Un paio di sere fa è andata in onda su History Channel la replica di un documentario molto interessante dal titolo “Roma: l’impero dallo spazio“. Si tratta di un documentario che narra di un programma di ricerca archeologica portato avanti qualche anno fa con l’ausilio di tecniche di telerilevamento satellitare e aerofotogrammetria aventi lo scopo di rivelare strutture conformazioni del terreno che possano nascondere siti archeologici diversamente non individuabili. Al di là dell’interesse intrinseco per la materia, mi ha stupito – e qui dichiaro grande ignoranza sull’argomento – il fatto che il sito archeologico dell’antico porto di Traiano sia oggi circa 3 chilometri nell’entroterra a testimonianza di come siano cambiati la conformazione della costa, la foce del fiume e il livello del mare rispetto ai tempi della Roma imperiale. Tutti cambiamenti avvenuti inevitabilmente per cause naturali nel contesto di un clima che all’epoca era caldo almeno quanto quello attuale che è stato poi seguito, specialmente nel Medioevo da una lunga fase di raffreddamento, pur conservando un trend di riscaldamento positivo nel lunghissimo periodo per il progredire dell’interglaciale.
E’ indubbio che le condizioni climatiche di allora abbiano contribuito non poco allo sviluppo dell’impero – non è un caso che i climatologi abbiano catalogato quel periodo come l’Optimum Romano, com’è altrettanto indubbio che l’intenso e diffuso raffreddamento arrivato della Piccola Età Glaciale abbiano avuto un impatto devastante sulla popolazione europea nei secoli compresi tra il 1300 e il 1750 circa.
Oggi, in parte (ma quanta parte?) anche per effetto delle attività umane, viviamo in un contesto climatico con caratteristiche simili ad allora ma, inspiegabilmente, piuttosto che ottimali, queste sono percepite come potenzialmente pericolose. E questo avviene nonostante la realtà, che non supera solo l’immaginazione ma anche la percezione, ci dica cose ben diverse. La produzione di materie prime alimentari, indispensabili ad alimentare una popolazione in continuo accrescimento, è per esempio in costante aumento, con un rateo che non è mai stato inferiore a quello della popolazione. Il pianeta, per fare un altro esempio, sta diventando più verde. Aumenta la vegetazione ove già presente, torna ad essercene ai bordi delle aree desertiche che vanno restringendosi, diventano più verdi anche le zone artiche, dove la tundra guadagna territorio sula coltre glaciale perenne, come dimostra uno studio molto recente della NASA.
Per carità, l’impronta delle attività umane sul Pianeta è importante, specie con riferimento all’ambiente. Ma siamo sicuri che un clima più caldo, tale inoltre per un’evoluzione in cui è ancora indistinguibile il fattore umano da quello naturale, sia il problema più grande che abbiamo?
A parer mio un clima più caldo è la più grossa fortuna che possono avere gli oltre 7 mld di esseri umani.
Bisogna sperare che continui così altrimenti al contrario inizierebbero i problemi.
Siamo sicuri che l’Artico più caldo sia sinonimo di temperature più calde alle medie latitudini?