Chi ci segue da tempo, e anche molti altri che si sono aggiunti di recente, ha visto che abbiamo seguito lo svolgimento della 21ma Conferenza Delle Parti dell’UNFCCC molto da vicino, pubblicando la cronaca dei fatti di ogni giornata.
Domenico Macrini – un lettore che ci segue praticamente sin dai primi giorni di pubblicazione – ha voluto raccogliere in un unico documento i contributi di CM sulla COP21 che si è svolta a Parigi all’inizio di questo mese e, in appendice, alcune considerazioni del prof. L. Mariani sui temi che la COP 21 ha toccato.
In tal modo viene a concretizzarsi quella che era l’idea iniziale: una cronaca della Conferenza che ne segue l’intero svolgimento attraverso gli alti e bassi che l’hanno caratterizzata.
Leggendo i resoconti delle varie giornate si avrà modo di guardare in filigrana come le speranze o i timori delle varie parti si sono trasformati in realtà o sono miseramente falliti. Gli eventi sono stati seguiti con l’ottica di chi assume fondato il paradigma del cambiamento climatico di origine antropica, quindi dal punto di vista di chi è convinto della necessità di un accordo che limiti le emissioni di CO2 connesse alle attività umane. Appaiono pertanto preziose le considerazioni del prof. L. Mariani riportate in appendice, in quanto consentono di confrontare con la dura realtà le speranze di chi vedeva nella COP 21 l’ultima spiaggia per risolvere i problemi del mondo.
A Parigi abbiamo assistito ad una Conferenza economica in cui le varie parti hanno operato in modo tale da farsi il minor danno possibile. Sul tavolo era in gioco la credibilità politica di leader che da anni si dichiarano a favore di un accordo ambizioso, vincolante giuridicamente ed equo che risolva una volta per tutte le problematiche ambientali connesse alle emissioni di gas serra. Dall’altro si doveva cercare di non distruggere definitivamente l’economia mondiale attraverso l’adozione di misure che avrebbero potuto ostacolare fortemente lo sviluppo dei paesi industrializzati e non solo. L’accordo che ne è venuto fuori è un classico accordo di compromesso. Esso non è giuridicamente vincolante come ha onestamente ammesso uno dei suoi padri, forse il principale, cioè il presidente degli USA B. Obama nella tradizionale conferenza di fine anno. I Paesi in via di sviluppo sono stati accontentati solo in parte. Essi chiedevano di essere esclusi da ogni limitazione alle emissioni in nome della “responsabilità storica” dei Paesi sviluppati, ma non sono riusciti a raggiungere l’obbiettivo: in forma piuttosto diplomatica nell’accordo è scritto a chiare lettere che tutti devono ridurre le proprie emissioni con l’unico limite di non danneggiare le proprie economie e, quindi, le aspettative di benessere dei propri cittadini. In forma assolutamente non diplomatica è scritto, invece, che non esiste alcuna responsabilità dei Paesi industriali nei cambiamenti climatici verificatisi fino ad oggi e per il futuro: non sia mai che a qualcuno venisse voglia di adire le vie legali.
Anche il raggiungimento dell’obbiettivo del trasferimento di risorse finanziarie e tecnologiche dal nord al sud del Mondo è stato raggiunto solo in parte: i Paesi in via di sviluppo riceveranno 100 miliardi di dollari all’anno da qui al 2020, forse al 2025, ma dal 2025 in poi si dovranno nuovamente negoziare gli aiuti in base allo stato degli eventi. L’unico obbiettivo che sembra essere stato raggiunto è quello di contenere le temperature medie globali, ben al di sotto dei 2°C rispetto all’era pre-industriale con l’aspirazione di poterle contenere entro 1,5°C rispetto al periodo precedente lo sviluppo industriale. Si tratta solo ed esclusivamente di quella che i legali definiscono una “clausola di stile”. Nella sostanza entrambi gli obiettivi sono irraggiungibili in quanto gli impegni volontari degli Stati, ripeto, non vincolanti giuridicamente, per generale ammissioni degli scienziati che si occupano del presunto cambiamento climatico di origine antropica, determineranno un aumento delle temperature globali di 2,7°C rispetto all’epoca pre-industriale. Mancando qualsiasi strumento coercitivo per costringere gli Stati a ridurre le proprie emissioni, ci si rende conto che anche questo “successo”, in realtà, è una semplice utopia.
Per usare le parole di J. Hansen, noto scienziato ed attivista climatico, giustamente considerato il padre della teoria dell’AGW, l’accordo di Parigi deve essere considerato una “truffa” in quanto è un involucro vuoto, un simulacro da offrire in pasto al circolo mediatico ed alle associazioni ambientaliste e caritatevoli. Detto in termini più soft è un accordo di Kyoto a cui hanno aderito molti più Paesi: ben 195.
Quali saranno i suoi effetti nel futuro più o meno prossimo? Difficile dirlo con certezza. Se i Paesi che vi hanno aderito manterranno fede a tutto ciò che in esso è scritto, in un periodo imprecisato della seconda metà di questo secolo si raggiungerà il punto di “neutralità delle emissioni” obiettivo che, allo stato, ha bisogno di essere meglio definito. In caso contrario, se cioè, i Paesi aderenti non manterranno fede ai propri impegni e/o non li rinnoveranno, non succederà assolutamente nulla di diverso da oggi: le emissioni continueranno a crescere, forse con ritmo minore rispetto ad oggi, fino a che non si esauriranno le riserve di fonti energetiche fossili o fino a che non verrà implementata una fonte energetica veramente economica ed efficiente che non dia luogo ad emissioni (fusione nucleare, per esempio) ed alternativa alle fonti fossili. Ed il clima? Probabilmente continuerà a variare come ha sempre fatto. Un po’ per cause naturali ed un po’ per cause antropiche. Quanto delle une e quanto delle altre? Oggi come oggi non mi sembra che esistano dati tali da consentire di rispondere definitivamente a questa domanda.
Scarica la “storia” della COP21 di Parigi
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