Riassunto: Il vapore acqueo atmosferico è strettamente legato alla temperatura superficiale globale e all’influenza di El Niño. Queste somiglianze vengono evidenziate dal confronto diretto e dal confronto tra gli spettri.
Tra i commenti a questo post di Guido Guidi del 23 giugno 2016 ne ho letto uno davvero interessante di Luigi Mariani che notava, tra l’altro: “Il vapore acqueo segue da vicino la temperatura e a volte la precede”, fornendo sia le relazioni lineari tra la temperatura superficiale globale (TG) da HadCRUT4 (HC4) e l’anomalia del contenuto di vapore acqueo (AVA) per le fasce di latitudine ±20° e ±60° che i coefficienti di determinazione R2 nei due casi (0.787 e 0.925 rispettivamente). Nel suo commento l’amico Luigi deduceva che “questo pianeta va ad acqua e i dati Hadcrut4 paiono rappresentare molto bene il fenomeno” ed elencava i dati usati (anno dal 1988; HC4 e AVA a ±60° e ±20°) “per chi volesse ripetere l’analisi”.
Ho considerato che l’invito fosse rivolto (anche) a me e quindi ho subito scaricato i dati e preparato alcuni grafici per cercare di capire meglio l’argomento.
Dopo circa un mese sono usciti su WUWT due post di Willis Eschenbach (d’ora in poi WE. Nel secondo il link al primo post) sul vapore acqueo che qui viene indicato come Total Precipitable Water o TPW.
La fig.1 è la figura 1 del primo post di WE e mostra la distribuzione di TPW, che si accumula prevalentemente nella zona tropicale.
La situazione illustrata in questa figura mostra come si possano innescare le varie azioni e reazioni (feedback) già illustrate nei commenti al citato post su CM e nei post di WE, feedback riassumibili in:
T+ —> VA+ —>nubi/pioggia+ —> T- —> VA- —> reset del sistema, pronto per un nuovo ciclo
Cioè in relazioni circolari (il segno + indica aumento, il segno – indica diminuzione) che legano (quasi) tutto a (quasi) tutto e che mantengono il sistema Terra mediamente stabile dal punto di vista climatico-energetico.
Per la cronaca, la stabilizzazione non avviene per i modelli CO2-centrici dove il feedback è essenzialmente positivo: (CO2+ —> T+) e le reazioni di segno opposto (vulcani, aerosol, nubi, stoccaggio di carbonio in varie forme, ecc.) non sono, complessivamente, tanto forti da resettare il sistema.
Tornando alle (cor-)relazioni temperatura – vapore acqueo descritte da Mariani, ovviamente non posso fare altro che confermare i suoi valori; non vale neanche la pena di mostrare i grafici con le relazioni TG/AVA (come quella di Mariani) e AVA/TG, la relazione inversa che permetterebbe, se si potessero estrapolare i risultati, di calcolare una AVA media per tutto il periodo in cui sono disponibili le temperature, cioè dal 1850.
Questi grafici e i loro valori numerici sono però disponibili nel sito di supporto qui e qui, rispettivamente.
I dati mensili
Oltre ad aver usato i dati forniti da Mariani, per avere una maggiore risoluzione temporale ho scaricato dal sito RSS (se il link non funziona, aggiornare 201610 con l’opportuno anno/mese) le anomalie mensili di TPW (in kg/m2) fino ad ottobre 2016, per entrambe le fasce di latitudine, e le ho confrontate con l’anomalia della temperatura HadCRUT4 global (terra+oceano) fino a settembre 2016 dal sito CRU.
La fig.2 (pdf) e la fig.3 (pdf) mostrano questo confronto per entrambe le fasce di latitudine utilizzate. La scala verticale di entrambe le figure si riferisce a due grandezze diverse e quindi è arbitraria, nel senso che le anomalie sono presumibilmente calcolate su basi diverse e che, quindi, i valori numerici potrebbero essere altri.
È notevole però la corrispondenza tra le oscillazioni (positive e negative) dei due dataset in entrambe le fasce di latitudine. La corrispondenza è confermata dalla funzione di cross-correlazione (CCF) di fig.4 (pdf)
Come si vede, la correlazione (CCF a lag=0) HC4/TPW20 è alta ma inferiore a quella a quella a TPW60, come forse si può intuire dal confronto di fig.2 e fig.3. Per un confronto visivo più diretto ho però preferito applicare un fattore di scala alle due serie TPW, uguale a (TPW*0.5+0.3) per entrambe e chiaramente arbitrario. Il risultato è mostrato in fig.5 (pdf) e in fig.6 (pdf) nelle quali, ancora, le scale verticali sono diverse.
Dalle figure 2, 4 e 5 emerge l’ovvia considerazione che l’acqua precipitabile tropicale andrebbe confrontata con le temperature tropicali e non con quelle globali; in quest’ultimo caso le grandi oscillazioni (ad esempio quelle dovute a ENSO) di TPW risultano smussate nella serie di temperatura. La stessa consideraziome vale per le figure 3, 4 e 6 dove il vapore acqueo tra ±60° rappresenta (molto) meglio le condizioni in cui viene misurata (o calcolata) la temperatura globale e da questo deriva una correlazione più elevata.
Guardando la fig.6 mi viene in mente un altro aspetto: la fig.1 ci dice che TPW viene misurata sugli oceani (liberi da ghiaccio) mentre il confronto viene fatto con HC4 terra+oceano. Credo che le differenze (relativamente poco numerose) tra i due grafici di fig.6 forniscano un’indicazione della minore importanza delle temperature terrestri rispetto a quelle marine.
