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Bali: il futuro del clima, fra illusioni e promesse

[photopress:cop13_15_6_750_357.jpg,thumb,pp_image]Sulla recente conferenza di Bali sono state scritte molte cose e molte altre se ne scriveranno in futuro. Oggi cambiamo un pò le regole e vi proponiamo un’intervista a Guido Guidi che un’amica di Climate Monitor ha pubblicato sul portale d’informazione Chronica.

Roma – Venerdì scorso, dopo 12 giorni di colloqui si è conclusa a Bali la 13° Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Sono state in realtà due settimane di discussione in cui si è visto tutto ed il contrario di tutto. Nei primi giorni hanno tenuto banco i rapporti presentati dalle associazioni ambientaliste e dagli organismi sovranazionali che si occupano di clima, che hanno presentato un quadro della situazione piuttosto preoccupante dal punto di vista climatico. L’IPCC, forte anche della concomitante consegna ufficiale del Premio Nobel assegnato l’ottobre scorso, ha partecipato con una delegazione di 200 rappresentanti, i quali hanno siglato e presentato un documento di ovvia conferma delle loro posizioni e di esortazione, per i rappresentanti politici delle varie nazioni, a trovare un accordo in tempi brevi. Non è mancato neanche il contributo dell’ormai consolidato partner del Panel delle Nazioni Unite, Al Gore, che, con tempismo perfetto, ha fatto prima una scappata ad Oslo a ritirare il premio Nobel e poi è corso a Bali con la statuetta ancora nella valigia, per tenere un discorso che sembrava tratto dalla sceneggiatura del suo documentario d’inizio anno.

Dal canto loro le associazioni ambientaliste hanno dato il loro contributo, presentando vari studi sugli effetti che il cambiamento del clima, o quella parte di cambiamento che sarebbe indotta dalle attività umane, starebbe già producendo sugli ecosistemi di molte zone del pianeta. Particolarmente toccante, la relazione del WWF sulla Penisola Antartica, dove il progressivo scioglimento dei ghiacci starebbe causando delle serie difficoltà al più popolare inquilino del Polo Sud: il Pinguino Imperatore.

In questi giorni sono tornati a galla anche tutti i problemi che già si conoscevano all’apertura del summit, le posizioni quasi antitetiche tra i paesi che hanno aderito al protocollo di Kyoto e quelli che ancora non lo hanno fatto, oppure tra i paesi in via di sviluppo (che sono esclusi dagli obblighi del protocollo) e quelli già sviluppati che non hanno fatto molto per dar forma e sostanza alla loro buona volontà. Tutti questi argomenti sono stati affrontati e mediati, per giungere ad un accordo di massima ai limiti del salomonico.

Torniamo ad analizzare con il Maggiore Guido Guidi (www.climatemonitor.it) del servizio meteorologico dell’Aeronautica Militare gli argomenti ed i topic principali che hanno caratterizzato questa maratona di negoziati.
Maggiore, ci siamo lasciati all’inizio della conferenza con la speranza che il dialogo fra le nazioni avrebbe trovato qualche soluzione alle problematiche del sistema clima (Clima: occhi puntati su Bali, alla ricerca di un nuovo protocollo di Kyoto).

Può spiegarci, tecnicamente, cosa è stato deciso nel corso del vertice?

In pratica l’esigenza era quella di individuare un percorso comune con sufficiente anticipo rispetto alla scadenza del protocollo di Kyoto del 2012, e questo in effetti è accaduto: il documento d’intesa finale siglato all’unanimità dai paesi che hanno partecipato alla conferenza, prevede che si avviino dei negoziati per la sigla di un trattato post Kyoto a Copenhagen nel 2009. Nessun numero, nessuna scadenza precisa, tranne la disponibilità a sedersi attorno ad un tavolo nei prossimi mesi. Sembra poco ma è già molto, considerata la distanza che separava le diverse posizioni. Il punto è che se il protocollo di Kyoto rappresentava un obiettivo politico più che scientifico, perché la struttura stessa dell’accordo lasciava troppi margini di manovra per avere effetti tangibili sulla riduzione delle emissioni di gas serra, occorrerà che nel siglare un nuovo patto, non si commettano gli stessi errori e non si lascino “vie di fuga” ai non adempienti. Allo stesso tempo non si dovrà prediligere l’aspetto economico dello scambio di quote di emissione a quello ambientale di una effettiva riduzione dei gas serra. Per intenderci: nessuno più dovrà essere autorizzato a pagare per inquinare.

