insetticida per parecchi mesi. In particolare si osservi che la figura 2 mostra che la mortalità passò dai 35 morti per milione di abitanti del 1944 agli zero morti del 1950. Tali risultati furono comunicati da Missiroli al convegno su medicina tropicale e malaria tenutosi a Washington e suscitarono unanime entusiasmo (Majori, 2012).
Un caso a parte fu costituito dalla Sardegna ove fu testato un metodo che mirava all’eradicazione totale delle zanzare vettrici della malattia, il che ebbe luogo con un uso assai massiccio di insetticidi che tuttavia non produssero la totale scomparsa di Anopheles labranchia e dettero luogo in sostanza solo alla scomparsa delle malattia che si era del resto registrata nel resto del Paese (Majori, 2012).
Permanevano, comunque, alcuni portatori umani di gametociti, soprattutto in alcune zone della Sicilia e della Sardegna difficilmente raggiungibili dai servizi medici e che costituirono, negli anni ‘55-’60, il serbatoio per piccoli e circoscritti episodi epidemici: gli ultimi focolai epidemici si ebbero infatti nel 1956 in Sicilia, a Palma di Montechiaro con 78 casi (Talone, 2010) e ancora in Sicilia nel 1962 (Majori, 2012). Da allora in avanti gli unici casi registrati furono legati a persone che avevano contratto la malattia all’estero e a coronamento di tale successo l’organizzazione Mondiale della sanità dichiarò l’Italia ufficialmente libera da malaria nel 1970.
Il DDT, la sua tossicità e i fenomeni di resistenza
Vediamo cosa sta scritto nel sito http://www.nobelprize.org al riguardo di Paul Hermann Muller (la traduzione dall’inglese è mia): “Molte malattie gravi sono diffuse dagli insetti. Ad esempio, la malaria è diffusa dalle zanzare e il tifo è diffuso da pidocchi e le epidemie hanno buon gioco quando l’igiene è trascurata il che accade in particolare in occasione di guerre. Nel 1942 Paul Müller scoprì che il DDT era efficace nell’uccidere gli insetti e con l’aiuto di tale insetticida si poterono frenare la diffusione della malaria e le epidemie di tifo. Occorre tuttavia rammentare che il DDT ha conseguenze serie in quanto si concentra nelle catene alimentari producendo danni agli animali e all’uomo.”
Per chi voglia approfondire la tematica segnalo anche l’articolo di Boom “How Poisonous is DDT?” (2016), che oltre descrivere la campagna di demonizzazione fatta ai danni di tale prodotto negli ultimi decenni, evidenzia che:
- la tossicità acuta dello stesso è paragonabile a quella dell’aspirina e della cafferina che oggi tutti noi consumiamo senza grosse remore
- la sua cancerogenicità non è mai stata dimostrata nonostante in tale ambito la ricerca sia stata molto approfondita
- il vero problema, in virtù del quale i clorurati organici come il DDT sono stati da tempo eliminati dal novero dei prodotti insetticidi nella maggior parte dei paesi del mondo, è l’elevata capacità di accumularsi e di persistere molto a lungo nei tessuti adiposi, per cui ad esempio nell’organismo umano la metavita (tempo in cui il quantitativo ingerito si dimezza) e di ben 10 anni, contro i 20 minuti dell’Aspirina. A ciò si aggiunga il fatto che molte specie da anofele, fra cui ad esempio Anopheles gambiae che è oggi vettore della malaria soprattutto nell’Africa sub-sahariana (Gilioli e Mariani, 2011), hanno sovente sviluppato forme di resistenza al DDT, anche a seguito dell’ampio uso di tale molecola come fitofarmaco in agricoltura, il che lo ha reso in molti casi un’arma spuntata (McGinn, 2003; Majori, 2012).
Conclusioni
In sintesi dunque, nonostante oggi esistano insetticidi che superano il problema di bio-accumulo proprio del DDT ed i problemi di resistenza alla molecola insorti nelle zanzare anofele ma che spesso non presentano i vantaggi che decretarono il successo di tale molecola (costo contenuto, lunga persistenza dell’azione insetticida), penso che la damnatio memoriaecui viene sottoposto il DDT non sia corretta sul piano storico alla luce dei grandi meriti che esso ebbe nella lotta alla malaria, che fino agli anni 50 produceva un numero elevato di vittime anche in Europa e in Italia. In particolare spacciarlo oggi in modo falso per prodotto molto tossico o addirittura cancerogeno è contrario alla verità ed impedisce di valutare anche in via teorica la possibilità di un suo impegno a fronte di epidemie di malaria importanti e non contenibili con altri mezzi.
[1] In Italia la trasmissione è affidata soprattutto ad Anopheles labranchiae e a A. sacharovi mentre nel Nord Europa dominaA. atroparvus. Queste tre specie afferiscono alla specie collettiva Anopheles maculipennis.
