Riporto di seguito alcuni punti che ritengo sia più utile approfondire, tra il tanto rumore di fondo di questi giorni che spesso impedisce di capire anche solo di cosa si sta parlando (la prima parte di questo post è qui).
- Le proposte referendarie nascono, come detto, dall’onda emotiva a seguito del disastro di Macondo. Ovviamente del tutto casuale il paragone con il referendum sul nucleare, tenutosi a breve distanza dal disastro di Chernobyl e, la seconda volta, dal maremoto giapponese. La politica italiana non é certo “event-driven”, giammai.
Eppure, le analogie tra le piattaforme italiane e il disastro di Macondo del 2010 sono alquanto forzate, a dir poco. Macondo era un campo offshore ad alta profondità (circa 1500 metri d’acqua), con pozzi ad olio e ad alta produttività. Un mix che ha reso lo sversamento quasi incontenibile, per la difficoltà di “chiudere” il pozzo lavorando a profondità marine notevolissime.
La grandissima parte della produzione offshore italiana è invece collocata in acque poco profonde, tipicamente dell’ordine di poche decine di metri d’acqua. E si tratta nella stragrande maggioranza dei casi di gas naturale. Niente greggio, quindi, a parte alcune piccole realtà in via di depletamento. Gas naturale di alta qualità, ad altissimo tenore di metano ed estremamente secco. Qualcosa di molto simile a quello che l’italiano medio si ritrova al fornello della sua cucina. L’effetto di una perdita di controllo su un pozzo sarebbe una colonna di gas e, potenzialmente, un incendio. Niente sversamenti di olio, niente spiagge nere, niente uccelli impiastricciati. La bassa profondità delle acque, tra l’altro, renderebbe estremamente semplice un intervento correttivo.
E infatti…
- La storia dell’industria estrattiva italiana offshore, iniziata più di mezzo secolo fa, non annovera sversamenti disastrosi di petrolio in mare, nemmeno in un’epoca in cui le misure di sicurezza erano infinitamente inferiori a quelle di oggi. Ed infatti il Fatto Quotidiano, testata non certo generosa nei confronti dei cattivissimi petrolieri, deve tornare indietro di appena 50 anni per trovare traccia di un serio incidente in mare.
Con malcelata delusione il quotidiano è costretto ad ammettere che il pur grave incidente (quello alla piattaforma Paguro) al di là delle sempre tragiche perdite umane, in termini ambientali si concretizzò in poco più di un fiaccolone e “i danni ambientali furono limitati perché, a differenza del disastro del 2010 nel golfo del Messico, sotto terra c’era gas e non petrolio”. Sarebbe bello se lo stesso quotidiano, e tanti altri, riconoscessero che la grandissima parte della produzione di idrocarburi italiani offshore è proprio costituita da gas, e non da petrolio. E quell’incidente, pur accaduto 50 anni fa, è davvero rappresentativo dei rischi reali che si correrebbero in caso di una improbabile perdita di controllo di un pozzo.
Ad onor di cronaca, in effetti, il più grave sversamento di olio in acque italiane resta quello legato al naufragio della Haven, del 1991: 90,000 tonnellate di greggio finirono in mare. E non per l’esplosione di una piattaforma, ma per l’affondamento di una nave. Non risulta che ci siano (ancora) raccolte di firme per vietare l’uso delle navi. Ma probabilmente è solo questione di tempo.
- A chi va il “nostro” petrolio? È uno degli argomenti più spesso proposti a supporto dell’istanza anti-trivelle, nonché il preferito di trasmissioni come Report che lo inseriscono a chiosa di qualsiasi discorso sulle attività della prima società petrolifera italiana. La risposta è semplice e complessa al tempo stesso. Il petrolio va…a chi se lo compra. Le società petrolifere producono l’idrocarburo, le raffinerie lo trasformano in prodotto finito e le società di trading & shipping provvedono a venderlo ai compratori, attraverso il mercato spot o mediante accordi di lungo termine.
Quello che Report e tanti giornali italiani fanno finta di non capire è che i paesi di tutto il mondo producono idrocarburi per una ragione molto semplice: perché é redditizio. Ovvero, perché le società petrolifere pagano royalties e tasse ai paesi produttori. Il prezzo del petrolio lo fa il mercato, e a meno di situazioni tipiche dei paesi in via di sviluppo, in cui una quota del petrolio nazionale è venduta sotto-costo a spese del bilancio dello Stato stesso, prodursi il petrolio a casa o importarlo non determina una significativa differenza nel prezzo a cui viene venduto, nel paese produttore.
