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Una nuova spiegazione per il Massimo Termale del Paleocene-Eocene

petmIl Massimo Termale del Paleocene-Eocene (PETM) indica un periodo caratterizzato da condizioni climatiche particolari: le temperature medie globali erano di 8/9 gradi centigradi più alte di quelle attuali e la concentrazione di CO2 rasentava le 1700 ppm volumetrico. Il PETM caratterizzò un periodo lungo circa 150.000 anni compreso tra 55 e 56 milioni di anni fa, ben documentato da tutte le serie stratigrafiche da cui sono state desunte le serie paleoclimatiche. Da anni, se non decenni, i ricercatori cercano di capire le cause scatenanti del fenomeno climatico, senza riuscire a trovare una spiegazione convincente della catena fattuale che originò e perpetuò l’innalzamento delle temperature e della concentrazione di diossido di carbonio nell’atmosfera e negli oceani.

Alcuni anni fa della questione si occupò l’amico C. Costa che pubblicò, qui su CM, un post che delineava lo stato dell’arte sul PETM.  In tempi più recenti della questione si è occupato un articolo pubblicato  su Science:

Impact ejecta at the Paleocene-Eocene boundary

di M. F. Schaller, M. K. Fung, J. D. Wright, M. E. Katz, D. V. Kent (da ora Schaller et al., 2016).

Schaller et al., 2016 è dell’avviso che intorno a 55,6 milioni di anni fa un enorme oggetto proveniente dallo spazio (probabilmente una cometa) cadde sul territorio dell’attuale New Jersey, negli USA. Gli autori hanno potuto accertare, sulla base di tre serie stratigrafiche prelevate dai fondali dell’Oceano Atlantico che, in corrispondenza del passaggio dal Paleocene all’Eocene, le argille della matrice dei sedimenti bentonici presentano caratteristiche magnetiche anomale e, inoltre, sono state individuate delle particelle sferoidali, conosciute come microtectiti, che hanno matrice vetrosa e che possono formarsi solo a seguito dell’impatto di un corpo celeste che vaporizza immense quantità di materia che, solidificandosi, genera le microtectiti.

Le particelle vetrose sferoidali individuate da Schaller e colleghi, hanno dimensioni di granelli di sabbia e sono contenute alla base di uno strato di argilla fine che segna l’inizio del Massimo termico. La successione stratigrafica risulta fortemente correlata con altre serie stratigrafiche individuate in altre aree del New Jersey ed in diverse carote oceaniche che circondano il probabile sito dell’impatto.

Immagine dei sedimenti analizzati nel corso dello studio di Schaller e colleghi con ingrandimenti dei microtectiti presenti (fonte dell'immagine: Rensselaer Polytechnic Instititute)
Immagine dei sedimenti analizzati nel corso dello studio di Schaller e colleghi con ingrandimenti dei microtectiti presenti (fonte: Rensselaer Polytechnic Instititute)

L’ipotesi dell’impatto extraterrestre per spiegare il PETM non è nuova in quanto fu proposta da uno degli autori (Kent) circa 13 anni fa, ma fino ad oggi non erano mai state individuate le prove dell’evento. Con la scoperta di cui si parla nell’articolo, l’ipotesi assume nuova linfa e sembrerebbe plausibile.

Schaller et al., 2016 delineano diversi scenari conseguenti all’impatto che portano all’innesco del PETM. Ognuno di essi prevede un fortissimo aumento della concentrazione di CO2 nell’atmosfera terrestre con l’innesco di un potentissimo effetto serra che determinò il PETM. In uno di essi si ipotizza che il corpo extraterrestre all’origine dell’impatto fosse una cometa che, vaporizzandosi, avrebbe riversato il suo carico di carbonio nell’atmosfera terrestre. Un altro scenario prevede la vaporizzazione di sedimenti ricchi di carbonio che ora si possono ritrovare sotto la superficie terrestre.

Sia in un caso che nell’altro il quantitativo di diossido di carbonio generato dall’evento sarebbe troppo poco per giustificare un riscaldamento globale così intenso per cui esso non avrebbe fatto altro che innescare una serie di processi che avrebbero determinato o la fusione degli idrati di metano confinati sul fondo dell’oceano o generato forti eruzioni vulcaniche. Detto in altre parole, le cause del PETM sono quelle che già circolano da decenni (vulcanismo o fusione dei clatrati idrati); ciò che cambia è la causa prima.

La teoria sembra suggestiva, ma non rimuove nessuno dei punti controversi delle teorie “classiche”. Il primo vulnus della teoria riguarda la durata del PETM. Considerato che il tempo di permanenza del diossido di carbonio in atmosfera è di centinaia d’anni, come si fa a spiegare la durata multi millenaria dell’intero periodo? Le emissioni di anidride carbonica sarebbero dovute durare per centinaia di migliaia di anni e ciò non collima con l’ipotesi di un fatto drammatico, ma istantaneo.

