[box type=”info”] Nei giorni scorsi, anche a seguito del deludente appello sottoscritto da 12 società scientifiche italiane (qui per i lettori di CM) sono stato sollecitato da alcuni amici (Uberto Crescenti, Sergio Pinna e altri) a redigere la bozza di una sorta di “Appello alla ragione” volto a contrastate l’alluvione catastrofista che si sta verificando a margine delle trattative COP21 in corso a Parigi. Per venire incontro a tale richiesta ho provato a redigere il testo qui di seguito riportato, che sottopongo alla riflessione dei lettori auspicando suggerimenti anche critici. Se tale azione di review avrà successo potremmo in effetti pensare ad una sorta di “Appello” di Climatemonitor, cosa a cui si era già in passato riflettuto senza giungere poi ad alcuna conclusione.[/box]
Premessa
“Nullius in verba” (o, se si preferisce, “stiamo ai dati e lasciamo da parte gli artifici retorici, alias slogan”) è il motto della celeberrima associazione scientifica britannica Royal Society, la quale fin dalla sua fondazione, avvenuta il 28 novembre 1660 per iniziativa di John Evelyn, ha lo scopo di promuovere l’eccellenza scientifica per il benessere della società.
Questo motto torna alla mente in questi giorni in cui assistiamo alla messa in onda sui principali mezzi di comunicazione nazionali ed internazionali di una “fine del mondo prossima ventura” fatta di mari che salgono, deserti che avanzano, ghiacci che fondono, ondate di caldo inarrestabili e bombe d’acqua.
Di fronte a questa alluvione retorica volta a condizionare la COP21 di Parigi non basta limitarsi ad attendere che la stessa si esaurisca. Pertanto qui di seguito si sono posti alcuni paletti basati su letteratura scientifica recente e che è necessario richiamare al fine di ristabilire l’“Est modus in rebus” cui ci richiamava Orazio (Satire 1, 1, 106-107), evitando che sia la spinta emotiva a condizionare decisioni che dovrebbero essere assunte su base razionale e cioè a partire da dati di buona qualità interpretati in modo equilibrato.
Temperature globali
Dopo la fine della piccola era glaciale, fase fredda che ha interessato più direttamente il XVIII e XIX secolo toccando il proprio apice nel freddissimo 1816, il famoso anno senza estate, le temperature globali hanno ripreso a salire (“grazie a Dio”, perché fare agricoltura prima che la “perfida azione dell’uomo” iniziasse ad alterare il clima era assai più proibitivo rispetto ad oggi).
Circa l’andamento delle temperature globali al suolo, secondo il dataset internazionale Hadcrut4 per il periodo 1850-2015 (CRU di East Anglia University e Hadley Center) ad una fase di aumento che ha avuto il proprio apice nel 1878 (+0.5°C rispetto al 1850) ha fatto seguito una fase di decremento con minimo nel 1911 (-0.2°C rispetto al 1850). Al un nuovo incremento fino al 1945 (che si è collocato a +0.5°C rispetto al 1850) è seguita una diminuzione protrattasi fino al 1976 (anno che a livello globale si colloca a soli +0.1°C rispetto al 1850). Dal 1977 al 1998 le temperature globali sono di nuovo aumentate portandosi nel 1998 a +0.85°C rispetto al 1850. Dal 1998 ad oggi infine si è osservato un lieve aumento residuo che tuttavia non trova conferma nei dati da satellite MSU relativi alla bassa troposfera e che indicano la sostanziale stazionarietà delle temperature globali dopo il 1998.
Occorre evidenziare che la salita delle temperature fino ai valori odierni è stata tutt’altro che continua, nel senso che a un trend di incremento pari a +0.85°C dal 1850 ad oggi si è costantemente sovrapposta una ciclicità sessantennale che ha mostrato minimi negli anni 1850, 1910, 1977 e massimi negli anni 1878, 1945 e 1998. Inoltre si è assistito ad una accentuata variabilità interannuale con la rapida alternanza di annate più calde e più fredde.