Bibliografia
- Boom J., 2016. How Poisonous is DDT? http://acsh.org/news/2016/02/11/how-poisonous-is-ddt
- Capocci M., 2016. Storia Della Malaria – slides uniroma1 (https://elearning2.uniroma1.it/pluginfile.php/362579/mod_resource/content/0/STORIA%20DELLA%20MALARIA.pdf)
- Gilioli G., Mariani L., 2011. Sensitivity of Anopheles gambiae population dynamics to meteo-hydrological variability: a mechanistic approach, Malaria Journal, 2011, 10:294, http://www.malariajournal.com/content/10/1/294
- Majori G., 2012. Short History of Malaria and Its Eradication Italy. With Short Notes on the Fight Against the Infection in the Mediterranean basin, Mediterranean journal of hematology and infectious diseases, www.mjhid.org ISSN 2035-3006
- McGinn A.P., 2003. Malaria, mosquitoes and DDT, the toxic war against a global disease, www.worldwatch.org/system/files/EP153A.pdf
- Medde V., La lotta lunga ottant’anni contro la malaria in Italia, in Iconur, http://www.iconur.it/storia-degli-uomini/24-i-la-lotta-lunga-ottant-anni-contro-la-malaria-in-italia
- Reiter P., 2008. Review – global warming and malaria: knowing the horse before hitching the cart. Malaria J 2008, 7(Suppl 1):S3, http://www.malariajournal.com/content/7/S1/S3
- Rubin A., 2015. Le zanzare, la malaria e la storia del Nobel conteso, https://oggiscienza.it/2015/10/16/zanzare-malaria-nobel-contestazione/
- Sallares R., 1999. Malattie e demografia nel Lazio e in Toscana nell’antichità, Demografia, sistemi agrari, regimi alimentari nel mondo antico, Atti del Convegno Internazionale di Studi (Parma, 17-19 ottobre 1997), a cura di Domenico Vera, EDIPUGLIA, 131-188.
- Talone C., 2010. Cenni storici sulla campagna di eradicazione della malaria in Italia, in Cesmet – Clinica del viaggiatore, http://www.cesmet.com/it/cenni-storici-sulla-campagna-di-eradicazione-della-malaria-in-italia World Health Organization, World Malaria Day 2015, WHO, 25 aprile 2015.
[…] Zanzare, malaria e DDT: note storiche su un caso di damnatio memoriae […]
Ringrazio tutti voi per l’appezzamento e per i commenti personali che mi hanno portato a riflettere sul fatto che questo mio scritto è almeno in parte frutto degli insegnamenti del mio docente di entomologia, il professor Minos Martelli (la cui biografia è reperibile qui: http://www.accademiaentomologia.it/commemorazioni/martelli_minos.pdf), scomparso all’età di 94 anni nel 2005. Alla passione del professor Martelli devo il mio interesse per il mondo degli insetti e la stessa attenzione a pregi e limiti del DDT.
A tutti voi tanti cari auguri di buon anno.
Luigi
PS: visto che ora si può, faccio una prova allegando foto di un sito di monitoraggio meteo su pascolo all’altopiano degli Andossi, a due passi dal passo dello Spluga, con contorno di vacche Brown Swiss tenute a bada dalla robusta recinzione.
Immagine allegata
Caro Luigi, bellissimo articolo con tante notizie e abbastanza bibliografia da evitare, per chi lo volesse, perdite di memoria storica. Grazie per averlo condiviso con noi.
Quelli un po’ meno giovani (si fa per dire) che non vivevano in zone malariche ricordano il DDT come il salvatore delle estati con l’aiuto della famosa pompetta a stantuffo con serbatoio, accompagnata dall’immancabile canzoncina “ammazza la vecchia col flit (DDT) … e se non muore, col gas”.
Certo, il DDT ha i suoi problemi ma i vantaggi sono stati enormi anche nel nostro paese ed è giusto ricordare sia gli uni che gli altri nella corretta prospettiva storica.
Ciao. Franco
Concordo pienamente con Alessandro2, ovviamente con l’articolo di cui sopra, di cui io medico, apprezzo la chiarezza, l’esaustivita’ ed in particolare gli eccellenti riferimenti bibliografici.
Grazie a Tutti Voi e Buon Anno.
Ricordo, come fosse ieri, una sera di molti anni fa, quando ero giovane e vivevo ancora in Italia: mio padre tornò a casa silenzioso e scuro in volto, un fatto inusuale perché era di indole ottimista ed estroversa.
Mia madre ci mise del tempo, ma riuscì a farlo parlare.
Ci raccontò che l’azienda dove lavorava e dove, assieme oltre a molti altri prodotti, si produceva del DDT, aveva ricevuto l’ordine di cessarne la produzione entro la fine dell’anno.
L’azienda aveva un Centro Studi molto avanzato e multidisciplinare che in pochi giorni era riuscito a stimare alcune delle conseguenze sanitarie nei mercati dove esportava.
Mio padre non riusciva a capire, nè lo capì mai, come si potesse decidere sulla vita delle persone – la stima era di milioni di vittime di malaria nei dieci anni successivi e risultò sottostimata – senza aver almeno avviato un piano di transizione basato sulla ricerca di prodotti alternativi e una regolamentazione d’uso fino a quel momento praticamente assente.
Volevo solo dire GRAZIE per quest’opera di vera, meritoria divulgazione scientifica. Davvero viviamo in un nuovo medioevo, che dell’antico non ha purtroppo nemmeno più la spiritualità.