Questa regola varrà anche per i paesi in via di sviluppo?

Da questo punto di vista la conferenza è stata un successo in effetti, perché è stato creato un gruppo di lavoro intergovernativo che si occupi di facilitare con investimenti, istituzione di fondi e azione di controllo, il trasferimento di tecnologie per attività produttive non inquinanti dai paesi altamente industrializzati a quelli che stanno crescendo solo ora, anche se alcuni di questi – tra tutti Cina ed India – presto avranno colmato il gap che li separa dal mondo occidentale, anche dal punto di vista della capacità di produrre inquinamento. Per tornare alla domanda: il fatto che tutti i paesi si siano impegnati a sedere al tavolo dei negoziati per il 2009, significa che il prossimo accordo dovrebbe includere anche i paesi in via di sviluppo come quelli appena citati e questo farà definitivamente cadere l’opposizione di paesi come Stati Uniti, Giappone e Canada che non hanno mai ratificato il protocollo di Kyoto per timore di vedere ridotta la loro capacità produttiva a beneficio di chi non aveva (di fatto ancora non ha) vincoli ambientali da rispettare. Del resto questa opposizione sta già cadendo, dal momento che gli Stati Uniti hanno dato la loro adesione al documento finale, soltanto quando alcuni paesi hanno minacciato di procedere ad una decisione unilaterale e di boicottare il futuro vertice di che si terrà proprio negli Usa tra qualche mese.

Ma, arrivati a questo punto, esiste una speranza che la situazione del clima possa migliorare?

Al riguardo sono abbastanza scettico per la verità, per molte ragioni. Innanzi tutto perché un malato migliori si deve avere la certezza della cura, che può venire solo dalla piena conoscenza della malattia e noi adesso la malattia del clima la conosciamo ancora poco, perché conosciamo poco il malato, ammesso che lo si possa definire tale. Certamente si deve e si può inquinare di meno, sfruttare meno il territorio e soprattutto farlo in modo più intelligente, per migliorare la qualità della vita, piuttosto che peggiorarla pagando fior di soldi per inquinare. Sulle emissioni di gas serra poi, può darsi che nel 2009 si arrivi a decidere di operare una riduzione delle emissioni del 25-40% al 2020 e del 50% al 2050, e questo darà un impulso enorme allo sviluppo di risorse energetiche alternative e rinnovabili. Tutto ciò è un bene, anche perché, nel frattempo, le emissioni si saranno ridotte comunque, infatti i combustibili fossili per sostenere questi livelli di consumo per i prossimi quarant’anni sul pianeta non ci sono. Resta da vedere se in un sistema complesso come il clima del pianeta, gli effetti di questa pesante azione antropica siano indelebili piuttosto che assimilabili. Quale che sia il futuro dell’evoluzione del clima, il programma di controllarla o contenerla o indirizzarla mi sembra ambizioso ed anche un po’ illusorio.

[photopress:epa15xsnx_20071215.jpg,thumb,pp_image]A questo punto non ci resta che sederci sulla riva e aspettare. Aspettare la prossima mossa degli Stati Uniti ed i prossimi proclami a favore degli ambientalisti-antifascisti del novello Robin Hood del Global Warming, Al Gore.

Con la speranza che di questa conferenza non restino solo le lacrime del responsabile del segretariato Onu per i cambiamenti climatici, Yvo De Boer. Però, come dargli torto. Ci sarebbe davvero da piangere.