Oggi sappiamo che la ciclicità sessantennale è imposta da una ciclicità delle temperature marine che per il Nord Atlantico è espressa dall’indice AMO, fenomeno del tutto naturale e la cui presenza è dimostrata per lo meno per gli ultimi 8000 anni (Knudsen et al 2011). La grande variabilità interannuale è anch’essa un fenomeno del tutto naturale e che deriva dall’alternarsi di regimi circolatori diversi. La sua presenza anche remota ci è mostrata ad esempio dalla serie storica delle date di vendemmia in Borgogna dal 1370 ad oggi (Labbé e Gaveau, 2013).
Sul trend di +0.85°C non possiamo invece escludere l’influenza umana legata all’emissione di gas serra di origine antropica (anidride carbonica, metano, protossido d’azoto) cui si sovrappongono fenomeni naturali come l’attività solare. In tal senso Ziskin & Shaviv (2012), applicando un Energy Balance Model, hanno stimato che il 60% del trend crescente delle temperature osservato nel XX secolo è di origine antropica ed il 40% e di origine solare.
Lo studio del paleoclima ci indica che l’olocene è stato interessato da episodi caldi (gli optimum postglaciali) fra cui rammentiamo il grande optimum postglaciale, l’optimum miceneo, l’optimum romano, l’optimum medioevale e la fase di riscaldamento attuale. A tali fasi si sono alternate fasi di “deterioramento” segnate da cali termici ed avanzate glaciali. Per inciso l’uso di “optimum” e “deterioramento” non è affatto casuale e gli optimum erano così chiamati i quanto la vita era più facile, la mortalità più ridotta e le fonti di cibo ed energia più abbondanti. Lo stesso fondatore della teoria dell’Anthropogenic Global Warming (AGW), Svante Arrenius, vedeva nel riscaldamento globale da CO2 uno fenomeno positivo poiché in grado di rendere più vivibili e meglio fruibili per l’uomo i gelidi areali nordeuropei, sogno questo che si starebbe oggi avverando.
Anidride carbonica
Secondi i dati rilevati a Mauna Loa (NOAA, 2015) i livelli atmosferici di CO2 sono passati da 315 ppmv del 1958 alle 400 odierne con un incremento medio di 1.5 ppmv/anno. Tale incremento è soggetto ad una sensibile ciclicità stagionale per effetto della quale la CO2 cala di circa 6 ppmv ogni anno in coincidenza dell’estate boreale per poi risalire all’avvicinarsi del’inverno boreale. Tale fenomeno è sintomo dell’efficacia della vegetazione spontanea e coltivata nell’incamerare CO2 trasformandola in biomassa.
L’anidride carbonica è il principale gas serra emesso dall’uomo e tramite il processo di fotosintesi è il mattone più essenziale della vita sul nostro pianeta. In proposito invito tutti alla seguente riflessione: I 70 grammi di pasta di cui a pranzo si nutre un consumatore medio italiano contengono 70 * 44/30 = 103 g di CO2. Insomma: niente CO2 niente pappa. La succitata serie di Mauna Loa mostra inoltre un sensibile variabilità stagionale con massimo invernale e minimo estivo di 6-7 ppmv più basso del massimo invernale precedente. Ciò mostra la grande efficacia delle piante spontanee e coltivate nell’assorbire CO2 atmosferica trasformandola in biomassa vegetale.
Sarebbe auspicabile dunque interrompere il “lavaggio del cervello” in nome del quale la CO2 viene indicata come un veleno in quanto ciò è anzitutto contrario alla verità. In proposito penso che se non si coglie l’essenza dell’anidride carbonica non si potrà mai pensare di regolarne i livelli atmosferici.
Produzione di cibo
Grazie alle innovazioni tecnologiche introdotte in agricoltura nei settori della genetica e delle tecniche colturali, cui si sono associate la mitezza del clima a valle della piccola era glaciale ed i crescenti livelli di CO2, le produzioni delle culture che nutrono il mondo (mais, riso, frumento, soia) sono aumentate in termini prima impensabili, quintuplicandosi o sestuplicandosi negli ultimi 100 anni. Tale fenomeno è tuttora in corso come mostrano le statistiche FAO che indiano aumenti produttivi annui del 6.5% per il mais, del 5.1% per il riso, del 4.2% per il frumento e del 2.5% per la soia. Peraltro il sensibile incremento delle rese ettariali delle principali colture agrarie cui assistiamo da oltre un secolo ha ridotto la percentuale di esseri umani che sono al disotto della soglia di sicurezza alimentare (dal 50% della popolazione mondiale nel 1945 all’11% della tessa nel 2013, secondo dati FAO).
