La settimana scorsa, tra lo stupore generale anche un po’ disinformato, abbiamo osservato e commentato lo sviluppo di una depressione in Atlantico che ha assunto, per breve tempo caratteristiche tropicali, per forma, cuore caldo e intensità degli eventi associati. In buona sostanza, un uragano in gennaio, a quasi due mesi dalla chiusura della vecchia stagione e a più di quattro dall’apertura di quella nuova. Un evento raro ma non senza precedenti. Senza dubbio però, nel rispetto della specificità di questi eventi, non un evento ciclico.
Le depressioni tropicali, soprattutto quelle che evolvono in uragani, ricevono spesso molta attenzione e sono oggetto di studi molto approfonditi, che hanno sin qui messo in risalto soprattutto l’elevata impredicibilità, in termini sia di frequenza di occorrenza che di intensità. Tuttavia, il messaggio molto superficiale che passa spesso attraverso i media, supportato da una divulgazione scientifica imprecisa, è quello di una generale tendenza, in un mondo che tende a scaldarsi, ad un aumento della pericolosità di questo genere di eventi.
Curiosamente, in particolar modo con riferimento al periodo recente, sembra proprio che possa accadere il contrario, infatti l’attività degli uragani in Atlantico ha subito un forte decremento negli ultimi dieci anni e l’intensità degli stessi, espressa nel suo complesso dall’indice ACE (Accumulated Cyclone Energy) è parimenti diminuita.
Sul blog di Judith Curry, è apparso qualche giorno fa un contributo piuttosto interessante, uno studio in cui si analizza la correlazione tra le temperature di superficie dell’oceano e l’indice ACE. Quel che ne viene fuori, è ovviamente una relazione stretta tra questi due fattori – del resto gran parte dell’energia di cui si alimentano gli uragani viene proprio dal mare – ma quel che più colpisce, oltre ai periodi in cui questa relazione si attenua in modo significativo, è la presenza di ciclicità condivise, con periodi associabili tanto a quelli lunari, quanto a quelli solari. Più precisamente, entrambe le serie presentano alle analisi spettrali delle ciclicità intorno ai 9 e 60 anni, numeri che saltano fuori analizzando praticamente ogni serie storica di parametri climatici di cui si dispone.
Certo, le temperature di superficie non sono l’unico ingrediente degli uragani, il wind shear verticale e quindi la circolazione atmosferica a macroscala giocano un ruolo decisivo nel definire l’intensità dei singoli eventi e delle stagioni intere, quindi è sorprendente anche notare come sia nel periodo di stasi delle temperature di superficie iniziato negli anni ’30, sia nella pur ancora breve pausa attuale, entrambe caratterizzate da valori comunque elevati delle SST, l’ACE sia praticamente precipitata. Sono quindi venute a mancare per lunghi periodi le condizioni ideali (quali e perché) per una sostenuta attività degli uragani, che sale quando salgono le SST, scende quando queste scendono, ma scende anche quando queste sono stabili.
Il tutto, inesorabilmente e lontano anni luce da una mera relazione più caldo uguale più eventi, ciclicamente, sia nel breve che nel lungo periodo climatico, con buona pace delle previsioni…
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