Chiara Di Giambattista per Chronica – 18/12/2007

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Published inAmbienteAttualitàClimatologia

5 Comments

  1. Chiara D.G.

    Grazie mille Davide per i complimenti! Ovviamente metà del merito va al nostro amico Guido Guidi, sempre competente e impeccabile nelle sue argomentazioni… Riguardo all’altra metà e alla sottoscritta…beh, si fa quel che si può!
    Mille auguri di Buon Anno a te ed a tutti i frequentatori del Blog!
    Chiara D.G.

  2. Davide Depaoli

    Una intervista sublime,concordo con quello che dice Guido Guidi,ma un plauso anche a Chiara,che ha fatto un articolo molto interessante,e come dice lei non bisogna mai prendersi sul serio

  3. 1929 - ernesto villoresi

    Mah, forse abbiamo due concezioni diverse di ironia: nella scala del criticismo composta (in escalation) da

    1)ironia
    2)presa per i fondelli
    3)attacco isterico

    frasi del tipo “Non è mancato neanche il contributo dell’ormai consolidato partner del Panel delle Nazioni Unite, Al Gore, che, con tempismo perfetto, ha fatto prima una scappata ad Oslo a ritirare il premio Nobel e poi è corso a Bali con la statuetta ancora nella valigia, per tenere un discorso che sembrava tratto dalla sceneggiatura del suo documentario d’inizio anno” oppure “Aspettare la prossima mossa degli Stati Uniti ed i prossimi proclami a favore degli ambientalisti-antifascisti del novello Robin Hood del Global Warming, Al Gore” le reputo a cavallo dei livelli 2 e 3

    Caro Ernesto, forse ha ragione, non si tratta di ironia ma di presa in giro, perchè, ad onor del vero, da certi fatti non si può non sentirsi presi per i fondelli. Vediamoli i fatti così sagacemente (e colpevolmente a Suo dire) descritti dall’autrice dell’intervista. Il Premio Nobel è stato ritirato da Gore ad Oslo il giorno prima del suo discorso a Bali, fatti due conti con il fuso orario non può materialmente essere passato da casa, avrà preferito averlo con sè, non in valigia ma sotto la maglia di lana, perchè trattasi di medaglia e non di statuetta in effetti. Forse allora deve essere stata una sorta di allergia da contatto a suggerire l’unica variazione dal tema di “An inconvenient thruth” del suo discorso ai delegati della conferenza. Soltanto un violento attacco di prurito può aver ispirato l’associazione di idee tra ambientalismo ed antifascismo, non riesco a vedere altra spiegazione. Del resto, come proprio su queste pagine ho avuto modo di commentare, il brogliaccio di quel discorso lo avevamo già letto nel pezzo “Se la terra non muore per colpa degli alieni”, neanche tanto vagamente evocativo del film “The independece day”, alieni e ruolo guida dei buoni inclusi. cosa vuole farci, quando ci prendono in giro così, sappiamo soltanto reagire a tono, certo non pensiamo assolutamente di fare lo stesso rumore, ma tant’è sono reazioni istintive. Quanto all’isteria beh, quella la lascerei ai rulli di tamburo del catastrofismo, è l’unico settore del quale abbiamo ceduto da tempo le partecipazioni.
    Cordiali saluti, Guido Guidi.

  4. Chiara D.G.

    Gentilissimo Signor Villoresi, da assidua frequentatrice di Climate Monitor ho avuto modo di constatare la sua idiosincrasia per l’ironia come strumento retorico. Questo mi addolora non poco e mi obbliga a citare il caro amico Guido Guidi: “credo che nella vita non ci si debba mai prendere troppo sul serio”. Se per contagio intende essere d’accordo su come approcciare la vita allora si, ha ragione, sono stata contagiata.
    Un caro saluto ed un ringraziamento per aver letto fino in fondo il mio articolo
    Chiara D.G.

  5. 1929 - Ernesto Villoresi

    Questa volta concordo con quanto detto da Guidi, un po’ meno con il tono “da presa in giro” dell’autrice dell’articolo. Che sia stata contagiata?

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