La quarta giornata della COP21 si presenta avara di novità, almeno nella prima parte.
Oggi a Le Bourget si è visto J. Hansen che in una conferenza stampa ha espresso tutto il suo scetticismo (si anche lui è scettico su qualcosa) sull’utilità della COP21. Il discorso di Hansen è condivisibile ed apprezzabile, la sua logica è ineccepibile: le emissioni sono prodotte per il 25% dagli USA, per un altro 25% dall’UE e per un dieci per cento a testa da Cina ed India. In totale fanno il 70% delle emissioni. Se questi quattro Paesi, da soli, decidessero di fare qualcosa di concreto il problema sarebbe risolto. Come dargli torto? A chi gli chiedeva come fare per ridurre le emissioni, Hansen ha risposto da par suo: bisogna tassare i combustibili fossili in modo da renderli meno convenienti dal punto di vista economico e puntare sulle fonti energetiche a zero emissioni. Per Cina ed India la strada migliore è puntare sul nucleare, ma la soluzione dovrebbe essere la stessa anche per gli altri due player mondiali. Non più il nucleare del passato, ma quello sicuro, di quarta generazione, ovviamente. Anche sotto questo punto di vista è difficile dargli torto, ma chi glielo spiega ai cittadini di USA ed EU che bisogna riprendere la corsa al nucleare?Hansen è coerente con la sua storia, non ha capito, però, che delle emissioni di carbonio interessa poco a molti partecipanti alla COP21: ciò che interessa sono i soldi che girano intorno al problema del cambiamento climatico. Hansen è stato il primo a lanciare l’allarme del riscaldamento globale nel lontano 1988 e da allora non ha più avuto pace fino a farsi arrestare e, infine, dimettersi dal suo incarico presso il Goddard Space Center della NASA, per poter meglio svolgere il suo ruolo di attivista climatico. A breve conta di recarsi in Cina per cercare di convincere i governanti di quel Paese a rinunciare al carbone a favore del nucleare. Ci riuscirà? Mah, dubito fortemente che abbia fortuna anche se ha puntato sul cavallo giusto: in un qualche modo la Cina deve pur cercare di risolvere il problema dello smog.
A Parigi il ministro francese dell’ambiente, S. Royale si è detta fiduciosa nel buon esito dei negoziati che in questo momento si trovano in una fase di “maturazione”. Diciamo che la parola più adatta sarebbe stata stagnazione, ma non sarebbe stato politicamente corretto.
Si apprende, inoltre, che Anonymous ha pubblicato i dati sensibili di oltre 1500 negoziatori di varie nazionalità dopo aver violato il sistema dell’UNFCCC. Il gruppo di hackers internazionali ha comunicato di averlo fatto per rappresaglia nei confronti del governo francese che ha imposto il divieto di manifestare e ha arrestato centinaia di manifestanti domenica pomeriggio. Di questo effettivamente non si sentiva il bisogno.
Degna di nota un’intervista al dr. C. Clini, ex ministro dell’ambiente italiano, e, quindi, esperto di COP. Secondo quanto ha dichiarato Clini ad ADNkronos, la COP21 rischia seriamente di fare la fine della COP di Copenhagen. A suo giudizio la colpa dovrebbe ricercarsi nell’atteggiamento dell’UE che vuole imporre un accordo vincolante che nessuno degli altri grandi emettitori (USA, Cina ed India) accetterà mai.
Clini reputa più praticabile per Cina ed India la proposta di Obama: fare in modo che ci sia un meccanismo di verifica per gli impegni che volontariamente ogni paese ha assunto e che ha già presentato”. Si tratterebbe “di un meccanismo che non prevede obblighi, ma solo monitoraggio e contabilità nel merito delle emissioni”.
Questo non piace all’Europa, ma si tratterebbe di un modo per “tenere aperto il discorso e valorizzare i paesi virtuosi.” In altre parole si tratta di continuare a fare ciò che si sta facendo dal 2010: dire che non bisogna superare i 2 gradi centigradi.
Molto interessante è il giudizio che Clini dà della COP21: è solo un forum e “non è il contesto adatto per queste decisioni. Questa conferenza sul clima dovrebbe dire che la prossima tappa sarà l’Organizzazione Mondiale del Commercio dove si aprirà un tavolo negoziale per un dialogo che entri nel merito delle misure da adottare”.
Per l’ex ministro è necessario “migliorare le tecnologie da utilizzare nei propri paesi per aumentare la produzione di energia e ridurre le proprie emissioni”. In questa ottica l’Organizzazione Mondiale del Commercio “dovrebbe aprire la discussione su questi temi con due facilitazioni di base: abbattimento delle barriere tariffarie e introduzione a livello globale di regole per cui le imprese e le società detentrici di tecnologie avanzate che le esportano in paesi terzi, hanno benefici fiscali nel paese di origine”.
Clini è dell’avviso, infine,che è necessario tassare il carbone “per rendere meno competitivo l’uso dei combustibili fossili”. In questo vi è una singolare identità di vedute con J. Hansen. Anche il giudizio che si coglie dalle parole di Clini e da quelle di Hansen sulla COP21 è simile: il rischio è di trovarsi a fare i conti con delle semplici dichiarazioni di principio.
