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Un caldo da crepare? Non proprio…

Soltanto qualche giorno fa, abbiamo segnalato l’uscita di uno studio che ha riesaminato gli effetti della caldissima estate del 2003 sulla mortalità di due grandi città europee. L’amico Luigi Mariani, in questo suo commento, ha rammentato che la letteratura disponibile sulla relazione temperature-salute umana, è piuttosto concorde nell’individuare una netta prevalenza di significatività di impatto degli episodi di freddo rispetto a quelli di caldo. In sostanza, il freddo ammazza molto più del caldo, da sempre.

Tant’è che, nelle ultime decadi, in cui mediamente hanno prevalso delle anomalie termiche positive, è stata registrata una flessione delle morti direttamente riconducibili a cause atmosferiche. La questione è di per se significativa, anche soltanto perché, tanto per cambiare, i numeri dimostrano che non siamo affatto sull’orlo del precipizio, termicamente parlando…

Mi capita infatti per le mani un altro articolo, uscito per la verità qualche mese fa, di cui mi preme riportare l’abstract:

Rising Temperatures, Human Health, and the Role of Adaptation

C’è quasi assoluto consenso nella comunità scientifica sul fatto che gli esseri umani sperimenteranno delle temperature più alte in futuro a causa dell’accumulo di gas serra in atmosfera. La risposta dell’umanità a questo cambiamento di clima, specialmente se accompagnata dall’insorgenza di eventi di caldo estremo, è un argomento chiave su cui si concentrano scienziati di molte discipline. In questo articolo si esamina la recente ricerca (2012-2015) sugli impatti sulla salute umana dell’aumento delle temperature estive osservato e previsto. Ne risulta che gli studi basati sulle proiezioni di cambiamenti climatici indicano un sostanziale futuro aumento nella mortalità e nel disagio collegati al caldo, mentre gli studi basati sulle osservazioni delle serie storiche relative al clima ed alla salute mostrano una diminuzione degli impatti negativi durante il recente riscaldamento. Questa discrepanza tra i due gruppi di studio sottende generalmente quanto bene e quanto velocemente gli esseri umani possano adattarsi a cambiamenti del clima attraverso comportamenti fisiologici e/o adattamento tecnologico, e come tale adattamento sia quantificato.

Ancora una volta, il mondo delle simulazioni – su cui però poggiano tutte le idee di policy – dimostra di essere scollegato dalla realtà, ovvero di non riuscire a tener conto, nel valutare l’impatto del fattore umano sul clima e il ritorno di questo sugli uomini, dello stesso fattore umano. Nonostante ciò tutto questo viene venduto come il futuro dell’uomo, naturalmente, oscuro.

Ma vi pare una cosa normale?

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Published inAttualità

Un commento

  1. Luigi Mariani

    Bè, come mi segnala l’amico Sergio Pinna che in passato si è parecchio occupato del problema, il fenomeno di cui parla l’articolo si riscontra tutti gli anni, nel senso che la prima ondata di caldo dell’anno è quella che causa disagi più rilevanti agli umani mentre quelle successive sono meno dannose in quanto il nostro organismo ha avuto modo di adattarsi.
    Non dimentichiamo poi che la nostra specie nasce in ambienti subtropicali e l’espansione verso nord è un fatto successivo dettato sia da processi culturali (sviluppo di sistemi di protezione come fuoco, vestiario, ecc.) sia dalll’insorgere di mutazioni che ci hanno resi più adatti agli ambienti freddi come ad esempio le maggiori dimensioni corporee (un corpo più grande trattiene più facilmente il calore perchè ha un minor rapporto superficie – volume) e il rimpicciolimento delle narici (narici più piccole consentono di meglio mitigare l’aria fredda esterna). Come suggeriva Cavalli Sforza basta confrontarci con i pigmei (esseri umani perfettamente adattati all’ambiente della foresta puviale) per renderci conto di cosa abbia implicato per la nosrta specie l’adattamento a un nuovo ambiente più freddo.
    Luigi

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