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Più acqua nelle nubi, clima più caldo, naturalmente domani

La situazione è più grave del previsto, così si riassume su rinnovabili.it il commento ad un articolo di fresca pubblicazione su Science:

Observational constraints on mixed-phase clouds imply higher climate sensitivity.

A beneficio di quanti non lo sapessero, la sensibilità climatica è la quota di riscaldamento prevista per un raddoppio della concentrazione di CO2 rispetto ai valori pre-industriali. Si tratta di un parametro molto aleatorio ma estremamente importante, perché la sua corretta definizione darebbe delle informazioni precise sul comportamento del parametro temperatura al crescere delle emissioni, pur omettendo di spiegare attraverso quali dinamiche climatiche ci si potrebbe arrivare.

Una definizione che passa attraverso la valutazione – nella maggior parte dei casi si tratta di assunti più che di conoscenze vere e proprie – del peso dei numerosi meccanismi di retroazione (feedback) cui il sistema climatico sarebbe soggetto al crescere della temperatura.

Tra questi, ovviamente, quello generato dalle nubi, ovvero dall’accrescimento del vapore acqueo in un atmosfera più calda. La quantità di H2O allo stato gassoso (vapore acqueo, gas serra di gran lunga più efficace della CO2) è funzione della temperatura della massa d’aria. Le nubi sono la manifestazione visiva di questa relazione. Infatti, quando l’aria sale di quota, per dinamiche di circolazione o per interazione dei flussi con l’orografia, tende ad espandersi; espandendosi si raffredda e perde capacità di contenere vapore acqueo, la cui parte in eccesso condensa in goccioline diventando visibile, appunto una nube. Se la temperatura scende ulteriormente, perché l’aria continua a salire, le goccioline diventano cristalli di ghiaccio. Ma, qual’è la proporzione, per date temperature e caratteristiche di massa d’aria tra i diversi tre stati che l’acqua può assumere nelle nubi?

Gli autori di questo articolo hanno fatto ricorso a delle osservazioni satellitari per definirla, giungendo alla conclusione che i valori sin qui considerati per questa relazione sottostimino la quantità di acqua allo stato liquido all’interno delle nubi. Ora, le nubi sono estremamente importanti nella definizione del bilancio radiativo, perché se allo stato gassoso l’acqua contribuisce all’effetto serra, allo stato solido fa il contrario, cioè riflette la radiazione solare e ne limita l’assorbimento. Per cui, se nelle nubi c’è più acqua e meno ghiaccio, la quantità di radiazione assorbita sarà maggiore. In un mondo più caldo, le nubi dovrebbero contenere più acqua, quindi dovrebbe esserci maggiore assorbimento e, ovviamente, maggiore riscaldamento, cioè una sensibilità climatica diversa – ovviamente per eccesso – da quella calcolata sin qui.

Il riscaldamento globale, quindi, sarebbe stato sin qui sottostimato. Ora, visto che è ben difficile sottostimare qualcosa che è stato misurato (quanto si è scaldato il pianeta sin qui bene o male è cosa nota) è chiaro che la sottostima riguarda il futuro. Di qui lo scoramento di chi ha scritto l’articolo su rinnovabili.it.

Ma, se la sensibilità climatica più alta scaturisce da osservazioni sulla proporzione tra ghiaccio e acqua nelle nubi ora, visto che il pianeta si sta scaldando molto meno di quanto avrebbe dovuto secondo le previsioni, vuol dire che più che un problema nel futuro abbiamo un problema nel presente, precisamente quello di non aver capito e non saper riprodurre le dinamiche del bilancio radiativo. In sostanza questo maggiore assorbimento dovrebbe esserci sempre stato, quindi perché il pianeta non si è scaldato quanto previsto? E perché dovrebbe farlo in futuro?

