Avevo la speranza (flebile, a dire il vero) di poter chiudere con questa pagina il lungo diario della COP21, ma come avevo già paventato ieri, avremo una “coda negoziale” che ci porterà a sabato mattina: si spera che alle 9,00 AM il presidente L. Fabius riesca a licenziare l’accordo che, parole del segretario generale ONU, ha avuto la gestazione più lunga e faticosa che si ricordi.
Come sarà questo accordo? Ambizioso, vincolante, equo, giusto, si diceva all’inizio della Conferenza delle Parti. Strada facendo è diventato sempre meno ambizioso, sempre meno vincolante e sempre meno giusto ed equo (in base al significato che a queste parole avevano dato le massime autorità politiche e morali dell’Orbe terracqueo).
L’ambizione era quella di fissare ad 1,5°C il livello dell’incremento delle temperature rispetto all’era pre-industriale. Questa tesi era stata lanciata dai piccoli stati insulari e dai Paesi africani e fatta propria da UE, Australia, Canada ed USA. Alla fine si è annacquata molto come ho scritto ieri: il limite non è stato definito in modo chiaro (ben al di sotto di 2°C) che significa tutto e niente. Anche 1,99 °C è inferiore a 2°C, ma trattandosi di temperature globali significa 2°C senza se e senza ma. 1,5°C viene inserito nel testo come un obiettivo a cui tendere: io tendo tutti i santi giorni a dimagrire e mi sembra anche di riuscirci, ma la bilancia, con il suo insindacabile responso, mi fa capire che le mie erano solo pie illusioni. Lo stesso succederà per il fantomatico 1,5°C: una pia illusione che serve ad imbiancare qualche sepolcro.
L’accordo sarebbe stato serio se effettivamente si fosse individuato un meccanismo di contabilità delle emissioni chiaro e trasparente con un sistema di sanzioni altrettanto rigorose. L’opposizione degli USA e di altri Paesi ha mandato tutto in fumo: un accordo vincolante non sarebbe mai stato ratificato dal Congresso USA e, quindi, sarebbe stato lettera morta per tutti.
L’accordo sarebbe stato equo e giusto se avesse individuato un chiaro meccanismo di attribuzione di quote di emissioni ad ogni singolo stato sulla base della responsabilità storica dei Paesi con maggiori emissioni e se avesse individuato un chiaro meccanismo di trasferimento di risorse dal nord al sud del mondo per attenuare gli effetti del cambiamento climatico. Sempre gli USA hanno preteso, e in parte ottenuto, che la responsabilità storica fosse messa da parte (se non in toto, in buona sostanza) in quanto “gli USA sono uno dei Paesi che avrà forti impatti socio-economici dai cambiamenti climatici”. In base al meccanismo dei “danni e perdite” gli Stati Uniti devono considerarsi, pertanto, alla stregua di un qualunque Paese vulnerabile. Questo ragionamento ha trasformato ogni Paese (sviluppato o in via di sviluppo), contemporaneamente, in un donatore ed in un ricevente.
Questa la sostanza delle cose. Poi le chiacchiere seguono il loro corso e vanno bene per chi vuol farsi prendere per i fondelli. Mi è piaciuta molto, per il suo elevato grado di realismo, una dichiarazione del Vice ministro degli Esteri cinese, Lui Jianmin.
Egli ha in primo luogo definito per quello che è la “coalizione degli ambiziosi”: una “performance”, ovvero un guscio vuoto ed inutile.
Dice: “Abbiamo sentito di questa cosiddetta coalizione degli ambiziosi solo pochi giorni fa, certo ha avuto un alto profilo nei media, ma non abbiamo visto nessuna azione per ottenere impegni di emissione ambiziosi, quindi questa è una specie di prestazione da parte di alcuni membri “.
Quando si dice pane al pane e vino al vino!
La Cina è stata accusata da alcuni negoziatori di abbassare il livello di ambizione a lungo termine dell’accordo in base al fatto che giovedì sera si era opposta ad un accordo che prevedesse una clausola che mirasse alla “neutralità delle emissioni di gas serra”.
Il vice ministro cinese ha chiarito in modo ineccepibile la posizione del suo Paese: per la Cina il problema sta nel fatto che non c’è una chiara definizione del termine. Ed io, per quel poco che può valere, sono completamente d’accordo con lui.