Al riguardo si sottolinea che:
- Un “clima impazzito” non potrebbe in alcun modo giustificare incrementi produttivi tanto lusinghieri
- Se il riportare con una bacchetta magica la CO2 ai livelli per-industriali è per molti di noi un sogno, per chi scrive è un vero incubo in quanto la produzione annua delle colture agrarie calerebbe grossomodo del 30% (Araus, 2003; Sage, 1995; Sage & Coleman, 2001), dando luogo una catastrofe alimentare senza precedenti.
Global greening
Il fenomeno è anch’esso effetto degli accresciuti livelli atmosferici di CO2, in virtù dei quali non solo le piante crescono di più ma sono anche meno esposte al rischio di siccità in quanto, trovando più facilmente la CO2 nell’atmosfera, possono permettersi si produrre meno stomi limitando così le perdite idriche. Il global greening sta oggi facendo arretrare i deserti in tutto il mondo come ci dimostrano in modo inoppugnabile le immagini satellitari (Hermann et al., 2005; Helldén e Tottrup, 2008; Sitch et al. 2015).
Ghiacciai artici e antartici
Secondo questo database (The Cryosphere Today) le superfici glaciali artiche e antartiche stanno comportandosi in modo diversificato. Se facciamo riferimento alle superfici glaciali marine l’Artide mostra un calo generalizzato dal 1997 al 2007, anno dopo il quale si assiste ad una relativa stabilizzazione. L’Antartide invece ha manifestato una graduale espansione a partire dagli anni ‘90 ed il guadagno in volume di ghiaccio oggi eccede le perdite (Zwally H.J. etal, 2015). Nello specifico i dati ICESat 2003–08 mostrano guadagni in massa annui di 82 ± 25 Gt che riducono l’amento del livello del mare di 0.23 mm per anno mentre i dati dell’European Remote-sensing Satellite (ERS) 1992–2001 indicano un guadagno annuo simile (+112 ± 61 Gt).
Spingendosi indietro nel tempo si deve segnalare che i sondaggi eseguiti sulla calotta glaciale groenlandese dalla NASA mostrano che la massa glaciale groenlandese proviene in gran parte dall’olocene o dalla fase glaciale di Wurm, mentre pochissimo proviene dall’interglaciale precedente e nulla è più antico (Mc Gregor et al., 2015). A ciò si aggiunga che sulla scogliera di Orosei è presente un battente di 125mila anni orsono che è di 8 metri al di sopra del livello marino attuale e che dimostra come le calotte glaciali fossero a quel tempo in gran parte fuse (Antonioli e Silenzi, 2007). Tutto ciò dimostra la potenza degli interglaciali precedenti al nostro nello sciogliere le calotte glaciali e ci spinge a domandarci quale fosse la causa che ha dato luogo a così imponenti processi di fusione delle calotte polari in assenza delle emissioni di CO2 umane. Una domanda che per ora resta senza risposta e che è costituisce una delle più palesi eccezioni alla teoria dell’Anthropogenic Global Warming (AGW).
Ghiacciai montani
Tali ghiacciai sono con poche eccezioni in arretramento come risulta dal catasto globale del World glacier monitoring service. Tale fenomeno è evidente anche per quanto riguarda i ghiacciai alpini.
Eventi termici estremi
Alle medie latitudini dell’emisfero Nord gli eventi termici estremi sono stazionari nel periodo 1979-2012 (Screen & Simmonds, 2014). Le analisi condotte sulla serie storica delle temperature di Milano Brera indicano invece un aumento delle ondate di caldo sull’Europa dopo il 1987 (Mariani, 2015).
Eventi pluviometrici estremi
Qui le cose sono assai meno chiare anche per la progressiva riduzione della qualità delle serie storiche di dati. Un esempio lampante in tal senso è offerto dal Sahel, area sub sahariana con superficie di 24.3 milioni di km2 (oltre 70 volte l’Italia) e ove nel 2003, anno in cui Dai et al. scrissero per l’International Journal of Climatology un articolo scientifico dedicato alla siccità in quell’area del mondo, risultavano operative solo 35 stazioni pluviometriche contro le 102 del 1991 e le 188 del 1971. In proposito si noti che con i dati di sole 35 stazioni è difficile descrivere la pluviometria di una delle regioni italiane, altro che quella del Sahel. Questo per inciso la dice lunga anche sull’attenzione che la comunità internazionale sta in realtà dedicando a tali problemi.
