E’ di gran moda la realtà virtuale, evolutasi ultimamente in qualcosa che vorrebbe essere ancora più vicina ai nostri sensi come lo è il mondo reale, la realtà aumentata. Nonostante ciò però, gli strumenti (o giocattoli) che dovrebbero portarci in questa nuova dimensione non decollano. Google glass, Oculus e le molto più basiche cardboard sono oggetti per tecno-dipendenti, ancora ben lontani dal soddisfare le aspettative. Forse è solo questione di costi, quindi di tempo, e tra un po’ saremo tutti lì a procurarci sensazioni on demand a prescindere dal mondo che ci circonda, ma per ora non è così. Per ora, per fortuna, ancora si vive, nel senso tradizionale del termine.
C’è un settore però in cui la propensione alla virtualizzazione della realtà funziona alla grande, anzi, è decisamente preferito. E’ naturalmente quello della rappresentazione climatica, un mondo dove l’analogia con la fiction, con la teatralità, appunto con le rappresentazioni è tutt’altro che casuale. Un mondo che ha un problema piuttosto serio. La deriva catastrofica, il disfacimento, lo sconvolgimento previsti non arrivano. Un mondo dove la distanza tra ciò che è previsto e ciò che è osservato si fa sempre più incolmabile, seminando lo sconcerto tra quanti, ansiosi di dar buoni consigli, non sanno più che pesci pigliare.
Quanto si scalderà il pianeta in conseguenza del persistente aumento della concentrazione di anidride carbonica al ritmo dell’1% all’anno dopo che questa avrà raggiunto valori doppi a quelli pre-industriali? Se vi sembra una cosa cervellotica, sappiate che questo “quanto”, che in gergo tecnico si definisce Transient Climate Response o sensibilità climatica, è uno dei cardini centrali del dibattito sul clima, nonché una delle maggiori fonti di incertezza, perché i modelli climatici dicono che assumerà valori ben più alti di quanto gli ultimi studi sulla sua definizione abbiano individuato, essendo basati essenzialmente sull’andamento di ciò che è osservato e sulla pur limitata conoscenza delle dinamiche del sistema.
In un articolo uscito da poco su Nature Climate Change, il problema è presto risolto: la colpa, scrivono, è delle osservazioni, perché nel loro complesso, non sono rappresentative di quello che accade, ci sono troppi “buchi”. Quindi, per paragonare l’andamento delle simulazioni con la realtà, bisogna trattare le prime come la seconda, usare cioè nei modelli gli stessi schemi con cui si adattano le osservazioni e le si fa diventare rappresentative. Così facendo, si capisce (!) che l’aumento delle temperature osservato sin qui è largamente sottostimato, cioè il pianeta si è scaldato di più e non ce ne siamo accorti. Tenendo conto di questa sottostima, ecco che, magicamente, la sensibilità climatica prevista dai modelli va d’accordo con quella osservata, ovvero corretta.
Reconciled climate response estimates from climate models and the energy budget of Earth
Primo. Piuttosto che adattare gli schemi delle simulazioni a quelli delle osservazioni, meglio sarebbe paragonarne gli output con dati di rianalisi, che hanno copertura globale; questo perché i modelli climatici, allo stato attuale, non hanno nessuna possibilità di scendere con successo alla scala spaziale delle osservazioni, ovvero di intercettarne e riprodurne efficacemente le dinamiche.
Secondo. Tutto questo ragionamento parte dal presupposto che i modelli siano attendibili, cosa che assolutamente non è. Infatti per valutarne l’attendibilità li si fa correre nel tempo per periodi di cui si dispone di osservazioni e, dove non c’è accordo, si aggiusta il tiro delle innumerevoli scelte possibili in base a quelle. Ora però scopriamo – ma lo abbiamo sempre saputo e ci hanno sempre detto che la stima della temperatura media globale era accurata – che la realtà, per come è osservata, non è sufficientemente rappresentativa, quindi meglio ricorrere ai modelli, che però dipendono ne sono dipendenti.
Terzo, possibile che tutta l’incertezza che risiede nella stima dell’andamento delle temperature (gli autori esprimono una forchetta che va dal 9 al 40%!) sia positiva? Da dove viene questa certezza? Dalla comparazione con i modelli.
Ma vi pare una cosa normale? Benvenuti nel mondo del clima virtuale.
PS: per approfondire, c’è un’ampia trattazione di questo articolo sul blog di Judith Curry.
