Il titolo, bellissimo, è tratto dallo scritto Carbonio di Primo Levi, che oltre a essere un grande scrittore era anche un chimico e come tale non poteva che apprezzare il ruolo chiave del carbonio come mattone della vita sul nostro pianeta.
Devo subito dire che (per un motivo che anche chi non mastica chimica organica coglierà più avanti) non vi poteva essere titolo migliore per aprire la porta a questa riflessione sui risultati del progetto di ricerca Cloud del CERN di Ginevra, recentissimamente pubblicati su Nature (Kirkby, 2016; Trols, 2016). Si tratta di due articoli già ampiamente commentati su CM da Guido Guidi e da Donato Barone e che meritano a mio avviso di essere ulteriormente discussi alla luce del sempre più stretto legame che ci indicano fra aspetti fisici e biologici del ciclo dell’acqua.
Il ruolo chiave dei vegetali nel ciclo dell’acqua è già da tempo noto. Sappiamo infatti che quando, 430-390 milioni di anni fa, fra siluriano e primo devoniano, le prime piante vascolari con tessuti xilematici e floematici fecero la loro comparsa sulle terre emerse, si imposero come “anello mancante” del ciclo dell’acqua garantendo il flusso di acqua dal suolo (ove l’acqua stessa permaneva per moltissimo tempo non esistendo nulla in grado di rimuoverla in quanto l’evaporazione agisce solo fino a 5-10 centimetri di profondità) all’atmosfera. Trasferendo acqua dal suolo all’atmosfera le piante ottennero enormi vantaggi in quanto l’acqua estratta dal terreno consente loro:
- di svolgere la reazione di fotosintesi, che richiede anidride carbonica e acqua
- di assumere i nutrienti (azoto, fosforo, potassio, macronutrienti secondari e micronutrienti),
- di termoregolarsi (ogni grammo d’acqua evaporato trasferisce all’atmosfera 2450 Joule, impedendo alle piante di raggiungere temperature nocive alla loro vita)
- di mantenere nei tessuti quel tenore idrico che è essenziale per la loro fisiologia.
L’abilità delle piante nell’estrarre acqua dal suolo cedendola all’atmosfera si potenziò sensibilmente 360 milioni di anni fa (fine devoniano – inizio carbonifero), allorché il crollo del 90% dei livelli atmosferici di CO2 stimolò la comparsa delle foglie planari ad alta densità di stomi (Beerling et al., 2005).
I dati sopra riportati sono, almeno a grandi linee, da tempo noti; meno nota era la possibilità che le piante potessero agire sul ciclo dell’acqua stimolando la pioggia. E’ quanto in estrema sintesi emerge dalle ricerche di Cloud, partite dalla constatazione secondo cui l’acido solforico che deriva dall’SO2 prodotta dalle attività umane/vulcaniche e dal solfuro dimetile prodotto dagli ecosistemi marini è insufficiente a rendere ragione dei tassi di nucleazione osservati nella bassa troposfera, in quanto i cluster fra acido solforico e molecole d’acqua sono instabili e dunque evaporano facilmente. Da qui gli esperimenti che hanno consentito di porre nel dovuto risalto il ruolo dei terpeni (che sono polimeri dell’isoprene e sono componenti di molecole odorifere come il profumo dei fiori – ed è qui che cade a fagiolo la citazione da Primo Levi) nello stabilizzare i cluster acido solforico – acqua creando così i nucleanti stabili che sono essenziali per la creazione delle gocce d’acqua che formano le nubi e danno origine alla pioggia.
Per inciso si noti che gran parte dei ragionamenti qui condotti si riferiscono alla bassa troposfera che è la parte dell’atmosfera più ricca di vapore acqueo e sostanze nucleanti e da cui dunque proviene gran parte della materia necessaria per la formazione delle nubi.
Venendo poi a parlare dei terpeni, si tratta di molecole sintetizzate da piante e animali. Nel caso delle piante sono terpeni i componenti principali delle resine e degli oli essenziali, miscele di sostanze che conferiscono a ogni fiore o pianta un profumo caratteristico (alcuni esempi li si trovano in questa ricerca dell’Istituto Tecnico Agrario Zanelli). Sono ad esempio terpeni il geraniolo, il mentolo, il mircene, la canfora, il limonene e l’isoprenolo.