Tornando però a discorrere di piogge estreme, le evidenze osservative indicano che nella maggior parte delle aree mondiali non vi sono segnali di incremento nell’intensità degli eventi estremi. In proposito una ricerca pubblicata sul Journal of Climate nel 2013 a firma di Westra e altri ricercatori ha verificato le tendenze delle precipitazioni massime annue di un giorno per il periodo dal 1900 al 2009 (110 anni in tutto). Il lavoro è stato riferito ad un totale di 8326 stazioni terrestri che i ricercatori hanno ritenuto di “alta qualità” ed ha portato a concludere che il 2% delle stazioni mostra un decremento nelle piogge estreme, l’8% un incremento e il 90% non presenta alcuna tendenza significativa.
Si segnala inoltre che:
- I già citati Screen & Simmonds ( 2014) i quali lavorando su un dataset di rianalisi relativo alle medie latitudini dell’emisfero Nord hanno evidenziato la sostanziale stazionarietà degli eventi pluviometrici e termici estremi nel periodo 1979-2012
- Mariani e Parisi (2013), analizzando un vasto dataset di dati pluviometrici giornalieri per stazioni dell’area euro-mediterranea per il periodo 1973-2010 ed utilizzando lo schema di analisi proposto da Alpert et al. (2002) hanno evidenziato l’infondatezza dell’aumento parossistico delle piogge estreme giornaliere affermato dagli stessi Alpert et al. in un lavoro del 2002
- Fatichi e Caporali (2009), lavorando sulle serie storiche di precipitazione di 785 stazioni della Toscana per il periodo 1916-2003, hanno posto in evidenza l’assenza di trend nel regime precipitativo medio e nell’intensità degli eventi estremi di 3,6 e 12 h in pressoché tutte le stazioni analizzate
- Pinna (2014) analizza le piogge estreme per l’area mediterranea e per la Toscana evidenziando l‘assenza di trend rilevanti riferibili agli eventi pluviometrici estremi.
Eventi alluvionali
Diversi studi paleoclimatici evidenziano che la frequenza degli eventi alluvionali in Europa è stata sensibilmente più bassa durante le fasi calde (es: optimum romano, optimum medioevale) che durante quelle fredde (es: piccola era glaciale) (Wirt et al., 2013). Istruttiva può essere inoltre l’analisi del numero delle grandi alluvioni del Po (8 eventi noti nel XVIII secolo, 20 eventi nel XIX, 18 nel XX e 2 finora nel XXI).
Cicloni tropicali
Uno studio sull’energia liberata dal cicloni tropicali pubblicato da Maue (2011) mostra che tale energia (e dunque l’intensità dei cicloni tropicali stessi), dopo aver raggiunto un picco negli anni ’90, ha manifestato un graduale calo e si colloca ora su valori inferiori a quelli del 1970.
Mortalità da eventi termici estremi
A livello globale la mortalità nella popolazione da eventi termici estremi è nettamente più spiccata per il freddo che per il caldo. Uno studio a livello globale condotto da Gasparrini et al. (2015) e pubblicato su Lancet giunge alla seguente conclusione: ” La maggior parte del carico di mortalità globale correlato alla temperatura è riconducibile al contributo di freddo. Questo dato di fatto ha importanti implicazioni per la progettazione di interventi di sanità pubblica volti a ridurre al minimo le conseguenze sulla salute di temperature negative, e per le previsioni di effetti futuri degli scenari del cambiamento climatico.”
In sostanza l’aumento delle temperature globali si sta traducendo in una diminuzione della mortalità da eventi termici estremi che è evidenziata per l’Europa (Healy, 2003) e per gli USA. Ciò non toglie che non si debba prestare attenzione ad evitare la mortalità da caldo, ad esempio con il condizionamento dei locali o con interventi di mitigazione dell’isola di calore urbano nelle grandi città.