Il paese produttore incamera però denaro dalla compagnia petrolifera in cambio del diritto a sfruttare la risorsa. Nel momento in cui l’Italia nega la possibilità di sviluppare un campo petrolifero (Tempa Rossa) la cui licenza risale al 1987, quali che siano i motivi, l’Italia si nega la possibilità di incamerare per 30 lunghi anni tasse e royalties, ovvero soldi pubblici che potrebbero essere utilizzati per fornire servizi agli italiani, costruire grandi opere o tagliare il carico fiscale. Ecco a cosa servirebbe il “nostro” petrolio. In uno Stato efficiente e con amministrazioni locali immuni alla corruzione, naturalmente.
- E il gas naturale? Il gas naturale, vista la maggiore difficoltà a spostarlo, se non attraverso gasdotti o costosi impianti di liquefazione, é un asset sicuramente più strategico per l’Italia. Mettere in produzione il “nostro” gas ci renderebbe meno soggetti alle intemperie geopolitiche, permettendoci di importarne di meno da paesi terzi (Libia e Russia su tutti). Produrre il “nostro” gas, da questo punto di vista, é prima di tutto una esigenza di sicurezza di approvvigionamento nazionale. Ovvero, una questione di importanza strategica.
- Ma allora? Perché vietare la produzione di gas entro le fatidiche 12 miglia, a fronte dell’impatto ambientale bassissimo che si avrebbe in caso di incidenti che coinvolgono piattaforme a gas? E perché privarsi di un asset strategico, anche per la sicurezza del nostro Paese? Francamente è difficile capirlo. Ma una grossa mano, ancora una volta, ce la da Franco Ricci sulla Repubblica, già oggetto di interesse di questo sito per un suo articolo più o meno fotocopia di quello apparso oggi. Certi articoli, del resto, sono come capi di abbigliamento: si tirano fuori dall’armadio quando é la stagione giusta.
Ricci ci spiega che il carbone ormai é preistoria, che l’olio é “paria” e che il gas… anche. Al di lá dell’interessantissima catalogazione degli idrocarburi in caste, la tesi proposta é che la combustione del gas produce CO2. Quindi, niente da fare. Bocciato anche lui. Poco importa che emetta meno CO2 in proporzione rispetto all’olio e al carbone. Per i profeti della decrescita felice qualsiasi idrocarburo è mortifero e come tale va eliminato. Peccato che innumerevoli studi, accettati come un fatto anche dai piú ferventi salvatori del mondo, dimostrino che le fonti rinnovabili non possono, oggi, garantire il fabbisogno mondiale di energia.
Rimane comunque assolutamente pregevole l’affermazione del Ricci secondo cui l’Arabia Saudita ripudia il petrolio. E a dimostrazione di questo cita la possibile vendita di parti del colosso nazionale Aramco. Vai a capire quale sarebbe il nesso tra queste due affermazioni, se non, semplicemente, che a causa del calo del prezzo del greggio i sauditi vogliono fare cassa…
Ma in questi giorni si sente davvero di tutto, compresa la notizia-bomba che la Francia rinuncia alle trivellazioni nel Mediterraneo. È ovviamente un caso che presenze significative di petrolio nel Mediterraneo francese non siano mai state trovate. Sarebbe come se l’Italia annunciasse oggi la chiusura immediata delle sue miniere di oro e di uranio. Per motivi ambientali, ovviamente, mica perché non ne abbiamo. Ma questa, del resto, è la qualità dell’informazione di questi giorni.
Il punto è proprio questo. Rimaniamo un Paese prigioniero di guerre di religione in cui gli interessi nazionali finiscono sempre all’ultimo posto. Prevale la polemica, la caciara, l’intercettazione telefonica, la teoria del complotto, l’accusa ever-green di lobbismo, l’obbiettivo politico a breve termine, spesso miserabile. Eppure la politica energetica di un Paese dovrebbe essere ai primissimi posti tra le priorità di una classe politica responsabile.
Ecco. Forse proprio questo è il problema dell’Italia: il fatto che “politica responsabile” troppo spesso suona soltanto come l’ultimo, drammatico ossimoro.
