Roger Pielke jr è un accademico americano che è stato a lungo molto attivo nel dibattito sul clima, con un approccio non scettico ma molto realista, quindi neanche mainstream. Essendo però specializzato in materie economiche, i suoi studi e le sue analisi hanno riguardato soprattutto i dati relativi agli impatti degli eventi atmosferici, specie quelli estremi, in termini di danni arrecati.
Questo fino a un paio di anni fa, quando ha ufficialmente dichiarato che sarebbe uscito dal giro, nauseato dal fatto di essere stato pubblicamente additato e poi indagato dal Congresso americano, perché uno zelante senatore molto catastrofista ha avuto da eccepire sui risultati delle sue ricerche e sulle sue dichiarazioni. Naturalmente ne è uscito completamente indenne, ma questo ha fatto sì che rinunciasse a occuparsi di queste cose. Dal punto di vista del senatore probabilmente un successo, massimo del risultato con il minimo sforzo.
Si è trattato però di una promessa mantenuta solo in parte, perché Pielke jr ha appena pubblicato un nuovo paper in cui tratta di disastri, o, meglio, delle diverse tipologie di catastrofi che potrebbero segnare il futuro dell’umanità. Attenzione, non si tratta di previsioni, che nella fattispecie sarebbero profezie, quanto piuttosto di analisi di dati e di riflessioni sul livello sociale e psicologico di preparazione che l’umanità potrebbe avere (e di fatto ha) nei confronti di queste evenienze.
Catastrophes of the 21st Century (pdf)
Le categorie di disastri, spiega, sono essenzialmente tre: abituali (familiar), emergenti e straordinari. I primi sono quelli attraverso cui siamo passati e dei quali conosciamo gli effetti come i terremoti o i tifoni; i secondi sono quelli che si stanno palesando recentemente, come le crisi economiche, le epidemie o l’impossibilità di accedere alle risorse; gli ultimi, infine, sono quelli di cui non sappiamo nulla, imprevisti ed imprevedibili, come l’impatto di un asteroide, un’eruzione solare massiva o, in modo molto più fantascientifico, il confronto con una civiltà aliena.
Salta fuori che siamo quasi del tutto concentrati su ciò che è abituale (comprensibilmente), con un atteggiamento miope invece nei confronti di ciò che non lo è. Così conclude Pielke jr il suo abstract:
Sappiamo più di quanto pensiamo sulle cose abituali e meno di quanto dovremmo su quelle emergenti e straordinarie. Eppure la nostra abilità nei confronti dei rischi del futuro dipende probabilmente molto di più dalla nostra abilità di prepararci per ciò che è emergente e per ciò che sarà straordinario.
Si tratta di un’analisi interessante che come dicevo mantiene solo in parte la promessa di non occuparsi di clima, perché nella sua premessa Pielke jr fa una disamina dei risultati ottenuti studiando le relazioni tra eventi atmosferici estremi e ricchezza e di come, nonostante non ci sia evidenza di aumento dei primi, sia chi fa informazione che chi prende le decisioni continui a ripetere esattamente il contrario. Con un esempio lampante riportato nella figura qui sotto tratta dal paper:
Negli ultimi dieci anni, senza che siano aumentati gli eventi estremi e con i danni inferti da questi ultimi che aumentano in valore assoluto ma diminuiscono in relazione al PIL globale, quindi più siamo ricchi e meglio siamo preparati, il numero degli articoli contenenti le parole “extreme weather” sul New York Times è decuplicato. Praticamente, ogni evento è estremo. Questo, facendo uso della ragione, dovrebbe far capire che quasi nessuno lo è, mentre percezione vuole che invece tutti lo siano. Una percezione evidentemente sapientemente indotta o, quanto meno, assai fallace.
Anche perché, a seguire, Pielke jr mostra anche come sia aumentata la ricchezza globale, siano diminuite le persone in stato di povertà assoluta, siano diminuite le morti nei conflitti bellici e si stia vincendo la guerra contro le malattie. In buona sostanza, saremmo ben messi nei confronti di ciò che è abituale.
Il tutto però, naturalmente, mentre il mondo va a rotoli. Oppure no?
[…] Autore: Guido GuidiData di pubblicazione: 08 Giugno 2016Fonte originale: http://www.climatemonitor.it/?p=41509 […]
In un certo senso, quanto sopra conferma quello che già diceva tanti anni fa, su molti aspetti indicati da Pielke, il buon Bjørn Lomborg nel suo “L’ambientalista scettico”.