Riassunto
Secondo la teoria enunciata da Ellis e Pamer la transizione glaciale – interglaciale sarebbe innescata dai bassi livelli di CO2 che sarebbero all’origine di un potente feedback polvere-albedo che agirebbe da potenziatore dell’effetto Milankovitch. Un ruolo secondario sarebbe invece assunto dall’aumento di torbidità atmosferica che riduce la radiazione solare che giunge al suolo.
Summary
According to the new theory enunciated by Ellis and Pamer the transition glacial – interglacial would be triggered by low CO2 levels as causing a powerful dust-albedo feedback that would act as a potentiator effect Milankovitch. A secondary role would instead be taken by the increase of atmospheric turbidity which reduces the solar radiation that reaches the ground.
Un esempio islandese
Un luogo ideale per osservare l’associazione fra l’ambiente peri-glaciale molto povero di vegetazione e la ricchezza di polvere è a mio avviso l’Islanda. Lì alcuni anni orsono ho avuto infatti modo di osservare alcune tempeste di povere ed in particolare quella che propongo nella foto ripresa nei pressi della caldera del vulcano Askja, ove un forte foehn da sudovest sollevò un’enorme massa di polvere da una superficie quasi del tutto priva di vegetazione. Un fenomeno del genere da un lato aumenta la torbidità atmosferica riducendo la radiazione solare che giunge al suolo e dall’altro sporca il ghiaccio e la neve accelerandone lo scioglimento. Questo esempio può essere utile per calarci nella ricchezza di polvere propria delle ere glaciali e attestata sia dalle analisi delle carote glaciali groenlandesi e antartiche sia dai tanti accumuli di terreni da trasporto eolico (loess) sparsi in tutto il mondo, dalle pampas argentine alle basse colline dell’Europa centrale e a gran parte delle pianure della Cina.
La teoria di Ellis & Palmer e il commento di Rapp
Del ruolo climatico della polverosità propria delle ere glaciali ci parla un interessante articolo scritto da Ellis e Palmer (2016), commentato in modo molto efficace ed esaustivo da Donald Rapp sul sito di Judith Curry. Per inciso possiamo liberamente leggere l’articolo di Ellis e Palmer grazie a un “Open Access funded by China University of Geosciences (Beijing)” il che mi pare un interessante segno dei tempi.
In sostanza Ellis e Palmer partono dalla constatazione secondo cui negli ultimi 2,5 milioni di anni si è registrato un certo numero di ere glaciali dalle quali si è usciti solo nei periodi in cui le ciclicità astronomiche indicate dalla teoria di Milancovitch hanno prodotto elevati livelli di radiazione sull’emisfero boreale (e fin qui niente di nuovo). Tuttavia gli autori osservano che non sempre gli elevati livelli di radiazione hanno comportato l’uscita da un’era glaciale e queste eccezioni sono ancora in attesa di una spiegazione.
Alla luce di ciò Ellis e Palmer hanno enunciato la teoria secondo cui l’uscita da un’era glaciale avrebbe luogo allorché, al culmine della glaciazione, la CO2 precipita a livelli tanto bassi da impedire lo sviluppo della vegetazione su ampie aree periglaciali ed in particolare in quelle che sono le gradi distese asiatiche oggi dominate da vegetazione steppica (deserto del Gobi e del Taklamakan). Da tali zone, rese totalmente prive di vegetazione a seguito della “morte per fame” della stessa, si sollevano enormi tempeste di polvere che si depositano sulle calotte glaciali fino a raggiungere quantitativi tali da causare un sensibile calo di albedo che, in presenza di elevati livelli di radiazione solare, innesca lo scioglimento massiccio.
Secondo Ellis e Palmer, perché lo scioglimento massiccio abbia inizio occorre che i ghiacci si impregnino di polvere al punto tale che ad ogni estate, sciolto lo strato di neve fresca accumulatosi nell’inverno precedente, venga esposto all’effetto del sole un potente strato di neve sporca.
In sostanza penso che per avere un’idea di come debbano apparire le calotte glaciali dell’emisfero Nord all’inizio di una transizione glaciale – integlaciale basta guardare la calotta polare di Marte, composta di ghiaccio e polvere (qui).