Fra i terpeni sintetizzati dagli animali ricordiamo alcuni composti chiave dei feromoni secreti dagli insetti o lo squalene che si trova libero in quantità elevate (90%) nell’olio di fegato di squalo e in tracce (0,1-0,7%) nell’olio di oliva, nel lievito e nel sebo umano (fonte).
Le ricerche del progetto Cloud pubblicate su Nature si limitano ad analizzare l’effetto del pinene (che è il monoterpene più diffuso in natura) ma sarebbe interessante capire come si comportano gli altri terpeni, fra cui lo squalene secreto anche da noi umani.
Sempre Cloud ha posto in evidenza che la nucleazione indotta dalle molecole di terpeni è stabilizzata dai raggi cosmici galattici (GCR) e questo consente di riconsiderare l’idea, di recente riproposta da Svensmark e Shaviv, secondo cui sussisterebbero significativi influssi cosmici sul clima terrestre da parte dalla galassia e del sole e ciò in quanto il vento solare deflette i GCR limitandone l’arrivo sul nostro pianeta con un fenomeno che è più rilevante nelle fasi di maggiore attività solare, nelle quali avremmo dunque meno raggi cosmici e di conseguenza meno nubi, meno pioggia e come risultato finale un pianeta più caldo.
Segnalo anche che, poiché il global greening (merito della maggiore presenza di anidride carbonica in atmosfera) sta aumentando in modo sensibile la biomassa vegetale globale e di conseguenza i livelli di terpeni in atmosfera, è possibile immaginare che la nuvolosità e le precipitazioni vengano influenzate positivamente, stimolando così ulteriormente il rinverdimento del pianeta Terra. In sostanza si delinea un feed-back negativo della vegetazione sulle temperature globali che è legato all’emissione dei terpeni e che in futuro dovrebbe essere considerato dai GCM. Per inciso osservo anche che l’emissione in atmosfera di un altro importante nucleante e cioè il solfuro dimetile emesso dagli ecosistemi marini potrebbe essere stimolata dall’incremento di CO2 in atmosfera, che immagino influenzi positivamente anche la produttività di tali ecosistemi.
Tutto ciò ovviamente deve fare i conti con il fatto che CLOUD ha operato in laboratorio (in una bellissima camera progettata ad hoc) e che quanto da esso posto in evidenza necessita di essere confermato da misure “in campo”, e qui ci si riferisce a misure microfisiche da eseguire all’interno dei corpi nuvolosi, costosissime e molto complesse. Occorre tuttavia qui dire che qualcosa in tal senso già si è fatto. Infatti, secondo una ricerca condotta da Martin et al (2010) e citata da Kirkby et al 2016, in Amazzonia, ove la bassa troposfera è molto povera di SO2, le particelle di nucleanti presentano picchi all’alba e al tramonto, in coincidenza con le piogge, e inoltre si è osservata la formazione di nucleanti puramente biogenici nell’alta troposfera nel flusso uscente dai corpi nuvolosi, molto povero di SO2.
Come ultima curiosità, mi domando come mai i risultati di ricerche che CLOUD ha condotto fra l’ottobre 2012 e il novembre 2013 siano stati pubblicati solo oggi, vista la rilevanza che essi presentano.
Bibliografia
- Bererling 2005. Leaf Evolution: Gases, Genes and Geochemistry, Annals of Botany, 96: 345–352 (http://aob.oxfordjournals.org/content/96/3/345.full)
- Kirkby etal 2016. Ion-induced nucleation of pure biogenic particles, Nature, 26 may 2016, vol 533
- Martin S.T. et al, 2010. Sources and properties of Amazonian aerosol particles, Rev. Geophys., 48
- Trols etal 2016 The role of low-volatility organic compounds in initial particle growth in the atmosphere, Nature, 26 may 2016, vol 533.
Non casualmente i supposti “ambientalisti” di queste cose non parlano e non si documentano, mentre commissionano e finanziano innumerevoli studi a lobby correlate.
Evidentemente vi deve essere la paura che i teoremi che invece cavalcano possano svanire come neve al sole! Ed allora, addio … bonanza!
