Appena qualche giorno fa, in un modo che i lettori di CM spero non abbiano giudicato troppo superficiale, abbiamo provato a guardare al tema del riscaldamento globale attraverso delle lenti diverse, quelle di un operatore di borsa. Oggi, grazie alla segnalazione di un lettore molto attento, indossiamo ancora un altro paio di occhiali. Siamo sempre in campo finanziario, ma si parla del prezzo di quel che mangiamo o, più precisamente, di quello che si utilizza per produrre cibo.
Queste nostre incursioni in settori così lontani dalle nostre abituali discussioni potranno sembrare avventurose, ma del resto il tema del riscaldamento globale diventa un problema per gli effetti che si suppone possa avere, non per l’interesse nei saliscendi (soprattutto sali) delle curve della temperatura superficiale globale. Le variazioni dei prezzi di qualcosa che dipende molto strettamente anche dalle condizioni ambientali è sicuramente uno di questi effetti, perciò merita attenzione.
Regola o, per meglio dire, la previsione vuole, che un mondo tanto più caldo quanto potrebbe renderlo il contributo degli uomini alle dinamiche del clima, possa diventare anche un mondo in cui scarseggeranno le materie prime alimentari. Da che mondo è mondo, il prezzo di una commodity lo fa l’equilibrio tra domanda ed offerta. Beh, la prima aumenta stabilmente di pari passo con l’aumento della popolazione, mentre la seconda potrebbe non riuscire ad essere soddisfacente a causa di difficili condizioni ambientali, quindi si innescherebbe un aumento dei prezzi, con presumibili difficoltà di approvvigionamento.
Ma è questo quello che è accaduto sin qui? Insomma, le temperature sono aumentate, ci sono stati periodi di veloce riscaldamento intervallati da stazionarietà o lieve raffreddamento, ma la disponibilità e quindi i prezzi del cibo in che modo ne sono state influenzati? Si prova a rispondere a questa domanda in questo post sul blog zerohedge, vediamo come.
Per le temperature, probabilmente perché guardando le cose con lenti non distorte dalla piega che ha preso il dibattito sul clima, è stata fatta la scelta più logica, ossia quella di prendere a riferimento la serie storica dei dati satellitari, che offre una densità e omogeneità di informazioni di gran lunga superiore alle serie storiche derivate dalle osservazioni di superficie, oltre a non essere soggetta a problemi inerenti le modifiche delle condizioni ambientali circostanti i punti di misura.
Per il prezzo del cibo, è stato preso in esame un indice utilizzato negli Stati Uniti (Producer Price Index), limitandone però l’utilizzo all’inizio degli anni ’90, quando con l’avvento della globalizzazione sono aumentate le probabilità che il suo andamento possa essere rappresentativo a livello globale.
Le due serie sono satate messe a confronto applicando una media mobile di 13 mesi. Certo, il mondo ha subito tantissimi cambiamenti che hanno avuto i loro riflessi sul mercato e sulla disponibilità di materie prime alimentari, sia dal punto di vista gepolitico che di diverso genere, ma, è opinione diffusa che nel frattempo abbiano iniziato a farsi sentire anche altri cambiamenti, soprattutto di natura ambientale. Non fosse altro, è noto (ma poco pubblicizzato in verità) che un’atmosfera con una più elevata concentrazione di CO2 favorisce la biosfera.
E, infatti, ecco cosa viene fuori nel confronto.
Nel contesto di prevalente riscaldamento, soprattutto nella seconda parte del periodo analizzato, alle fasi di aumento della temperatura corrisponde una diminuzione dei prezzi, mentre a quelle di stasi o diminuzione della temperatura, si associa un aumento degli stessi. Più in generale, non sembra proprio che il ruggito del global warming, che avrebbe già iniziato a sconquassare il clima e i suoi derivati, tra cui ovviamente la capacità del pianeta di produrre cibo per i suoi abitanti, abbia portato alcuna catastrofe nella disponibilità (e prezzi) delle derrate alimentari. In termini quantitativi questo lo sapevamo già, perché è noto che anche grazie al progresso nelle tecniche di produzione, ma soprattutto perché il clima ci ha messo del suo, la produzione di cibo è aumentata tantissimo nelle ultime decadi, riuscendo nonostante tutto a tenere egregiamente il passo dell’aumento della popolazione. Che questo si sia intellegibile anche nel prezzo di queste commodity, e quindi nella facilità di accesso alle stesse, è un’altra di quelle cose delle quali i profeti di sventura fanno finta di non accorgersi.
Certo, domani, quando il clima sarà fuori controllo, come recitano le profez….ehm previsioni, le cose potranno anche cambiare, ma sta di fatto che siamo tutti qui in attesa che si palesino gli effetti catastrofici di qualcosa che dovrebbe essere iniziata da un pezzo e questi ancora non si vedono. Sarà…
Non foss’altro che non ci si ciba solo dell’agricoltura
Mah…
Ho provato a confrontare il prezzo del cibo (quello usato dall’autore del post) con i dati NOAA di gennaio 2016 e i UAH6 beta5 di dicembre 2015, cercando di evitare il cherry picking, cioè usando tutti i dati disponibili per il prezzo del cibo (dal 1947). I grafici sono in http://www.zafzaf.it/clima/ft.pdf
Ho calcolato, per ogni dataset, i residui dal fit lineare e li ho graficati insieme (il grafico in alto mostra i dati originali, quello in basso i filtrati a 13 mesi). Il residuo del prezzo (linea rossa) è stato diviso per 60 per riuscire ad apprezzare le oscillazioni e contemporaneamente restare nell’area del grafico.
Mi sembra che qualche associazione prezzo/temperatura si veda, in particolare dopo il 1980, ma non ricavo un’impressione generale di correlazione.
Io non so nulla di mercati, ma ho l’impressione che il migliore accordo dopo il 1980 dipenda più da una regolazione mondiale dei mercati che da una vera relazione, libera da condizionamenti esterni.
E’ vero che tra il 1995 e il 2005 le temperature sono alte e i prezzi bassi ma non mi sembra che ci sia una relazione tra variazioni di temperatura e variazioni di prezzo (ad esempio una forte variazione di prezzo attorno al 2002-03 e una debole variazione di prezzo in corrispondenza di ElNino 1998).
Intuitivamente credo che la relazione espressa dal post abbia senso, ma questo senso non lo vedo espresso dai dati in maniera decisa.
Franco
Franco
Franco, sapevo che lo avresti fatto. Penso anche io che la relazione sia difficile da estrarre in un contesto che vede forzanti di diverso genere all’opera. Sta di fatto che il caldo delle decadi recenti non sembra aver avuto effetti negativi, semmai il contrario.
gg
Certo Guido, non ho dubbi sui vantaggi del caldo per le derrate alimentari … e non solo.
Franco
Quindi riassumendo, da quando fa piu’ caldo abbiamo, tra le altre cose, raccolti piu’ abbondanti, cibo meno caro, meno cicloni, meno morti per eventi estremi, energia (convenzionale) meno cara e global greening. Qualcuno ci salvi dai salvatori del mondo.
La realtà continua, testardamente e cocciutamente, a non volersi adeguare alle previsioni, proiezioni, divinazioni, modellazioni ecc….. Mah. 🙂