Il ruolo della CO2
Come riassunto di quanto detto riporto lo schema prodotto da Rapp in base alle indicazioni offerte da Ellis e Palmer:
le ere glaciali causano l’estensione dello strato di ghiaccio -> raffreddamento oceanico -> l’oceano freddo assorbe più CO2 -> la vegetazione scompare dal plateau del Gobi -> comparsa di deserti da bassa CO2 -> formazione di polvere che contamina lo strato di ghiaccio per circa 10 mila anni, fino a impregnarlo per un sufficiente spessore.
E poi:
Aumento dell’insolazione sull’emisfero nord per l’effetto Milankovitch -> lo strato di ghiaccio superficiale si fonde -> esposizione all’azione del sole dello strato di ghiaccio a alta concentrazione di polvere -> riduzione dell’albedo -> maggiore assorbimento di radiazione -> intensificazione dei processi di fusione -> ingresso nell’interglaciale.
In conclusione se la teoria di Ellis e Palmer fosse confermata saremmo chiamati a confrontarci con un ulteriore ruolo ecologico di CO2, i cui bassi livelli atmosferici innescherebbero la transizione glaciale – interglaciale e sarebbero pertanto alle radici della più importante ciclicità climatica del clima terrestre degli ultimi 2,5 milioni di anni.
Bibliografia
- Ellis, Ralph and Michael Palmer, 2016, Modulation of Ice Ages via precession and dust – albedo feedbacks, in Geoscience Frontiers http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1674987116300305
- Rutter Nat, 2009. Utilizing Paleosols in Quaternary Climate Change Studies, Geoscience Canada, https://journals.lib.unb.ca/index.php/gc/article/view/12581/13450
Caro Luigi, l’aspetto più interessante di Ellis e Palmer è che hanno individuato un meccanismo molto intrigante per spiegare le transizioni glaciale-interglaciale che integra le altrettanto suggestive ipotesi di Tzedakis et al., 2012 relative alle alterazioni indotte nella circolazione termoalina dalla fusione di grandi quantità di ghiaccio.
Ellis e Palmer hanno individuato un meccanismo in grado di spiegare perché i ghiacci cominciano a fondersi, innescando l’interglaciale e ciò è importante in quanto Tzedakis et al., 2012, non forniva alcuna spiegazione del perchè si innescasse la fusione dei ghiacci terrestri che, influenzando la MOC, determinano la cosiddetta altalena bipolare e, in ultima analisi, determinano le condizioni per i cambiamenti climatici che portano ai cicli glaciali.
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Molto importante appare, inoltre, il ruolo della CO2 che, in questo caso, poco ha a che vedere con lo squilibrio radiativo, ma che è in grado di determinare le condizioni per la fine del periodo glaciale attraverso la morte per fame delle piante: un fatto di cui si è sempre parlato (quello della CO2 come cibo per le piante) e che in questa ottica assume un ruolo estremamente importante.
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La cosa più interessante di tutte mi sembra, però, l’estrema complessità del sistema e la miriade di fattori che interagendo tra di loro in modo non sempre comprensibile, determinano il clima terrestre e, in ultima analisi, la nostra vita. Quando mi trovo di fronte a simili circostanze non posso fare a meno di ricordare l’aforisma di W. Shakespeare: “Ci sono più cose in cielo ed in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia”
Ciao, Donato.
Caro Donato, grazie per le tue considerazioni. La macchina del clima è in effetti un labirinto in cui fattori fisici e biologici si mischiano fra loro in modo spesso inestricabile. Peraltro le osservazioni e Ellis & Pamer ci rinviano a un fattore (la povertà di CO2 che complice il freddo uccide la vegetazione in vaste fasce periglaciali) per il quale sarà penso difficile trovare la prova definitiva, a meno che non si conducano degli esperimenti in ambienti idonei e si estendano i risultati da essi ricavati con l’uso di modelli. C’è comunque pane per i denti di chi aspiri a far ricerche basate su presupposti non dogmatici.
Ciao. Luigi