“E’ sbagliato dire che la Cina sta bloccando il concetto di neutralità climatica – ha sostenuto – abbiamo sollevato una preoccupazione, perché questo è un concetto nuovo, non esiste una definizione, non capiamo se non si conosce il concetto perché si dovrebbe mettere in un accordo giuridicamente vincolante”. Come dargli torto?
Per il resto sono un po’ meno d’accordo, ma vale la pena di conoscere la posizione ufficiale di uno dei Paesi sulle cui spalle verrà gettata la croce di aver impedito un accordo ambizioso, ecc., ecc..
Egli ha, infatti, difeso la posizione della Cina su un altro punto critico: il tentativo di avviare un processo il cui scopo finale è quello di spostare tutti i paesi in un unico sistema di comunicazione, revisione e riduzione delle emissioni.
“Non è solo la richiesta della Cina – sostiene – è una richiesta di tutti i paesi in via di sviluppo, non si dovrebbe far passare il messaggio che questo è ciò che richiede la Cina … la nostra capacità e le condizioni nazionali sono tali che avremo ancora qualche difficoltà … e quindi è necessario avere qualche incoraggiamento. Dobbiamo evitare eventuali misure punitive o intrusive [sui Paesi in via di sviluppo]”.
Lui Jianmin ha messo in evidenza come il segretario di Stato John Kerry avesse parlato della “difficoltà domestica” incontrata dagli Stati Uniti se gli obiettivi nazionali facessero parte di un accordo giuridicamente vincolante a Parigi.
“Penso – ha detto, ricordando la cooperazione tra Cina e USA– che tutti i membri [della COP] direbbero che è necessario che l’accordo di Parigi comprenda anche gli Stati Uniti, il più grande paese del mondo sviluppato, e che essi [gli USA] dovrebbero essere partecipi nella ricerca di una soluzione accettabile per tutti”.
Il vice ministro cinese ha concluso la sua conferenza stampa auspicando che il gruppo dei Paesi sviluppati – comprendente Stati Uniti, Canada, Nuova Zelanda e Australia – avrebbe “dato prova di flessibilità”, aderendo alle richieste del mondo in via di sviluppo affinché il nuovo accordo continui ad applicare il concetto di “differenziazione” tra nazioni ricche e nazioni povere.
Ho voluto riportare questo intervento perché esso mi sembra paradigmatico per comprendere le ipocrisie, i machiavellismi (mi perdoni il grande Niccolò) e le manovre politico-diplomatiche-economiche in corso a Parigi.
E per chiarirsi meglio le idee circa il clima di Parigi, infine, potrebbe essere utile la lettura di questo articolo di The Guardian (per chi non l’avesse capito gran parte delle notizie di cui mi sono servito in questi giorni sono tratte da articoli di The Guardian e Le Monde, le uniche testate che hanno integralmente ed oggettivamente coperto la COP21, oltre CM, si intende 🙂 ). Per i più pigri un assaggio.
“Barack Obama ha telefonato al leader cinese, Xi Jinping, in un ultimo disperato tentativo [l’enfasi è mia] di raggiungere un accordo sui cambiamenti climatici ai colloqui sul clima delle Nazioni Unite a Parigi che possa essere reso noto sabato.
Dato che i negoziati sono andati ai tempi di recupero – qualcosa che è accaduto praticamente in tutte le riunioni degli ultimi 20 anni – Laurent Fabius, il ministro degli esteri francese ha chiesto un periodo di riflessione per consentire un più alto livello di lobbying a porte chiuse. Fabius ha cancellato le sessioni plenarie pubbliche programmate, che rischiano di essere inutili, e ha dato spazio a riunioni a porte chiuse in un’ ultima spinta verso un accordo.
I padroni di casa francesi sono ancora fiduciosi in una bozza finale del testo – la struttura portante di un accordo sul cambiamento climatico – che sia pronta per Sabato, quando sono pianificate le proteste pacifiche degli attivisti del clima in tutta Parigi. Gruppi della società civile, durante una manifestazione sotto la Torre Eiffel, da tenersi se e quando si raggiungerà un accordo, distribuiranno migliaia di tulipani rossi a rappresentare linee rosse che dicono non devono essere attraversate.
Nonostante gli sforzi di Obama con il presidente cinese per ottenere un accordo politico, rimangono, però, tra Stati Uniti, India e Cina molti punti di disaccordo..
Ban Ki-moon, il segretario generale delle Nazioni Unite, ha detto che i colloqui sono stati i negoziati più difficili e complicati in cui sia mai stato coinvolto.