Come al solito uno dei modi più efficaci per avere il polso della situazione è quello di affidarsi agli attivisti climatici (in questo modo si evita anche di passare per uccelli del malaugurio).
Sul sito www.greenstyle.it è disponibile un report da Parigi di Mariagrazia Midulla, responsabile Clima&Energia del WWF Italia. Secondo questo report, stamattina è stata diffusa una nuova bozza d’accordo frutto dei negoziati svolti fino ad oggi.
A giudizio della d.sa Midulla la strada che porta ad un accordo condiviso dai partecipanti alla COP21 e davvero efficace per il pianeta è, però, ancora molto lunga. I progressi non sono ancora significativi, ma anzi risulterebbe al momento piuttosto limitati.
Sempre secondo Midulla la strada per trovare il consenso su un accordo per proteggere il mondo dagli effetti del cambiamento climatico, richiederà ancora intense negoziazioni e diverse bozze. Siamo ancora a uno stadio iniziale del processo, i negoziatori hanno molto lavoro da fare se intendono fare della bozza di testo un accordo ambizioso ed equo.
Complessivamente, il testo uscito stamane è praticamente identico a quello su cui si stava lavorando sulla strada per Parigi.
I negoziatori hanno messo insieme un testo che raccoglie tutti gli elementi principali delle indicazioni date dai capi di Stato nei loro discorsi all’inizio di questa settimana, ma senza un vigoroso cambio di passo, secondo Midulla, non si riuscirà a raggiungere un accordo che cambi le sorti della Terra e contribuisca a fermare, entro i limiti ritenuti sicuri, il riscaldamento globale. Nel nuovo testo alcune delle alternative a disposizione sono più chiare e meglio strutturate, ma in linea generale le opzioni sono ancora molto divergenti.
Ciò che non dice la d.sa Midulla è che nelle stanze interne della Conferenza tira aria di burrasca. La bozza di accordo cui si riferisce Midulla, se da un lato dimostra che non è stata messa altra carne sul fuoco rispetto a quanto si era fatto a Bonn, dall’altro evidenzia che le 50 pagine da cui è formata sono ancora piene zeppe di parentesi, cioè di punti irrisolti. In particolare restano gli impegni volontari dei vari stati (INDCs) che saranno monitorati, mediante una non meglio definita “compliance”, forse ogni 5 anni; è stato individuato un obbiettivo di lungo periodo, ma non è stato quantificato (esistono sul tappeto almeno cinque diverse opzioni); tra i Paesi ricchi e quelli poveri si è verificata una vistosa spaccatura politica circa l’entità e la durata degli impegni finanziari dei primi.
Quello della spaccatura politica è l’aspetto più preoccupante e ha avuto origine dal fatto che la bozza prevedeva che ogni Paese contribuisse alle spese di mitigazione ed adattamento. Le furiose reazioni di Cina ed India che hanno addirittura minacciato di far fallire la Conferenza se i Paesi ricchi non si fossero dimostrati più generosi hanno spinto UE ed USA ad adottare (tra molte parentesi, ovviamente) una posizione secondo cui tutte le economie che «sono in grado di farlo» devono contribuire all’adattamento e alla mitigazione. Questo significa, in buona sostanza, che soldi in tavola non ce ne sono. Anche altri Paesi in via di sviluppo hanno preso posizione contro quelli più ricchi ed alcuni negoziatori hanno usato parole di fuoco accusando i loro colleghi occidentali di agire in modo difforme da quanto dichiarato dai loro leader in apertura della COP.
Pa Ousman Jarju, il ministro gambiano dell’ambiente, parlando a nome del gruppo dei Paesi più poveri, ha detto papale papale che “Se la perdita e il danno non saranno adeguatamente compensati, non ci sarà alcun accordo. Si tratta di una linea rossa.” Ha proseguito: “Siamo stati molto incoraggiati dai leader mondiali quando sono intervenuti all’inizio della riunione. Abbiamo pensato che quello che hanno detto sarebbe stato trasferito nei negoziati. Non è ancora successo. Abbiamo visto solo molto disaccordo”. Secondo il ministro gambiano i Paesi ricchi intendono camuffare il denaro che hanno prestato ai paesi poveri e destinato agli adattamenti al cambiamento climatico, come “finanziamenti per il clima”.
Oggi è giovedì, mancano meno di due giorni al mezzodì di sabato, termine fissato per la consegna ai politici del progetto di accordo. Considerando che in quattro giorni, a parte la retorica, non si è fatto alcun progresso, ho la netta impressione che il destino di questa COP sia già segnato.
Come ha scritto il redattore di Rinnovabili.it “… è meglio accantonare le belle speranze per evitare che si trasformino in pie illusioni.” Concordo pienamente.
Clini? Parliamo ancora di Clini?
Eh, si! Sembra strano, ma nonostante tutto fa ancora opinione: è uno dei punti di riferimento di adnkronos per le questioni ambientali. 🙂
Ciao, Donato.