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Come ti cambio il clima…se fa freddo

Da Le Scienze e, prima ancora, da Nature Geoscience (chissà perché non da Nature Climate Change, rivista del gruppo Nature che si occupa specificatamente di clima che cambia…):

Due secoli di cambiamenti climatici e sociali

Cooling and Societal Change During The Late Antique Little Ice Age From 536 to around 360 AD

Il VI e il VII secolo DC videro grandi cambiamenti sociali nell’area Euro-Asiatica. Anni di declino di imperi e ascesa di altri, anni di pestilenze e sanguinose battaglie. Insomma, gente che, a quanto pare, si dava da fare per…scaldarsi.

Il lavoro su NGS infatti, analizzando dati proxy derivati da anelli di accrescimento degli alberi prelevati tra i Monti Altai in Russia e le Alpi Europee, ha individuato in un raffreddamento con sorprendente omogeneità spaziale occorso tre il 536 e il 660 AD, la causa o quanto meno concausa di queste turbolenze sociali. Un’epoca ribattezzata Piccola Età Glaciale Tardo Antica, più breve ma forse più incisiva della Piccola Età Glaciale (1400-1850 circa), ma parimenti difficile per strutture sociali ancora meno resilienti.

A causarla, scrivono, soprattutto tre grandi eruzioni (536, 540 e 547 AD), che avrebbero dato l’incipt ad una serie di feedback oceanici e di ghiaccio marino senza i quali gli effetti di oscuramento della luce solare non avrebbero potuto durare così a lungo, essendo noto che questi sono normalmente di breve durata. In più, questo Le Scienze non lo riporta ma Nature sì, anche un Minimo Solare definito di portata eccezionale, cioè una riduzione dell’attività solare in termini di TSI (Total Solar Irradiance).

Fig_2 Eurasian Summer Temperature Variability

Qui sopra, la Figura 2 del paper che è liberamente consultabile on-line. In risalto, oltre al periodo su cui si è concentrato questo studio, la grande variabilità delle condizioni climatiche degli ultimi 2000 anni, in cui spiccano i periodi noti e meno noti di importante oscillazione delle temperature, alla faccia del clima stabile e immutato fino all’insorgere del forcing antropico.

A ripensarci bene però, ora ho capito perché è uscito su Nature Geoscience e e non su Nature Climate Change, del resto il paper comincia con le parole “Climatic changes” non “Climate Change” e non è cosa da poco. 😉

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Published inAttualitàClimatologia

6 Comments

  1. Cari Donato e Luigi,
    per completezza tento di confrontare i dati di Bungten et al., 2016 con quelli del dataset dendrocronologico CA667 di cui abbiamo parlato su CM
    http://www.climatemonitor.it/?p=37717
    Il confronto è a
    http://zafzaf.it/clima/bungten2016-all.png

    I dati di ca667 fanno riferimento alla Sheep Mountain (California) e così proviamo a vedere cosa succedeva in Europa, Asia e America.
    Alcune situazioni sono simili, come l’evento del 535; o i massimi a 1400 e 1550 ; altre, come il periodo 0-300 sono opposte e altre ancora, come il periodo 700-1300 mostrano una “crescita e poi diminuzione” abbastanza concorde in Europa e in Asia, ma una “diminuzione / stazionarietà” in America.
    Nei dati più recenti si vede una notevole diversità nei dati di Bungten e una somiglianza tra i dati americani e quelli asiatici.