La fig.6 è utile anche per riprendere e commentare la fase di Luigi Mariani citata all’inizio: “Il vapore acqueo segue da vicino la temperatura e a volte la precede”. Frase importante perché, come già detto, ci aspettiamo il contrario: T+ —> TPW+ come si può vedere nella figura, ad esempio attorno all’anno 1993 o al 2009. Ho però la sensazione (senza aver controllato i valori numerici) che gli El Niño 1998 e 2016 mostrino che TPW precede la temperatura e che per El Niño 2010 questo non avvenga.
Noto anche che in alcuni casi (inizio 1990, 1992, 2004, 2011) TPW e HC4 sono in opposizione di fase.
Non so bene come spiegare queste situazioni inattese: forse l’uso della temperatura terra+oceano ha un ruolo (cioè l’influenza delle temperature terrestri è preminente rispetto a quelle marine in quei casi o in quegli anni); forse il trattamento dei dati, omogenizzazioni e massaggi “di bellezza” vari, mostra qualche problema nei punti descritti, tutto sommato abbastanza rari e accettabili; ancora, parlando dei feedback ho già accennato al comportamento diverso del “gas serra vapore acqueo” rispetto al “gas serra anidride carbonica” ma è davvero sempre così? Davvero la breve permanenza in atmosfera del vapore acqueo (prima del reset) non provoca un innalzamento delle temperature, magari solo in alcune situazioni particolari come gli El Niño più forti?
Purtroppo, per quanto posso saperne io, queste domande restano senza risposta.
Lo spettro
Per completare il quadro, ho calcolato lo spettro MEM di TPW20, TPW60 e HC4, tutti e tre per il periodo limitato dalle misure di TPW, dal 1988 al 2016 (settembre o ottobre). L’intervallo temporale è breve e la validità dello spettro non supera i 16-20 anni mostrati in fig.7 (pdf)
Per HC4 il massimo di periodo maggiore è a ~14 anni, per TPW60 a ~17-18 anni ma è mal definito; per TPW20 a ~12.5 anni.
I quattro massimi più interni, tra cui i due di potenza più elevata, sono riportati in tab.1, confrontati con i massimi di tre indici ENSO: SOI= Southern Oscillation Index; SOIBOM, come SOI ma calcolato da BOM (Bureau od Meteorology australiano) con una formula diversa; MEI=Multivariate Enso Index (per dettagli vedere CM, p=42356 e CM, p=42415).
TPW20 | 1.78 | 2.91 | 3.55 | 5.68 |
---|---|---|---|---|
TPW60 | 1.78 | 2.91 | 3.67 | 5.98 |
HC4 | 1.72 | 2.91 | 3.79 | 6.31 |
SOI | 1.72 | 2.53 | 3.60 | 5.36 |
SOIBOM | 1.77 | 2.87 | 3.56 | 5.68 |
MEI | 1.77 | 2.90 | 3.65 | 5.56 |
Xm | 1.76 | 2.84 | 3.64 | 5.76 |
s(Xm) | 0.03 | 0.15 | 0.09 | 0.34 |
s(Xm)/Xm | 0.017 | 0.053 | 0.024 | 0.059 |
Il confronto con gli indici ENSO ci porta a considerare con maggiore attenzione i massimi di TPW20 dato che tutti riguardano la fascia tropicale.
Con buona approssimazione gli spettri del vapore acqueo contengono i massimi di ENSO e anche HC4 mostra i segni di questo fenomeno, più deboli a causa della media globale e leggermente spostati verso i periodi più lunghi.
Tutti i grafici e i dati, iniziali e derivati, relativi a questo post si trovano nel sito di supporto qui |
Lo dico a bassa voce, essendo ignorante in materia, ma forse il pianeta “va anche a ghiaccio”, parafrasando il Prof. Mariani.
Mesi fa ero nel centro di controllo durante il decollo del volo Giappone -> Hawaii del Solar Impulse, l’aereo a propuslsione elettrica con alimentazione mista fotovoltaica – batterie.
Per quel volo la decisione di decollare fu veramente sofferta e marginale, perché alcuni dei migliori meteorologi del mondo non riuscivano a valutare la probabilità ed estensione di un banco di cirri il terzo giorno lungo la rotta sul Pacifico e l’aereo rischiava di naufragare in mezzo all’oceano se non avesse potuto raggiungere una zona libera da cirri e ricaricare le batterie.
Approfondendo, ascoltai che la previsione dei cirri è una vera “bestia nera”, ancora poco affidabile – anche se questo già lo intuivo per esperienza diretta nelle competizioni di volo a vela, dove un “piccolo” e forse inatteso cb, con i suoi cirri, può “spegnere” le termiche su centinaia di km2 sottovento.
Sotto il profilo climatico immagino che i satelliti diano già informazioni adeguate circa la copertura media delle nubi alte, ma nello spirito di questo post del Prof. Zavatti, una sequenza:
“T+ —> VA+ —>cirri/ghiaccio+ —> T- —> VA- —> reset del sistema, pronto per un nuovo ciclo”
potrebbe essere immaginata anche per i cirri con il loro albedo raffreddante, generando lo stesso tipo di domande sul senso della causalità.
O forse i cirri sono già considerati come parte del fenomeno “nubi”, anche se in questo specifico contesto il loro vapore acqueo, a differenza di quanto considerato sopra, non partecipa come gas serra ma come schermo radiativo – un meccanismo del tutto differente.
Un simile aspetto — quello della rilevanza dei cirri e della loro schermatura radiativa — ha già una valutazione quantitativa?