Mortalità da disastri naturali
La Federazione Internazionale delle Croci Rosse e Mezzalune Rosse (http://www.ifrc.org) ha pubblicato l’edizione 2015 del proprio “World disasters report”, che riporta dati su disastri naturali e tecnologici per il decennio 2005-2014 e che è consultabile a questo indirizzo.
Dal report risulta che il 2014 con un totale di 518 disastri naturali contro una media decennale di 631 è stato l’anno con il numero minimo di disastri di tutta la serie considerata e che minimo è risultato anche il numero dei morti (13847 contro una media di 83934). Il natural disaster database (http://www.emdat.be/) mostra dati analoghi con numero di disastri naturali in rapido calo dopo un picco toccato nel 2000 ed il numero di morti che, seppur con grande variabilità da un anno all’altro presenta un trend generale improntato al calo.
Livello degli oceani
Su questo sito sono riportati i dati CSIRO (serie da boe 1870-2000) e NASA (serie satellitari 1993-2015). Si osserva che dal 1870 al 2000 il livello è salito di 20 cm il che corrisponde ad un incremento di 1.5 mm/anno. I dati da satellite indicano invece che dal 1993 al 2015 l’aumento totale è stato di 8 cm, il che corrisponde ad un incremento di 3.24 mm/anno.
Acidificazione degli oceani
Le superfici marine avevano pH di 8.2 / 8.3 nel pre-industriale mentre oggi l’acidità è calata a 8.1 e dovrebbe portarsi a 7.7 / 7.9 nel 2100). I livelli di certezza riguardanti la risposta degli ecosistemi marini al calo del pH sono più bassi. A tale proposito occorre citare il lavoro di Georgiou et al. (2015) il quale con un esperimento di arricchimento in CO2 dell’oceano il cui ha dimostrato la capacità dei coralli di garantire l’omeostasi in termini di pH durante la calcificazione il che implica un elevato grado di resilienza rispetto all’acidificazione degli oceani. Peraltro gli autori scrivono che tale fenomeno non era stato fin qui posto in evidenza perché si era operato solo in ambienti di laboratorio senza mai eseguire verifiche sperimentali in “campo aperto”.
Priorità e conclusioni
L’elenco sopra riportato ci porta ad una visione chiaroscurale in cui le luci sono in complesso più delle ombre.
Tuttavia aldilà di come uno voglia leggere i dati qui presentati ci preme evidenziare che sarebbe auspicabile per tutti utilizzare al meglio quel ben di Dio che è costituito dalla CO2 atmosferica. Occorrerebbe provare ad immaginare un futuro veramente verde in cui un’agricoltura resa molto più produttiva grazie alle innovazioni nella genetica (OGM inclusi) e nelle agrotecniche possa divenire la fonte principale di sostanza organica per l’industria energetica, delle materie plastiche, ecc..
E’ inoltre cruciale:
- Privilegiare azioni di adattamento al cambiamento climatico le quali si stanno rivelando molto efficaci come mostra ad esempio la diminuzione delle vittime da disastri naturali e l’aumento della vita media a livello globale
- Tornare ad investire in modo coordinato e standardizzato in sistemi di monitoraggio meteorologico su cui oggi si sta investendo poco e male.
BIBLIOGRAFIA
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Gentile Gianluca Fusillo,
la ringrazio per quanto ha gentilmente espresso nella sua mail. Per timori di Offtopic non entro nel merito ma la rinvio alla mia risposta alla mail di Alberto Ferrari, in cui ci sono cose che riguardano anche il suo scritto.
Cordiali saluti.
Luigi Mariani
Complimenti al dott. Mariani per questa raccolta, azzarderei dire molto completa, sugli argomenti scottanti legati all’AGW.
Tuttavia, andando un po offtopic rispetto all’intero blog, spesso perdiamo di vista (più o meno volontariamente…soprattutto con riferimento ai capi di stato e a tutti coloro che hanno influenze decisionali) i veri problemi legati all’operato umano. Infatti più che di CO2 e le sue ripercussioni sul clima, si dovrebbe parlare di inquinanti che invadono tutti i comparti naturali, terra acqua e aria, da cui tutti gli esseri viventi, compreso l’uomo, deve trarre sostentamento. Dai PM ai pesticidi, dai PCB agli IPA, passando per metalli pesanti e…stili di vita, il cui impatto sulla saluta è ben documentato sia dalla letteratura scientifica che dai dati epidemiologici (Nullius in verba).