Esso non riesce a spiegare, inoltre, una peculiarità del PETM messa in luce da un articolo pubblicato nel 2010 su Nature:

Continental warming preceding the Palaeocene-Eocene thermal maximum
di R. Secord, P. D. Gingerich, K. C. Lohmann, K. G. MacLeod

Gli autori, sulla base di una successione stratigrafica caratterizzata da una risoluzione piuttosto alta, ricostruirono due profili di temperatura basati sulle concentrazioni di ematite e sullo studio delle foglie contenute nei paleosuoli. Utilizzando i dati relativi alle concentrazioni dell’isotopo 18 dell’ossigeno nello smalto di tre molari di un mammifero vissuto in quel periodo, hanno desunto in base ad alcune considerazioni di ordine metabolico ed ambientale, che le temperature medie annue aumentarono prima che si verificasse il famoso picco della concentrazione di CO2 atmosferico conosciuto come CIE (Carbon Isotope Excursion). Ad essere precisi si verificarono due aumenti di temperatura di entità similare: uno che precedette  il CIE e l’altro verificatosi durante il CIE. La somma dei due incrementi portò  a variazioni di temperatura dell’ordine di 8-9 °C.
Che la temperatura abbia guidato l’aumento di CO2 atmosferica e non viceversa, è stato desunto dalle variazioni nella concentrazione dell’isotopo 13 del carbonio nei denti e nel paleosuolo. Sulla base di tali dati il primo aumento di temperatura ha preceduto di circa 12000+/-6000 anni l’inizio del CIE.
Secord e colleghi non individuarono alcuna delle cause del riscaldamento globale che precedette il CIE, limitandosi ad ipotizzare qualche causa naturale che fece aumentare le temperature globali tra cui un aumento della concentrazione di gas serra di origine vulcanica e/o geologica non meglio definita.

A mio modesto avviso Schaller et al., 2016 avanzando l’ipotesi che una cometa colpì la superficie terrestre prima del PEMT, riuscirebbe a spiegare l’improvviso picco di CO2 in atmosfera: la sua vaporizzazione avrebbe arricchito di diossido di carbonio l’atmosfera innescando un primo effetto serra (quello precedente il CIE). Resta in ogni caso avvolto nel mistero il successivo aumento di temperatura verificatosi durante il CIE ed il collegato aumento di diossido di carbonio nell’atmosfera. Un’ipotesi realistica sarebbe quella di collegarlo al vulcanismo.

Anche se queste ipotesi fossero corrette, resterebbe, però, la questione più importante: quale fu la fonte che per centinaia di migliaia d’anni continuò ad iniettare CO2 in atmosfera? Tanto i fenomeni vulcanici che gli impatti di oggetti extraterrestri sono, infatti, eventi che si verificano una tantum e che sconvolgono il mondo in breve tempo. Anche i loro effetti sono, però, brevi e tendono ad esaurirsi nell’arco di qualche secolo. Nel caso del PETM ciò che stupisce è la durata del periodo caratterizzato da alte temperature ed altrettanto alte concentrazioni di CO2. Giungiamo, pertanto, alla poco esaltante conclusione che il PEMT continua a restare un mistero, se lo vogliamo leggere dal punto di vista della concentrazione di CO2 atmosferica e di sensibilità climatica.

Prima di concludere non posso fare a meno di riportare qualche critica al lavoro di Schaller e colleghi: secondo alcuni studiosi uno dei principali punti di debolezza della ricerca di cui ci stiamo occupando, è la mancanza di una datazione diretta dei granuli vetrosi. La loro età è stata determinata, infatti, per confronto con l’età della matrice che contiene le sferule. Anche questa non è una critica da poco.

La cosa confortante in tutto questo è che prima, durante e dopo la PETM (la cui durata fu, ripeto, di oltre 150.000 anni) esistevano i mammiferi: i denti di Phenacodus (il mammifero studiato da Secord e colleghi)  lo dimostrano al di la di ogni ragionevole dubbio. Questo significa che in presenza di temperature enormemente più alte di quelle odierne e con picchi di CO2 ed altri gas serra che fanno impallidire quelli attuali, la vita ha continuato a prosperare. E’ cambiata, indubbiamente, ma non è finita. In corrispondenza del PETM non vi furono, infatti, estinzioni di massa.

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Published inAttualitàClimatologia

3 Comments

  1. […] fa, durante il quale le temperature terrestri furono enormemente più alte di quelle attuali (in studi precedenti si parlava di circa 8-9 °C, ma sulla base dello studio che stiamo esaminando, i valori […]

  2. Caro Donato, dal tuo post molto chiaro deduco, direi senza molta fatica, che qualunque conclusione con dati tanto lontani , vaghi e poco precisi presta il fianco a critiche che arrivano da tutte le direzioni: quasi una profonda discussione sul sesso degli angeli.
    Però mi sembra importante la parte finale del post che penso non ammetta discussioni: i mammiferi erano presenti prima, durante e dopo l’evento improvviso quanto esteso temporalmente e quindi possono reggere forti variazioni di temperatura per periodi prolungati. Non solo non c’è stata la fine del pianeta, ma nemmeno della vita. Altro che aumenti di (meno di) un grado in 160 anni! Chissà come si pongono i salvatori della Terra…
    Altra cosa da notare è la conferma che l’aumento di temperatura precede l’aumento di CO2. Molto interessante. Ciao. Franco

  3. Uberto Crescenti

    Ottimo articolo che come sempre Donato Barone ci ha abituato. Desidero portare un contributo all’ultima nota dell’articolo ove si afferma che pur in presenza di elevate temperature durante il PETM la vita prosperava. Nei miei primi “decenni” di ricercatore ho affrontato lo studio biostratigrafico di successioni stratigrafiche mesozoiche-terziarie dell’Appennino centro-meridionale, attraverso l’esame micropaleontologico di migliaia di campioni raccolti sia nelle facies pelagiche (Formazione della scaglia umbro-marchigiana), sia nelle facies di piattaforma carbonatica. In corrispondenza dell’intervallo del PETM ho sempre riscontrato una notevole ricchezza di Foraminiferi sia bentonici sia planctonici. Tutto ciò conferma che pur in presenza di temperature elevate rispetto ad oggi, la vita nel nostro Pianeta era rigogliosa e diffusa.

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