Ecco che torniamo alla caratteristica aleatoria della sensibilità climatica, che non solo non è nota per il futuro, ma non lo è per il presente e per il passato.

collection-climate-sensitivityComunque, gli autori di questo articolo stimano che sia più alta di quanto definito sin qui. Allora sarà bene rinfrescarci la memoria con un’immagine che abbiamo mostrato già molte volte che riassume con efficacia quali e quante stime della sensibilità climatica siano state fatte. Nell’immagine (il valore cui si giunge in questo studio si colloca nella fascia alta, oltre la stima dell’ultimo report IPCC), si nota come la letteratura più recente sia orientata verso valori molto più bassi. Io lo chiamo realismo: se il forcing persiste e la temperatura non sale vuol dire che il sistema lo gestisce in modo diverso da come si pensa e prevede, cioè che è meno sensibile. Per quale ragione questo dovrebbe cambiare domani non è dato saperlo, però, sappiatelo, la situazione è molto più grave del previsto ;-).

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Published inAttualitàClimatologia

3 Comments

  1. Donato

    Il problema principale è che la sensibilità climatica NON può essere troppo bassa altrimenti non funziona più niente nella teoria dell’AGW. Si indagano, pertanto, tutta una serie di meccanismi finora trascurati per far quadrare i conti. Le nuvole sono uno degli elementi su cui il disaccordo tra i climatologi è maggiore in quanto secondo alcuni sono ininfluenti o influiscono poco, secondo altri sono fondamentali nel determinare le variazioni della temperatura terrestre.
    R. Spencer è dell’avviso che uno dei motivi per cui i conti non tornano è proprio la scarsa conoscenza del comportamento della copertura nuvolosa o, per essere più precisi, del modo in cui deve essere modellata ai fini del bilancio radiativo terrestre.
    .
    Il sistema climatico (sistema dinamico non lineare) è condizionato da forzanti e feedback che determinano la temperatura. Tali azioni sono definite in modo rigoroso da IPCC e, nel caso delle nubi, esiste un grosso problema di classificazione. Secondo Dressler 2010 esse sono ininfluenti rispetto alla temperatura in quanto la retta di regressione lineare che schematizza il rapporto tra temperature (in ascissa) e variazione dell’effetto radiativo della copertura nuvolosa (in ordinata) ha una pendenza statisticamente poco significativa. Detto in altri termini ad una variazione di temperatura non corrisponde un’analoga variazione degli indici che quantificano l’equilibrio radiativo terrestre e che dipendono dalla copertura nuvolosa. L’aumento di temperatura registrato sulla Terra dipende, quindi, da cause diverse dalla copertura nuvolosa. Spencer è dell’avviso, invece, che sarebbe più opportuno invertire gli assi e studiare come la temperatura superficiale varia in rapporto alla variazione della copertura nuvolosa. Sembra un dettaglio analitico, ma in effetti non lo è. Consideriamo, infatti, fenomeni come Nino e Nina che determinano variazioni della temperatura superficiale di larghe parti dell’oceano e di cui non conosciamo l’origine. Tali variazioni sono in grado di determinare variazioni della copertura nuvolosa? Viceversa può la variazione della copertura nuvolosa determinare variazioni della temperatura superficiale dell’oceano e cioè determinare Nino e Nina? A queste domande non mi sembra che gli scienziati abbiano dato una risposta o, per essere più precisi, le risposte non sono univoche.
    .
    Con l’articolo che ci ha proposto G. Guidi, mi sembra che si faccia qualche piccolo passo in avanti in quanto il quadro fisico comincia ad essere meglio delineato. Gli scienziati hanno tentato, in altri termini, di andare a quantificare l’effetto delle nuvole sul bilancio radiativo terrestre e l’essere riusciti a descrivere l’effetto dell’acqua sottoraffreddata e del ghiaccio, mi sembra già un bel passo avanti. Peccato che alla fine hanno buttato tutto in caciara piccandosi di volere prevedere il comportamento delle nuvole in presenza di un clima più caldo (come DEVE essere in futuro). In altre parole mi sembra che abbiano deciso di sposare la tesi che la temperatura determina le nuvole e non viceversa. E va beh! Ci tocca aspettare il seguito della storia o un rebuttal. 🙂
    Ciao, Donato.

  2. Grazie della risposta, a mio parere molto esauriente e interessante 🙂

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