E’ ovvio che gli interessi economici spingono al consumo esasperato delle risorse del mercato, e fra queste ci troviamo tanto gli elementi della green economy (oggetto del COP di Parigi), quanto quelli legati a petrolio, pesticidi, ecc. Alias a Parigi si sta parlando di economia e basta!
Mio modestissimo parere.
Gianluca
Sono arrivato a questo articolo per vie traverse e apprezzo molto l’approccio e il riepilogo razionale dei dati di fatto. Tuttavia se il catastrofismo rischia di essere la moderna versione del grido “al lupo! al lupo!” con le immaginabili conseguenze riportate su scala mondiale qualora al catastrofismo subentrasse la sottovalutazione delle possibili conseguenze negative del contributo antropico al peggioramento dell’ambiente, temo che ci troveremmo di fronte ad un “bel problema”. Ovvero, la questione posta in termini scientifici a mio avviso non considera che esiste un livello “politico” (nel senso più nobile del termine) del problema ambientale e sottovaluta quindi la necessità di una efficace comunicazione dei possibili rischi e dei danni oggettivi già portati all’ambiente. E non si tratta solo di CO2. Non dobbiamo temere di dire la verità dei fatti per timore di strumentalizzazioni, ma le devastazioni umane all’ambiente ci sono e devono essere denunciate come pericolo reale. Visto che la disponibilità della CO2 aumenta le rese, allora non è così tragico l’incremento della cementificazione del territorio. E’ questo che ci verranno a dire? E’ una sensibilità complessiva nei confronti dell’equilibrio naturale che deve aumentare, non trascurando che (cito) “hanno stimato che il 60% del trend crescente delle temperature osservato nel XX secolo è di origine antropica ed il 40% e di origine solare” essendo quindi conseguente la necessità di consapevolezza e responsabilità da parte dell’uomo di essere parte attiva nell’influenzare cicli naturali senza aver mai capito e previsto le possibili conseguenze (positive o negative che siano) a livello mondiale. E se la conferenza di Parigi porta ad aumentare la visione prospettica sui cambiamenti indotti dal proprio agire sugli equilibri naturali mondiali, penso si possa tollerare qualche eccesso e semplificazione.
Gentile Alberto Ferrari,
la ringrazio per le valutazioni espresse rispetto alle quali mi sento di esprimere i seguenti commenti:
1. a mio avviso l’unico modo per affrontare i problemi (e lo dice il titolo stesso: “Nullius in verba”) sta nel partire da una visione quantitativa del reale, nel senso che se trascuriamo tale prospettiva siamo fritti, anche perché oggi siamo 7 miliardi e non 1,5 miliardi come nel 1900. Da ciò deriva che il problema delle cementificazione si combatte limitando la stessa e così dicasi per il problema degli inquinanti veri (SO2, NOx, Polveri, ecc.). Pensare che un “falso scopo” come la CO2 sia un buon mezzo per migliorare le cose mi pare irrazionale anche perchè ci espone al pericolo di marciare verso obiettivi dettati da altri (preoccupazione che peraltro traspare anche dalla mail di Gianluca Fusillo, sul cui contenuto non mi addentro per paura del offtopic).
2. Circa la cementificazione tenga conto che per l’agricoltura è un dei problemi più grossi perché ci stiamo giocando i più fertili terreni delle pianure dopo aver abbandonato al bosco quelli di montagna. Pertanto il mio timore è che nonostante la crescita delle rese (dovuta a clima più mite a a più CO2) se sottraiamo altri terreni fertili o rinunciamo alle tecnologie alo stato dell’arte diverrà in futuro difficile garantire sicurezza alimentare ai livelli cui la stiamo garantendo adesso. Al riguardo consideri che oggi abbiamo arativi per 1.5 miliardi di ettari per 7 miliardi di abitanti, per cui abbiamo 0.2 ettari per abitante, davvero pochissimo.
