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Il piano B dell’ONU

I principali osservatori ed analisti politici ed economici, ormai da diverse settimane, ci stanno preparando all’eventualità di un insuccesso a Copenhagen. Chiaramente si tratta di ipotesi e scenari, che potrebbero essere completamente smentiti. Ormai manca poco più di una decina di settimane al summit di Copenhagen e il tempo materiale per stringere quegli accordi che andranno poi perfezionati a dicembre sta per scadere. Rimane un penultimo importante round, il Bangkok round, ma difficilmente i delegati accreditati da tutto il mondo riusciranno a scrivere alcunchè di importante.

L’importanza del summit di Copenhagen è ormai chiara a tutti, venendo cronologicamente e logicamente dopo il trattato di Kyoto, essendo di questo il successore a tutti gli effetti. Le Nazioni Unite, quindi, dovrebbero ambire ad un “piano A”, ovvero ad un trattato di amplissimo respiro e consenso, che magari riesca a coinvolgere paesi Occidentali e paesi in via di sviluppo (PVS), oppure viste le premesse, più pragmaticamente dovrebbe già pensare ad un “piano B”?

La maggior parte degli analisti comincia a credere che l’opzione alternativa sia la migliore strada da seguire. Cerchiamo di capire il perchè.

Portare a conclusione l’obiettivo massimo è una opzione assolutamente legittima, però molto rischiosa dal punto di vista del peso specifico finale dell’accordo. Quello che viene generalmente rimproverato1 al testo base di Copenhagen è stato aver messo troppe tematiche sul banco dei negoziati. Oggi le decisioni politiche inerenti al Global Warming sono di natura profondamente economica, più che scientifica, tuttavia una Nazione che volesse intraprendere la strada della riduzione di emissione di gas serra deve innanzitutto fronteggiare i costi interni e la concorrenza esterna. E questo tipo di interventi è estremamente costoso sul fronte interno e rischioso sul fronte della bilancia commerciale, quindi i Governi si muovono con cautela e grande attenzione (o per meglio dire, diffidenza).

Arrivare ad un accordo con gli obiettivi massimi appare quindi improbabile. Quello che può accadere è un accordo con il meglio che si sia potuto ottenere, nel tentativo di raggiungere gli obiettivi massimi, ovvero una versione edulcorata di accordo di massima. Il rischio è proprio insito in un accordo di questa natura, potrebbe costituire quello che gli anglosassoni definiscono “legal zombie”: un accordo che non basta ad apportare il cambiamento voluto, ma anche un accordo che è difficile da superare con futuri negoziati. Puntare al massimo, senza ottenerlo e accontentandosi di un accordo tampone, porrebbe una ipoteca sul futuro dei negoziati a venire, ma anche sulle attuali azioni da intraprendere per ridurre le emissioni di gas serra.

Ecco quindi che entra in gioco il “piano B” dell’ONU. Non un consenso allargato a tutto e a tutti, bensì una serie di tavoli di trattative più ristretti, guidati (nemmeno a dirlo) dalle nazioni occidentali, colpevoli della percentuale maggiore di emissioni serra. Quindi gli accordi di Copenhagen, piuttosto che seguire la strada di Kyoto (che produsse il tanto discusso, quanto infruttuoso, Clean Development Mechanism2,3, dovrebbe creare una cornice istituzionale, con obiettivi a brevissimo termine, nella quale far operare questi circoli di paesi ricchi.

In questo modo il cambiamento sarebbe realmente più governabile. Come sostiene lo stesso David Victor, su Nature (articolo già citato), un successo maggiore lo si potrà sicuramente ottenere se i negoziati climatici verranno condotti come i negoziati sul commercio mondiale, in fondo il riscaldamento globale altro non è se non un problema di cooperazione economica a livello planetario.

Il fatto di pensare già ora ad una “exit strategy” è una conferma dell’insuccesso cui andiamo incontro, o un piano alternativo a tutti gli effetti? Quirin Schiermeier4 ci ricorda che in qualche modo pilotare il disastro consentirà a tutti di attenuare i contraccolpi negativi sulle economie mondiali, quindi pensare fin d’ora ad un piano alternativo è sì una conferma delle poche speranze riposte in questo summit, ma è anche una garanzia di arginare l’onda, evitando il peggio per tutti noi.

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  1. http://www.nature.com/nature/journal/v461/n7262/full/461342a.html []
  2. Wara, M. W. & Victor, D. G. A Realistic Policy on International Carbon Offsets (Program on Energy and Sustainable Development, Stanford Univ., 2008) []
  3. Wara, “Is the Global Carbon Market Working?; http://www.nature.com/nature/journal/v445/n7128/full/445595a.html []
  4. http://blogs.nature.com/climatefeedback/2009/09/plan_b_for_copenhagen_1.html []
Published inEconomiaNews

3 Comments

  1. […] e i negoziatori si arrendono adesso, se già adesso si parla di piano B (noi ne abbiamo parlato qui, qui e qui), allora probabilmente potranno passare al piano F, come Fallimento. I think it is […]

  2. […] dei principali attori che si incontreranno all’ormai imminente summit di Copenhagen (qui, qui e qui). Tra le varie voci riportate, ci siamo soffermati diverse volte su quella africana. […]

  3. […] Copenhagen si avvicina! Ed ecco la posizione dell'ONU: Il piano B dell'ONU | Climate Monitor […]

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