    Ciao
    Franco

  2. Donato

    @ L. Mariani
    .
    Caro Luigi, la tua risposta al mio commento mi ha fatto riflettere a lungo in questa giornata domenicale.
    In primo luogo concordo completamente con te circa la precipitazione con cui attribuiamo al clima la responsabilità di quasi tutto. Nell’articolo di Brungten vengono analizzati tutti gli eventi storicamente rilevanti verificatisi nella LALIA e sembra che tutto sia accaduto per colpa del freddo. Basta, però, fare un salto indietro di poche decine di anni (476 AD) e si assiste al crollo dell’Impero Romano d’Occidente (atto finale, ma la caduta effettiva era avvenuta molti anni prima). In quell’epoca faceva caldo, come faceva caldo quando Alessandro distrusse l’Impero Persiano o Roma pose fine alla storia di Cartagine. Le civiltà iniziano e finiscono per una molteplicità di motivi e quelli climatici non sono affatto secondari, ma ridurre tutto al clima mi sembra un po’ esagerato.
    .
    Ciò che più mi ha fatto pensare è stato, però, il tuo riferimento alla vicenda siriana. Da ottobre cerco di seguire in modo assiduo ciò che sta accadendo in Siria attraverso canali diversi da quelli dei media nostrani. Seguo abitualmente una testata pro-Assad, una pro-ribelli, un paio di testate che si occupano di geopolitica e qualche blog (in lingua inglese, ovviamente perché in italiano c’è poco o nulla) e mi sono reso conto che di tutto possiamo accusare il clima tranne che della guerra siriana. Di climatico in quella triste vicenda non c’è assolutamente nulla: i siriani stanno pagando a carissimo prezzo i giochi geo-politici delle potenze regionali e globali. In Siria si sta consumando una tragedia terribile in cui le vittime sono siriane, ma gli attori principali sono turchi, sauditi ed iraniani. Gli uni e gli altri sono appoggiati da USA e Russia che stanno combattendo una guerra per procura. Alla base di tutto c’è, però, la lotta atavica tra sciiti e sunniti che tendono a sterminarsi a vicenda da secoli e secoli.
    Attribuire al clima che cambia e cambia male ciò che è accaduto e sta accadendo in Siria è la più grossa idiozia che io abbia letto, visto e sentito.
    E con questo la finisco per non incorrere nelle “ire” del nostro padrone di casa per l’OT politico.
    Anzi preannuncio fin da adesso che non intendo polemizzare con nessuno che la pensa diversamente da me! 🙂
    Ciao, Donato.

  3. Donato

    Ad occhio noto che tra la serie alpina e quella degli Altai la correlazione non sembra molto alta. Ho guardato l’articolo e ho notato che l’indice di correlazione tra le due serie di dati è compreso tra 0,31 e 0,35 (a seconda della finestra temporale considerata). Si tratta di una correlazione tra debole e moderata. In particolare appare poco correlato l’ultimo periodo, quello più recente. La cosa non mi meraviglia più di tanto in quanto, in genere, gli estremi delle serie soffrono di diversi problemi di polarizzazione, ma in ogni caso ci troviamo di fronte a differenze notevoli. Questo per i dati grezzi.
    .
    La correlazione diventa molto più consistente se si considerano le serie filtrate: in questo caso si ottengono indici di correlazione molto significativi per il periodo 1000-2003 AD e piuttosto interessanti su tutta la finestra temporale indagata.
    Mi verrebbe da pensare che il clima alpino e quello degli Altai non sono proprio la stessa cosa e questo non mi meraviglia affatto. Mi viene ulteriormente da pensare che molte volte ha poco senso parlare di eventi climatici globali: va bene che siamo in tempi di globalizzazione, ma per il clima forse sarebbe meglio fare un’eccezione. 🙂
    Ciao, Donato.

    • Luigi Mariani

      Donato, penso che tu abbia ragione, nel senso che se ci sono stati dei forcing globali (polvere in stratosfera dovuta a grandi eruzioni e feedback oceanico), come poi questi si siano declinati alle scale inferiori non è un fatto globale ma va letto localmente.
      A tale riguardo dell’articolo di Bruntgen et al. mi preoccupa la tendenza a vedere i movimenti di popoli (sulle cui cause abbiamo spesso le idee confuse perché le fonti documentali sono oltremodo lacunose) come effetto di eventi climatici (anch’essi in gran parte oscuri nella loro declinazione a livello locale).
      Personalmente userei una maggiore prudenza, anche per non rischiare di finire come il presidente USA e il suo segretario di stato i quali sono di recente arrivati a spiegare la guerra civile in Siria come frutto della siccità, compiendo un errore tanto più madornale se si considera che sulla Siria oggi è disponibile una messe di dati incommensurabilmente più elevata di quella di cui si dispone con riferimento agli spostamenti degli Avari e dei Longobardi o l’espansionismo arabo.
      Insomma, se si sbaglia a utilizzare la causa climatica per giustificare i fatti siriani di oggi quanto più rilevante è la probabilità di sbagliare attribuendo a cause climatiche gli eventi dell’Alto Medioevo?

  4. Luigi Mariani

    Caro Guido,
    l’analisi fatta da Ulf Bruntgen et al sull’evento freddo dell’Alto Medioevo si integra molto bene con le indicazioni provenienti dalle fonti documentali del tempo (Cassiodoro, Procopio) che avevo letto nel bel libro di Lellia Cracco Ruggini e segnalato nel mio scritto dell’agosto 2015 “L’evento freddo del 535/550 dC – Alcune fonti per l’Italia” http://www.climatemonitor.it/?p=38698
    Davvero bella la tua osservazione finale: Ulf Bruntgen, usando “climatic changes” in luogo di “climate change”, pecca di relativismo, che è l’anticamera del negazionismo….
    Luigi

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