2. secondo analisi recenti (es: Marcott et al., 2013) il clima globale dopo la parentesi molto calda del grande optimum postglaciale (periodo tutt’altro che negativo per la civiltà umana perché d esempio l’agricoltura arrivò in Europa) è andato incontro ad un progressivo raffreddamento che ha avuto il suo culmine nella prima metà del 19° secolo, periodo in cui ad esempio fare agricoltura in val padana o nel centro-nord Europa era difficilissimo per le basse temperature e studiosi illustri arrivarono ad ipotizzare che la vite si sarebbe in futuro potuta fare solo in Nord Africa. Da ciò discende che potremmo forse giungere a pensare che l’aumento antropico di CO2 non sia stato in realtà un problema ma la soluzione a un problema ben più grave che si stava allora vivendo. In questo modo peraltro la pensava anche Svante Arrenius, vero padre della teoria AGW.
Cordiali saluti.
Luigi Mariani
Condivido pienamente l’iniziativa di produrre un documento che ponendo come base il “Nullius in verba” e sottolineando che tutto è nei dati, possa costituire un riferimento facilmente comprensibile per chi voglia farsi un’idea sulla questione.
Il documento proposto mi sembra corrispondere a queste caratteristiche.
Se posso aggiungere una considerazione suggerirei che potrebbe essere evidenziato il fatto che le previsioni formulate in base alla teoria dell’AGW si sono rivelate errate. E poiché la scienza è basata sulla verifica sperimentale delle ipotesi, essa è stata verificata ed è risultata confutata.
Saluti e buon lavoro.
ep
Mi congratulo anch’io con il prof. Mariani per l’equilibrio, l’obiettività e la coerenza scientifica di questo pezzo.
Saluto cordialmente
Luigi, un testo che più equilibrato, succinto, oggettivo e pregno di significato non si può: lo sottoscrivo parola per parola.
Ciao, Donato.
Complimenti per questo prezioso sito, che seguo con grande interesse da qualche anno. Mi permetto – visto proprio lo scopo del testo- di segnalare una piccola distrazione: l’espressione latina corretta è “Nullius in verba”.
Chiedo scusa per la svista, di cui come responsabile dell’editing mi assumo ogni responsabilità. Grazie per la segnalazione.
gg
In realtà quella di Guido è solo “omessa vigilanza”. La responsabilità è tutta mia: che Nullius (“di nessuno”) fosse il genitivo di Nullus lo so dalle scuole medie e tuttavia non mi sono accorto dell’errore.
Ringrazio tutti gli intervenuti per i commenti.
Al riguardo segnalo che a fine discussione ho intenzione di redigere una versione migliorata alla luce dei suggerimenti ricevuti, versione che pregherò poi Guido di mettere in rete.
Sono d’accordo sulla necessità di un pronunciamento di Climate Monitor rispetto al diluvio di catastrofi preannunciate dalla propaganda a sostegno di COP21.
L’articolo di Luigi Mariani, secondo me, risponde allo scopo di riportare un po’ di serietà nella forte iniezione di paura sparsa senza freni negli ultimi tempi (e non solo negli ultimi), anche con il mostrare sia le luci che le ombre derivabili dai dati.
Concordo anche nell’impostazione “agraria” di molti aspetti dell’articolo perché in qualche modo si deve rispondere al lavaggio del cervello che viene fatto continuamente sulla CO2 “brutta e cattiva”.
Su un punto non sarei d’accordo: la “acidificazione” degli oceani è un tipico concetto da visione catastrofica, quando quello che succede è una diminuzione della basicità degli stessi (da 8.7-8.6 a 8.1 al previsto 7.7-7.6). Non mi piacerebbe che venisse ulteriormente sostenuta l’idea che i nostri mari sono un ambiente acido (e che, nel “clima da tregenda” nel quale siamo immersi, si potesse immaginare di fare il bagno nell’acido
muriatico o peggio).
L’ampia bibliografia è senz’altro un elemento fondamentale a sostegno della serietà dell'”Appello alla ragione”.
Caro Zavatti, grazie per l’apprezzamento espresso.
Preciso che nell’usare il temine “acidificazione” non c’era alcuna vena catastrofista, trattandosi del termine che da sempre utilizzo per indicare una qualunque riduzione del pH, ad es. in una soluzione, qualunque sia il pH di partenza.
OK