[box type=”info”] A margine dell’impagabile lavoro che Donato ha fatto in questi giorni per le nostre pagine, che tra qualche ora bene o male avrà una fine, vorrei introdurre un elemento di riflessione su quanto sta accadendo a Parigi o, più in generale, nelle sedi più o meno varie in cui hanno luogo queste adunate salvifiche. Appare chiaro, quale sia l’esito atteso per la consueta appendice di grande effetto mediatico, che si finisce come si è cominciato. Tutti sapevano che il grande trainatore, il presidente USA, giocava con carte non sue, in quanto non sostenuto dagli equilibri politici domestici. Infatti Kerry ieri ha fatto sapere che un accordo vincolante avrebbe provocato l’abbandono del tavolo da parte dei Paesi sviluppati. Oggi, ho capito le ragioni di questa minaccia ascoltando una cronaca alla radio. Il problema è che un accordo non vincolate cadrebbe sotto la convenzione quadro dell’UNFCCC, già ratificata dai partecipanti (USA compresi) e sarebbe automaticamente recepito da ogni paese. Un accordo diverso, ovvero con vincoli – quindi con impatto e effetto diverso sui cittadini – dovrebbe essere ratificato. E, negli USA, ma non solo, sarebbe probabilmente bocciato, per quell’impatto e per quegli effetti, secondo le regole che la comunità internazionale e i singoli paesi si sono dati. Regole di democrazia. Augurarsi che ci sia comunque un accordo, promuoverlo, per aggirare queste regole, è inaccettabile. Mi chiedo se i volenterosi manifestanti che domani, dopo le firme, sfileranno portando dei tulipani rossi sotto la Tour Eiffel – questo è il programma, per chi non lo sapesse, quindi mentre scrivo qualcuno li sta cogliendo – hanno mai realizzato o realizzeranno mai di essere lo strumento attraverso il quale si sta abolendo il processo democratico. A meno che, per democrazia non si intenda più che deve decidere la gente, ma che deve decidere quella e solo quella porzione di gente convinta di essere nel giusto, costi quel che costi. gg
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Infine, cosa si sarebbe deciso (?) Che le temperature non cresceranno oltre quanto indicato. Fantastico!
Nel contempo, si sono indicate cose generiche ma comunque condivisibili, salvo poi dar loro un’interpretazione ancora una volta fuorviante e illusoria.
Quindi sforzi per migliorare le tecnologie e favorire lo sviluppo dei Paesi sottosviluppati.
Chi ragiona pensa lo si debba fare con un trasferimento tecnologico dai Paesi avanzati con impianti tecnologicamente avanzati e più efficienti, ma evidentemente con l’utilizzo dei combustibili convenzionali che posso permettere ciò.
Altri, speculativamente, interpretano che tale sviluppo dei Paesi poveri debba avvenire con le fonti rinnovabili, ciò continuando a mantenere ed anzi aggravando il divario tra benessere e miseria.
Le conferenze sul clima non le ho mai sopportate.
Troppo focalizzate su parametri aleatori o difficilmente misurabili, ma soprattutto non controllabili.
Non si doveva cioè puntare sul macro, ma sul micro.
Da tecnico “ecologista” ritengo che se a Kyoto nel ’97 si partiva con un altro piede, quello degli standard tecnici, oggi gli apparati “inquinanti” sarebbero già in buona parte tecnologicamente e/o impiantisticamente diversi o comunque aggiornati alle Best Available Technologies…
e non saremmo qui a lesinare sul decimo di grado.
Iniziamo a porci obiettivi comuni su scooter, Camion, Auto, caldaie, centrali termoelettriche, altiforni, ecc… e su come controllarli (vedi scandalo VW).
Poi ci sarà tutto il tempo di verificare anche la temperatura media planetaria o altri parametri più o meno significativi.
Faccio un esempio banale : chi avrebbe mai detto, negli anni ’80 , che a breve tutto il parco ciclomotori sarebbe stato sostituito da mezzi meno inquinanti ? E che dai distributori la “miscela” sarebbe sparita ? Eppure è andata proprio così.
E senza tante conferenze sul clima.
Prima i tecnici e poi i politici.
Altrimenti diventa tutto una pagliacciata.
Così come lo sono state le conferenze sul clima degli ultimi 20 anni.
Dopo la stesura di queste righe ho saputo che l’annuncio dell’accordo è stato posticipato alle 11,30 di oggi. Sarà vero? Boh!
Ciao, Donato.