A proposito dell’origine dell’Universo, S. Hawking in “Dal big bang ai buchi neri. Breve storia del tempo” narra un aneddoto:
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Un famoso scienziato tenne una volta una conferenza pubblica su un argomento di astronomia. Egli parlò di come la Terra orbiti attorno al Sole e di come il Sole, a sua volta, compia un’ampia rivoluzione attorno al centro di un immenso aggregato di stelle noto come la nostra galassia. Al termine della conferenza, una piccola vecchia signora in fondo alla sala si alzò in piedi e disse: “Quel che lei ha raccontato sono tutte frottole. Il mondo, in realtà, è un disco piatto che poggia sul dorso di una gigantesca tartaruga.” Lo scienziato si lasciò sfuggire un sorriso di superiorità prima di rispondere: “E su cosa poggia la tartaruga?” “Lei è molto intelligente, giovanotto” disse la vecchia signora. “Ma ogni tartaruga poggia su un’altra tartaruga!”
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La teoria del Big Bang, la teoria del multiverso, la teoria delle stringhe e chi più ne ha, più ne metta, rappresentano dei modelli usati per spiegare la nascita e l’esistenza del nostro universo alla luce dei principi della meccanica quantistica e della relatività generale (che, ricordo a me stesso, sono inconciliabili tra di loro). Essi soffrono di una serie di problemi che gli scienziati hanno proposto di risolvere in un certo modo. Tralasciando il problema dell’inflazione di cui scrive M. Rovati, guardiamo un attimo la materia e l’energia oscure: senza la materia e l’energia oscure non si riesce a spiegare la velocità di espansione dell’universo misurata dagli astronomi ed il fatto che essa sia in aumento. Allo stesso modo non si riesce a spiegare il fatto che le galassie hanno la forma e struttura che hanno: la materia barionica non riesce a spiegare quasi nulla di quello che vediamo e misuriamo.
I cosmologi sono coscienti di questi problemi e propongono delle ipotesi che poi vengono sottoposte a verifica sperimentale: agiscono secondo il metodo scientifico. Questo modo di procedere a me sta bene, non ci trovo nulla di strano, anche alla luce dell’insegnamento di T. Kuhn riguardo al concetto di paradigma: la linea di pensiero principale è connaturata all’essere umano e non c’è nulla da fare, prendere o lasciare. 🙂
Può darsi che uno di questi anni verrà fuori un’altra idea che soppianterà tutto ciò che oggi consideriamo probabile e, guardando indietro, sorrideremo così come sorridiamo del mondo piatto poggiato su di una tartaruga o degli epicicli di Tolomeo.
L’aspetto più interessante di tutto il discorso è che i cosmologi e gli astronomi elaborano le loro teorie, le verificano, le abbandonano, le rimodulano, ma non ci cambiano la vita. All’uomo della strada interessa tanto poco quanto niente che l’universo sia nato da una fluttuazione quantistica dello spazio tempo che chiamiamo Big Bang o che sia stato creato da un’entità superiore; che la materia oscura esista o non esista; che la teoria delle stringhe sia vera o falsa. All’uomo che vuole sapere e conoscere, invece, interessa e tanto. Che poi l’uomo della strada e quello desideroso di sapere coincidano è un altro discorso e, in questo caso, condivido le perplessità di M. Rovati.
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Nel campo della climatologia di cui ci interessiamo principalmente su queste pagine, la cosa è diversa, molto diversa, perché la linea di pensiero principale incide sulla vita di tutti noi in modo estremamente pesante. Ieri sera ho comunicato all’ENEA le caratteristiche tecniche di alcuni infissi che un cliente ha sostituito per poter beneficiare delle famose detrazioni fiscali del 65%. Dietro tutto questo ambaradan c’è il cambiamento climatico di origine antropica, gli obiettivi di riduzione delle emissioni fissati dall’EU, la necessità di salvare il mondo.
E’ vero come scrive M. Rovati che i finanziamenti vanno a chi studia il Big Bang e non agli altri, ma alla fine sono quisquilie se confrontati alla marea di denaro che gira intorno al business climatico. E questi sono soldi di tutti noi perché se il mio cliente risparmia, in tasse, il 65% della spesa sopportata per la sostituzione degli infissi (il 65% di circa 30.000 euro in dieci anni è una bella cifra 🙂 ), qualcun altro quei soldi li dovrà cacciare.
Per chiudere la mia replica alla provocazione di M. Rovati, mi sta bene che nel mondo che studia la fisica delle particelle o la struttura dell’universo esistano delle realtà virtuali che però vengono sottoposte al vaglio della misura e dell’esperimento per poter essere accettate o respinte, non mi sta affatto bene che sulla realtà virtuale vengano impostate politiche energetiche e non solo che influiscono pesantemente sulla mia vita quotidiana.
Ciao, Donato.
‘Sto andazzo è abbastanza comune nell’apparato scientifico.