[…] (climatemonitor 2016h), le quali meritano un aggiornamento. Nella seconda puntata dello Stupidario (climatemonitor.it 2016i) si erano citate le dichiarazioni francesi di Segolene Royale in materia di moratoria sulle […]
Le osservazioni ed argomentazioni che leggo nei due articoli e nei successivi commenti mi pare che tendano a sottovalutare alcuni piccoli “dettagli”: il presunto intrallazzo tra ministra Guidi, presidente del consiglio e Boschi, mostra che le scelte non sono fatte per ottenere il massimo a tutto vantaggio degli italiani, ma solo per favorire gli amici degli amici. Questo vuol dire che non è in atto nessuna strategia energetica nazionale di elevato spessore ed acume, ma la speculazione di pochi e nessun vantaggio reale per la comunità. Il petrolio o il gas infatti vanno dove li porta il mercato e non necessariamente in Italia, ma l’inquinamento causato dal mancato rispetto delle regole reso sistematico rimane tutto nel nostro suolo ed è figlio proprio di quel modo di fare inaffidabile di chi decide, anzi impone per decreto le leggi. Mi pare anche troppo generica e che dimostra scarsa conoscenza , l’affermazione che le energie rinnovabili siano tutte scostanti; non esiste solo l’eolico e il fotovoltaico, ma anche il biogas , biometano e syngas. Queste ultime, al contrario, sono continue nel tempo e con grossi potenziali di crescita e ancor più di ricaduta occupazionale.
Fondare una decisione di grosso rilievo come quella proposta dal referendum su reazioni emotive conseguenti alla “scoperta” di “presunti intrallazzi” tra ministre è, secondo me, assolutamente deleterio ed irrazionale. In questa ottica in Italia non si dovrebbe fare più nulla perché di “presunti intrallazzi” ne troviamo ovunque: dall’appalto di 20.000 euro per la pulizia di una scuola a quello da 20.000.000 di euro per la costruzione di una strada e così via fino ad ogni atto di governo. Per mia esperienza diretta sono molto più propenso a individuare gli intrallazzi nelle piccole opere e nelle micro-attività (neanche le pro loco di paese ne sono immuni e di questo sono certo come sono certo che sto scrivendo questo commento) che nei grandi progetti. Noi siamo portati a credere che le lobby e gli amici degli amici ruotino tutti attorno al governo ed ai parlamentari, ma non è affatto vero: dove ci sono soldi ci sono intrallazzi, veri, non presunti. Con questo non voglio assolutamente dire, ovviamente, che intorno alle grandi opere è tutto limpido e trasparente: sarei un povero ingenuo.
Detto fuori dai denti ed a malincuore con gli intrallazzi bisogna convivere altrimenti dobbiamo cambiare Paese. E non è detto che negli altri Paesi, al di là dello sciovinismo nostrano, le cose vadano meglio (vedi il povero comico tedesco restato senza lavoro e sottoposto a processo per decreto della cancelliera (minuscola voluta) per aver preso in giro Erdogan).
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Qualche perplessità avrei da esprimere circa le considerazioni sul biogas, biometano e syngas. Implementare queste tecnologie richiede la costruzione di grossi complessi di compostaggio, fermentazione ed infrastrutture varie. Visto il complesso NIMBY da cui siamo afflitti dove li andiamo a costruire? L’ipotesi di tante centraline diffuse presso le varie aziende togliamola di mezzo perché se escludiamo l’autoconsumo, per il resto le reputo improponibili sia dal punto di vista gestionale che economico. Per ora siamo a livello di buone intenzioni ed il caso tedesco che viene citato spesso in proposito non è affatto esente da difetti: primo fra tutti il pesante contributo statale alla sua sopravvivenza attraverso gli incentivi. Ancora un esempio di mercato drogato.
Ciao, Donato.
Grazie a tutti dei commenti, che in gran parte condivido. Riguardo al commento di Samuela posso anticipare che la risposta sara’ contenuta nella Parte Terza dello Stupidario (ebbene si’, ci sara’ anche una parte terza). La vera domanda che dobbiamo farci e’: cos’e’ questo “nuovo modello di sviluppo”? A chi dovremmo ispirarci? Perche’ a parte dire no a tutto (inceneritori, rigassificatori, centrali elettriche, pale eoliche, persino tubi come nel caso del TAP), cosa rimane? E di cosa dobbiamo vivere, a parte spiagge, citta’ d’arte e buona cucina? Cos’e’ veramente questo “nuovo modello” a cui dovremmo ambire? Non sarebbe meglio avere uno straccio di idea su come l’italia dovrebbe crescere economicamente, prima di segare le gambe dei pochi pezzi di industria che ci rimangono? Per adesso prevale solo il NIMBY. Il resto e’ rumore di fondo. La caciara non e’ mai giustificata. Personalmente resto dell’idea che si fa caciara quando mancano gli argomenti. E in questo, in Italia, siamo purtroppo maestri.