[…] ieri, quando abbiamo pubblicato l’interessante approfondimento di Luigi Mariani “Potrei raccontare storie a non finire, di atomi di carbonio che si fanno colore o profumo nei fiori“, è uscito su Science Daily il commento a un nuovo paper che, sulla base di quanto […]
Scusate, scusate… cioè mi state dicendo che – con tutti i limiti di una ricerca ancora limitata ad esperienze di laboratorio – forse abbiamo scoperto che il profumo delle piante influenza la pioggia? Alla faccia della scienza “settled”: meno male che tutti gli ingranaggi del sistema erano ormai perfettamente noti!
I climatologi che stanno sul pezzo dicono che il il tutto è “settled” e che cose come quelle che emergono da Cloud sono un pò come pulci nella criniera di un magniico destiero. In ogni caso sono quasi sicuro che la storia alla fine la scriveranno coloro che oggi stanno sul pezzo….
Caro Luigi, post bellisimo in cui il titolo poetico si amalgama benissimo con il rigore scientifico e la chiarezza divulgativa. I miei più vivi complimenti! Ciao. Franco
Ciao Luigi,
secondo me escono fuori adesso, perchè la storiella della CO2 ha fatto la fine della storiella del buco dell’ozono, chissà quale altra storiella sta per essere diffusa sul mainstream del terrorismo climatico.
Qualcuno ci può anticipare quale sarà? così pensiamo di più alle cose veramente importanti della vita… 🙂
Bè, CO2 è un gas serra per cui un ruolo nel clima ce l’ha. A fianco di ciò c’è l’idea di catastrofe e di causa unica della stessa attorno a cui si fa muovere l’economia. Su questo abbiamo diverse “prove di catastrofe” fra cui ricordo non solo il buco dell’ozono ma anche le piogge acide (che in teoria avrebbero dovuto dovevano distruggere le foreste a livello globale, mentre le stesse stanno oggi espandendosi in modo sensibile (global greening – es: http://www.mdpi.com/2072-4292/5/10/4799/htm).
Come sempre le cause sono tante e la causa unica e totalizzante serve per far marciare le masse, e in ciò peraltro non colgo nulla di nuovo sotto il sole risetto a qunto già descitto dal sommo Dante nel girone degli ignavi.
Grazie Luigi, l’argomento e’ davvero interessante e offre spunti molteplici. Mi interessa in particolare il discorso legato al feedback negativo, assolutamente fuori moda in un periodo in cui gli unici feedback citati sembrano essere quelli positivi. Forse sono state proprio le implicazioni “rivoluzionarie” a suggerire una certa cautela nel pubblicare i risultati. Un po’ come per il global greening, di cui si parlava gia’ anni fa, ma che ancora oggi fa una gran fatica ad arrivare alle masse, sia pur filtrato dal solito disclaimer “stiamo meglio perche’ staremo peggio”…
Caro Massimo,
i feed-back negativi sono sempre nel cuore di chi si occupa i climatologia in quanto in loro assenza il sistema andrebbe rapidamente incontro a riscaldamento inarrestabile (runaway greenhouse effect).
Se guardiamo il diagramma delle temperature globali dal 1850 ad oggi esso manifesta un caratteristico andamento a denti di sega frutto su qualcosa che spinge verso l’alto (El Nino, più CO2, meno nubi o quant’altro) e qualcos’altro che tira il sistema verso il basso (e sono i feed-bak negativi che tendono a riportare il tutto allo stato iniziale).
Da questo punto di vista è particolarmente impressionante osservare il fatto che le temperature globali negli anni 50-70 del XX secolo erano ritornate a livelli ottocenteschi, il che scombussolò non poco i climatologi, dimostrando anche che la categoria (come spesso accade peraltro agli economisti) va spesso a rimorchio dei dati. Peraltro la diminuzione delle temperature globali verificatasi fra gli anni 50 e 70 è stata a lungo attribuita alle emissioni antropiche di SO2, una spiegazione che appare oggi parecchio indebolita alla luce dei risultati di CLOUD (ed questo mi pare uno dei grandi meriti di tale esperimento, nel senso che ci invita a ragionare eliminando alcuni vetusti paraocchi).