Per esempio in cosmologia il mainstream segue monotonicamente la linea teorica del Big Bang, ergo…
“Nonostante dettagliate mappe dell’Universo vicino, che coprono lo spettro elettromagnetico dalle onde radio ai raggi gamma, si è riusciti ad individuare solo il 10% della sua massa, come dichiarato nel 2001 al New York Times da Bruce H. Margon, astronomo all’Università di Washington:
« È una situazione alquanto imbarazzante dover ammettere che non riusciamo a trovare il 90% [della materia] dell’Universo. »
Va precisato che il concetto di materia oscura ha senso all’interno dell’attuale modello standard della cosmologia basato sul Big Bang, per due ragioni fondamentali:
1-non si potrebbe altrimenti spiegare la formazione di galassie e ammassi di galassie nel tempo calcolato dall’evento iniziale del Big Bang stesso
2- in uno scenario cosmologico come l’attuale, che prevede come unica forza cosmologica la gravità, non si spiegherebbe come le galassie si possano mantenere integre, dato che la materia visibile, composta da barioni, non è in grado di sviluppare una sufficiente attrazione gravitazionale
Viceversa, se l’attuale teoria risultasse errata, si potrebbe non avere necessità di materia oscura, giacché l’ipotesi della sua esistenza deriva solo dalla violazione di un modello matematico e non da alcuna evidenza sperimentale certa.”
(per non parlare dell’Energia Oscura”. Altra quantità introdotta per soddisfare l’implacabile fame di soddisfazione dei modelli)
https://it.wikipedia.org/wiki/Materia_oscura
Il Big Bang entra però in sofferenza ben prima della formazione delle galassie tanto da richiedere (per soddisfare il modello) l’introduzione di una fase inflazionaria di espansione superluminale… Ehm… Ad hoc?
https://it.wikipedia.org/wiki/Inflazione_(cosmologia)
Gli scettici del BB non mancherebbero ma a costoro tocca un po’ di sano mobbing scientifico…
Per esempio il compianto astronomo americano Halton Arp ( https://it.wikipedia.org/wiki/Halton_Arp ) scriveva che:
“La mia esperienza è che i primi dati contraddittori apparsi nel 1966 riscossero notevole attenzione. Ma quando le conseguenze delle osservazioni divennero chiare, diventò sempre più difficile pubblicarle e discuterle”
Un vero complottista direbbe qualcuno! Però i soldi della ricerca vanno solo al BB.
In questo manicomio succedono cose da pazzi (per citare una famosa battuta del principe A. de Curtis ed il titolo di un vecchio articolo pubblicato su CM).
Questa è, però, l’amara realtà (nella vita e soprattutto nel circo climatologico).
Ad essere sinceri non c’è molto da scandalizzarsi in quanto le premesse di tutto ciò sono, grossomodo, le seguenti:
– aumenta la CO2 e, quindi, l’effetto serra;
– l’effetto serra determina aumento di temperatura a causa dello squilibrio radiativo;
– siccome conosciamo perfettamente (sic!) la fisica del sistema questo comporta che le temperature aumenteranno sempre di più essendo un indice dello stato termico del corpo Terra che ha la febbre a causa dell’effetto serra;
– ciò comporta una sensibilità climatica di 4,5 °C (minimo) (sic!);
– poiché le temperature non aumentano come dovrebbero sulla base delle conoscenze attuali, deve esserci un problema;
– il problema consiste nel fatto che il “termometro” non è corretto, c’è, quindi un bias da correggere;
– come lo correggiamo? Con le temperature virtuali, ovviamente.
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Il discorso vi sembra poco corretto o logico? Forse, ma gente come M. Mann (quello del bastone da hockey, per intenderci) già ha risolto il problema: il cambiamento climatico è in atto ed è evidente a tutti, non servono più né misurazioni, né ulteriori spiegazioni, né modelli vari, né analisi statistiche. E’ un fatto evidente come quello che il sole sorge tutte le mattine, bando alle ciance.
http://www.washingtontimes.com/news/2016/jun/27/michael-mann-climate-scientist-data-increasingly-u/
Direte che non è così che funziona la scienza. Difatti non è più di scienza che si parla, ma di una ideologia: l’ideologia del clima che cambia e cambia male.
Mala tempora currunt…. 🙂
Ciao, Donato.
Non ho ancora approfondito l’argomento. Certo che una simile forma mentis, applicata ad altri ambiti – che so, medicina, contabilità finanziaria, ingegneria strutturale – di solito porta ad esiti disastrosi e penali. Ma chissà perché, ai guerrieri dell’ambiente tutto è permesso…
Eppure caro Guido mi sembra che in alcuni casi le misurazioni delle anomalie di temperatura su scala globale vengano effettuate coprendo tali “buchi” proprio con estrapolazioni di dati sfornati dai modelli attuali, piuttosto che attraverso estrapolazioni di dati reali da stazioni di rilevamento piu’ o meno vicine. Con il risultato di incrementare il riscaldamento rispetto alla realta’. Mi sbaglio?
Non sbagli, è per questo che il ragionamento da circolare è diventato vorticoso…
gg
“…da circolare è diventato vorticoso…”
Vedi, o negazzista, che gli eventi estremi sono veramente in aumento? ;))