Dopo aver letto l’intero post di M. Lupicino vorrei sviluppare qualche considerazione.
Premetto che condivido quasi totalmente quanto egli scrive per cui le mie considerazioni si svolgeranno nel solco da lui delineato.
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Partiamo dalla fine e, precisamente, dall’ossimoro con cui si chiude il post. Spiace dirlo, ma vale a tutti i livelli (da quello locale a quello nazionale) ed in tutti i tempi. I politici italiani si sono sempre schierati contro la tecnologia, la scienza e l’innovazione sin dai tempi di E. Mattei, F. Ippolito e D. Marotta.
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Abbiamo i politici peggiori del mondo? Niente affatto, secondo me. I nostri politici sono, purtroppo, espressione di un popolo profondamente ostile a tutto ciò che è scienza, razionalità, innovazione (a parte i cellulari ed i social, ma qui si apre un altro discorso). E, purtroppo, sono manlevati dalla nostra magistratura: non c’è scampo! 🙂
Lo sport nazionale sembra quello di distruggere tutto ciò che altre nazioni curano e finanziano. A sentire gli “ambientalisti” le piattaforme in Adriatico sono del tutto inutili in quanto il petrolio estratto è di qualità scadente per cui il gioco non vale la candela. Probabilmente hanno ragione, ma in questo caso sarebbe utile chiudere quelle piattaforme, non tutte le piattaforme. Il gas prodotto in Adriatico sembra che sia di ottima qualità e che la sua estrazione non mette a repentaglio la sicurezza dell’ambiente. Ragione vorrebbe che si consentisse la coltivazione dei giacimenti di gas. Neanche per sogno. Ho sentito con le mie orecchie, durante una tribuna referendaria, un sostenitore del si che dichiarava candidamente che chi sosteneva il no viveva fuori dalla storia in quanto non aveva ancora capito che il nostro petrolio erano il mare (turismo), il sole (solare fotovoltaico e termico) ed il vento (eolico). E non aveva capito nulla di quanto era venuto fuori dalla COP21: Dio scansi e liberi!
A chi gli faceva notare che solare ed eolico sono fonti energetiche discontinue ed insufficienti, egli rispondeva che con i soldi incassati con il turismo si poteva comperare tutto il gas ed il petrolio che si voleva, senza doverlo estrarre in Italia. In Italia non si deve, infatti, trivellare, costruire ferrovie, costruire autostrade, costruire aeroporti, costruire centrali nucleari, rigassificare, coltivare OGM (che però mangiamo in abbondanza). In Italia non si può far altro che vivere nel “mulino bianco”. E decrescere, ovviamente.
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Ci riempiamo la bocca con il “km zero” e non ci rendiamo conto che il mondo va da un’altra parte salvo poi a stracciarci le vesti quando l’Europa per solidarietà con la Tunisia, apre le porte all’olio di oliva africano. In Italia vogliamo il “km zero”, ma all’estero vogliamo esportare il nostro prodotto e ci lamentiamo se si consumano “surrogati” molto più a buon mercato: dissonanza cognitiva o sdoppiamento della personalità, fate voi.
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Ricordo ancora con orrore quanto successe in occasione dell’ultimo referendum sul nucleare o in quello ancora precedente. E devo riconoscere che ogni qualvolta le scelte sono state fatte sull’onda emotiva dell’evento che domina le prime pagine dei giornali, gli esiti sono stati disastrosi: ricordate l’abolizione delle preferenze che oggi si considerano la panacea di tutti i mali?
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Siamo così, antropologicamente diversi. Ci consideriamo i più intelligenti, i più furbi, i più bravi e se non riusciamo a fare ciò che fanno i bravi, i furbi e gli intelligenti, la colpa è di qualcun altro (politici, lobby, poteri forti o “grandi vecchi”) che “gomblotta” per farci fare la figura dei fessi. A nessuno viene in mente che forse fessi lo siamo per davvero!
Ciao, Donato.
” il petrolio estratto è di qualità scadente per cui il gioco non vale la candela. ”
Donato, questi argomenti dei referendari sono demenziali. Intanto noi siamo chiamati a decidere su cosa deve fare lo stato, e lo stato non vende il petrolio. Lo vendono le compagnie private che lo estraggono e quindi lascio a loro decidere se il business è profittevole o no (mi pare che lo sia, sennò l’avrebbero già chiuso). Lo stato è coinvolto perché incassa le royalties e quindi semmai la discussione dovrebbe vertere su quanto valgono in un rapporto costi / benefici. Ma ovviamente questa discussione non c’è, né poi potrebbe essere fatta in modo serio se non si ragiona su numeri certi. Gli stessi numeri che, guardacaso, mancano quando salta su quello che ti dice che noi possiamo vivere di turismo.
