Sto decisamente invecchiando, ogni due per tre mi viene in mente qualcosa che evidentemente aveva fatto breccia nella (pur scarsa) corteccia con cui prima concimavo i capelli e che adesso, passata qualche decade, si rivela inesatta, approssimativa, inconsistente. L’esempio di oggi. La mia generazione è cresciuta con molti spauracchi: la fine del petrolio (che ora non sappiamo dove mettere), la crescita demografica (che in Italia è diventata un calo), la desertificazione (le palme ancora non si vedono) e, ultima ma non meno importante la deforestazione.
Ci soffermiamo su questa, per commentare una notizia uscita sul National Geographic Italia il 22 febbraio. Come al solito luci e ombre.
La crescita incontrollata dei boschi italiani
Nel nostro Paese le foreste coprono un terzo del territorio e continuano ad avanzare. Il bosco ha preso il posto di pascoli e coltivazioni. E sta diventando sempre più impenetrabile, indifendibile in caso di incendi
Allora, pur nel contesto dell’avanzata del cemento, boschi, foreste e sterpaglie varie, si sono ormai prese un terzo del territorio, soprattutto perché nessuno lo sfrutta, nessuno lo controlla, nessuno lo cura, diversamente da come faceva il modello di società che ha preceduto l’attuale. Così i pascoli e le coltivazioni sono diventate boschi e foreste, magari anche cambiando, anzi sicuramente cambiando, i microclimi delle aree interessate, l’albedo, la traspirazione, l’assorbimento e la produzione di CO2, il regime delle piogge e quello delle temperature, tutte situazioni che, riportate al 33% del territorio, finiscono per pesare anche sul clima areale. Negli anni trenta – si legge – i milioni di ettari di bosco erano 4, oggi sono 11.
Per di più, mentre si pensa a come affrancare il sistema energetico dall’uso dei combustibili fossili puntando soprattutto su vento e sole, si lascia inutilizzata una enorme quantità di biomassa, che pure invece potrebbe fare la sua parte. All’estero infatti la fa, al punto che noi, furbi tra i furbi, per quel poco uso che ne facciamo la compriamo all’80% oltreconfine. E così, se in Italia ogni cento nuovi alberi se ne tagliano trenta ogni anno, la media europea è di 60, con Paesi che arrivano a 90, mantenendo comunque un ritmo di crescita significativo.
In tutto questo, c’è da chiedersi se a qualcuno viene in mente che in un mondo sempre più inospitale e messo alla prova dalla perfida mano dell’uomo, con l’atmosfera impregnata di gas climalteranti, è normale che le piante se la passino così bene…
La notizia lanciata in questo post che può essere interpretata positivamente per certi aspetti, nettamente negativi per altri:
1) la superficie boschiva aumenta, dato di fatto, che non può che far piacere.
2) Quali sono però le superfici conquistate dai boschi? Vecchi pascoli o terre coltivate. NEGATIVO; ciò dimostra come in Italia ci sia stato un calo dello sfruttamento agricolo…Ora non so se questo si traduca in minori volumi produttivi, o se invece al minore utilizzo di terre si è contrapposta un’aumentata capacità di sfruttamento e quindi rese più elevate per ettaro, che fanno chiudere in pari il bilancio produttivo. In questo il prof Mariani ci potrà dire di più.
3) il fatto che altre nazioni abbiano adottato un regime di crescita del verde più lento può essere semplicemente giustificato dal fatto che in Italia ci sia stato un maggior sfruttamento (deforestazione) nel passato? Che eravamo giunti ai minimi termini? Che le altre nazioni, vedi Germania, Norvegia, Svezia, in fondo abbiano già la “giusta” copertura boschiva (anzi addirittura molto più che il 50%)?
4) boschi inaccessibili: la gestione delle foreste dovrebbe essere presa più sul serio, concordo con il commento precedente…se da un lato è necessario “abbandonare” la natura a se stessa anche solo per rispetto (anche degli ambientalisti) e per poterne godere dello spettacolo, ciò dovrebbe essere limitato a zone circoscritte, far ricorso alla cura delle foreste e impedire il più possibile il rischio di propagazione incendi. Addirittura anche Papa Francesco nel suo “Laudato sii”, fa riferimento a Francesco d’Assisi che “…chiedeva che nel convento si lasciasse sempre una parte dell’orto non coltivata, perché vi crescessero le erbe selvatiche, in modo che quanti le avrebbero ammirate potessero elevare il pensiero a Dio, autore di tanta bellezza”.
Gianluca
Caro Guido, bene hai fatto a richiamare questi dati che attestano o straordinario trend di incremento del patrimonio boschivo italiano e che ci rimandano al fatto che il bosco in un ambiente antropizzato come quello italiano andrebbe gestito in modo razionale e cioè secondo i dettami della scienza forestale, che a casa nostra ha una tradizione plurisecolare.
Gestire significa sottoporre il bosco a periodici tagli razionali che consentono di portare a casa moltissima biomassa da utilizzare per gli scopi più vari (energetici, per legname da opera, ecc.).
Se anni fa’ anziché puntare su pannelli solari ed eolico si fosse puntato in modo più deciso sulla gestione del bosco si sarebbero creati moltissimi posti di lavoro sia nella gestione stessa sia nelle filiere a valle (energetica, chimica, ecc.). Come ricaduta si sarebbe avuta la riduzione e del rischio idrogeologico e del rischio di incendi (oggi molti paesi della montagna alpina e appenninica vivono l’assedio del bosco con i rischi d’incendio conseguenti).
Comunque, poiché errare è umano ma perseverare è diabolico, occorrerebbe oggi mirare in modo deciso su politiche di gestione del patrimonio forestale. Non nascondiamoci però che tali politiche si scontenteranno inevitabilmente con le idee degli ambientalisti più radicali i quali ritengono che il bosco vada conservato così com’è, senza alcun intervento umano. La lotta contro questi pregiudizi sarà come sempre accade difficile, lunga e con alterne fortune.