Ci eravamo lasciati sabato commentando la bozza di accordo che i negoziatori avevano consegnato a L. Fabius.
La giornata di domenica è passata sotto silenzio: i tecnici hanno preparato delle sintesi per i rispettivi ministri che stavano giungendo a Parigi. Districarsi nella giungla di parentesi e di opzioni che caratterizzano la bozza è sicuramente un problema anche per loro.
I ministri maggiormente in difficoltà sembra siano quelli africani provenienti da Paesi francofoni: per loro sembra piuttosto difficile riuscire ad orientarsi con la lingua inglese che è la lingua in cui è stata scritta la bozza ed è quella usata nelle assemblee. A parte la lingua il problema per loro è un altro: fino a che punto possono cedere di fronte alle posizioni dei Paesi sviluppati?
Mancano solo cinque giorni (anche se il primo a quest’ora è già trascorso) e la carne al fuoco è molta, ma gli scogli che si frappongono tra l’accordo ed il suo fallimento sono sempre gli stessi. Delineiamo per l’ennesima volta le posizioni a partire da quelle dei Paesi in via di sviluppo comprese la Cina e l’India. Essi sostengono che sia necessario:
- attivare forti trasferimenti di tecnologie e capitali dai Paesi sviluppati a quelli in via di sviluppo
- affermare la responsabilità storica dei Paesi sviluppati riguardo al cambiamento climatico
- limitare l’aumento della temperatura globale ad 1,5°C
- attribuire valore legale agli obblighi assunti in sede di accordo
- verificare con cadenza quinquennale il rispetto degli impegni assunti in sede di accordo.
I Paesi sviluppati hanno cercato di ammorbidire molte delle richieste (piuttosto impegnative) avanzate dai Paesi in via di sviluppo e, in particolare, hanno fatto inserire nella bozza opzioni che riguardano tutti i punti di disaccordo:
- l’obbligo del trasferimento di tecnologie e capitali non deve riguardare solo i Paesi sviluppati, ma anche quelli “che possono farlo” (il riferimento è ai Paesi che hanno completato buona parte del loro percorso verso lo sviluppo come Cina, India, Brasile, ecc.)
- i limiti alle emissioni devono riguardare tutti i Paesi indipendentemente dal fatto che siano sviluppati o meno
- il limite all’aumento delle temperature deve essere di 2°C
- gli accordi devono essere vincolanti solo su alcuni aspetti e volontari su altri
- non deve essere prevista una cadenza fissa per verificare il raggiungimento degli obbiettivi su cui i vari Paesi si sono impegnati (com’è oggi, in buona sostanza).
Ho esposto in estrema sintesi i punti di disaccordo (che poi sono sempre gli stessi da decenni) e individuato gli estremi delle posizioni su di essi. Da questi estremi bisogna partire per accordarsi. La vicinanza del punto di intesa agli estremi di partenza stabilirà chi ha vinto e chi ha perso. Qui si gioca tutta la partita.
Nel frattempo il presidente della Conferenza ha stabilito nuove regole per condurre le trattative tra i ministri: due co-presidenti/facilitatori devono guidare quattro gruppi di lavoro che dovranno occuparsi dei punti maggiormente controversi dell’accordo, più un quinto gruppo che si occuperà dei problemi linguistici e giuridici. Ciò allo scopo di ottenere la versione finale dell’accordo già mercoledì sera. Ogni giorno questi co-presidenti/facilitatori dovranno riunirsi in quello che è stato battezzato “comitato di Parigi” e riferire a tutti gli altri lo stato di avanzamento dei lavori dei rispettivi gruppi. Dei risultati di questo incontro dovranno essere informati tutti i ministri presenti alla COP. Il ministro del Sud Africa ha fatto notare che un simile metodo era già stato usato alla COP di Durban: cosa avrà voluto dire?
I co-presidenti/facilitatori dei vari gruppi di lavoro, quattordici in tutto, dovranno essere scelti sulla base della loro esperienza in fatto di COP: più se ne sono fatte e maggiori titoli si posseggono. Per quel che riguarda la giornata di oggi alle 23,30 nessuna notizia è trapelata circa i risultati della prima giornata di lavori: il comitato è iniziato alle 21,00.
Come andrà a finire? Qualcuno pensa che l’accordo sarà raggiunto per …. stanchezza dei partecipanti. Si avete capito bene. I Paesi sviluppati si sono presentati alla COP con nugoli di negoziatori che si danno regolarmente il cambio, gli altri, i Paesi in via di sviluppo, non si sono potuti permettere delegazioni altrettanto numerose per cui i loro negoziatori sono sull’orlo del collasso fisico: in media dormono tre ore per notte. In questo quadro si teme che, pur di farla finita, alla fine accetteranno accordi molto al ribasso rispetto alle posizioni di partenza e quindi, molto vicini alle condizioni poste dai Paesi sviluppati. Si ha la netta impressione, insomma, che l’accordo ci sarà, sarà spacciato per molto ambizioso, ma rispetto alle ambizioni dei Paesi in via di sviluppo sarà un “accordicchio” poco ambizioso. Avranno i Paesi in via di sviluppo il coraggio di far saltare il tavolo e mettere a nudo le profonde contraddizioni di un mondo sviluppato ambizioso solo a parole? Credo proprio di no. Come ha scritto il rappresentante di Greenpeace M. Kaiser certamente ci sarà un accordo, ma povero di contenuti. Io concordo con lui.
Piccola consueta nota di colore: oggi è arrivato alla COP anche A. Schwarzenegger. Ne hanno dato notizia tutte le agenzie di stampa. Non ho capito bene quale sia la sua funzione, ha detto, però, che è inutile preoccuparsi dei cambiamenti climatici dopo il 2050 mentre sarebbe molto utile discutere dei morti provocati dall’inquinamento oggi. A titolo di esempio ha citato il cancro: non mi sembra che esso sia causato dal cambiamento climatico o dalla CO2 che, ad oggi, di tutto può essere accusata tranne che di essere cancerogena. Boh, forse non si è reso conto che a Parigi si sta discutendo proprio di ciò che lui vorrebbe non si discutesse. Vai a capire i casi della vita!
Mi sembra evidente che il nodo sia il limite a 1.5 Richiesto dai paesi non sviluppati e il 2 richiesto da quelli sviluppati. Significherebbe potenziare le economia più povere a danno delle più evolute (in termini di produzione e concorrenza). Ancora una volta il tema si gioca sulle economie, anzi sul gioco delle economie. Chissà se l’orso polare è interessato visto che alla fine, come per il flit, tutto deve ricadere su di lui: forse però sta volta ci pensa sfarzenegger con un total recall.
Si solo economia e nulla più. Del clima, dell’ambiente e via cantando non frega niente a nessuno ad eccezione degli attivisti e delle ong (fino ad un certo punto, però).
Ciao, Donato.