Solo applausi, Donato!
ciao
mi piacerebbe analizzare l’eventuale subsidenza a Marina di Ravenna se possibile. non si capisce bene se le cause siano per lo più antropiche o meno.
grazie
Vero, peccato però che non si voglia capire che quello che viene chiamato buttare in caciara è purtroppo rimasto l’unico modo per cercare di far capire che da questo modello cj dobbiamo spostare. Fino a che chi gestisce i fossili si fa forte del proprio potere per ignorare le drammatiche condizioni ambientali in cui versa il pianeta, a chi invece ha a cuore il pianeta (e coloro che lo abitano) restano poche altre possibilità. Il problema peraltro non è nuovo https://www.facebook.com/Repubblica/videos/10153780974696151/?pnref=story
Cara Samuela, personalmente sono criticato per il mio atteggiamento verso il denaro; mi accusano di non volerlo guadagnare, e non è vero, perché io il denaro lo rispetto, e avrei molto piacere a guadagnarne di più, solo che non sono disposto a scendere a compromessi con la mia coscienza.
Ma da persona lucida mi rendo ben conto che le opere di bene partono dal possesso del danaro. Se ne sarà accorta anche Lei che ogni volta che si fa un’opera buona c’è qualcuno che chiede denaro. Quindi eviterei di parlarne con superficialità. Anche i diritti stessi sono legati al denaro, che ne sono i fondamenti senza i quali cessano anche i diritti.
Diritto alla casa ? Servono soldi per costruirle.
Diritto allo studio? Servono soldi per comprare libri, aule, computer, ecc.
E così tutto.
Quando la Società va in crisi, diminuiscono i diritti, e l’abbiamo visto.
Insomma, il denaro è la base sulla quale si può costruire un welfare.
Non solo, ma la salute stessa dipende (anche) dal denaro.
Il denaro non garantisce la salute, anche se aiuta, ma la mancanza di denaro è spesso un grosso handicap per la salute.
Non a caso nelle Nazioni povere si tende a vivere di meno (anche se non è il solo parametro in gioco).
Io l’ho spiegato altre volte, proverò a spiegarlo un’ennesima volta anche a Lei.
Il progresso è come un bambino. Il progresso/bambino inquina/si-sporca, ma non ha senso buttar via il progresso/bambino.
Semplicemente si lotta contro l’inquinamento/(si pulisce il bambino) e ci cerca di non inquinare/(di non farlo sporcare troppo).
L’inquinamento/(lo sporco) è bello ? No. E’ buono? No
Giusto combatterli, giusto far ricerca per ridurli
ma
il valore importante è il progresso/bambino a cui non si deve rinunciare per nessuna ragione.
Nulla di quello che facciamo è perfetto e non soggetto a critiche o miglioramenti.
Ma entrare in ansia per le sorti del pianeta è una forma di ipocondria. Che non vuol dire che non dobbiamo stare attenti alla nostra salute, tutt’altro, è sicuramente una cosa importante.
Ma non possiamo fare un salto indietro, perché non otterremmo affatto più vita, ma meno vita.
il discorso sarebbe molto più lungo, e ci sarebbero importanti cose da dire, ma non riuscirò a donarle una visione del mondo dinamica se Lei, come la maggioranza delle persone, ne ha una statica.
Mi sarà difficile far capire certe cose a chi pensa che il mondo non cambi, che le tecnologie attualmente in essere siano quelle definitive.
Basterebbe mettersi uno o due secoli fa e confrontare i mondi di allora con quello attuale per capire (spero) che le tecnologie sono in veloce evoluzione, e così sono le risorse, con buona pace di quei buontemponi che ancora parlano di picchi vari.
Provi ogni tanto ad immaginarsi ai tempi dei suoi nonni, e cerchi di capire se qualcosa è cambiato, e mi spieghi perché non dovrebbe cambiare ancora, proprio ora che la tecnologia sta marciando con sempre maggiore velocità.
E si ricordi che questo pianeta lo amiamo quanto e più di Lei, e sappiamo benissimo che è l’unico dove crescano le rose e cantino i poeti.
Altre fonti di vita esisteranno pure, ma nelle immensità troppo lontane di questo immenso universo.
Non creda di essere l’unica ad avere sentimenti.