Dopo l’abbuffata di dichiarazioni dei vertici del mondo registrata nella giornata di ieri, il clamore intorno alla COP21 è drasticamente scemato: se ne parla ancora, ma l’argomento non sarà più quello di apertura dei vari giornali e dei vari notiziari televisivi.
Oggi sono entrati in scena i delegati che dovranno risolvere i problemi reali: il presidente della conferenza L. Fabius ha spronato i rappresentanti dei 195 Paesi partecipanti a procedere velocemente e ad adoperarsi per raggiungere risultati concreti.
Il lavoro da fare è, infatti, moltissimo in quanto è necessario decidere oltre 200 opzioni e definire 1200 espressioni contenute nelle circa 50 pagine che costituiscono la bozza di accordo partorita dagli incontri di Bonn nei mesi scorsi. Il tutto deve essere fatto entro sabato 5 dicembre: in tale data è necessario consegnare al presidente della conferenza un testo molto più snello e privo di elementi di conflittualità su cui possano discutere i ministri durante la seconda settimana della COP21. Non sarà assolutamente facile e non è detto che ci si riesca.
Oggi la discussione si è sviluppata intorno a due argomenti: la situazione delle isole del Pacifico e la conservazione delle foreste. Si tratta di argomenti già noti ai lettori di CM per cui non reputo necessario soffermarmi più di tanto.
Nel caso del Pacifico la discussione è partita dagli studi degli organismi delle Nazioni Unite UNU-EHS e Unescap sulla condizione delle famiglie del Pacifico e sulle migrazioni. L’indagine ha riguardato 6.852 persone che rappresentano 852 famiglie degli arcipelaghi di Oceania e Micronesia, Kiribati, Nauru e Tuvalu. I risultati degli studi dimostrerebbero che oltre il 70% delle famiglie di Kiribati e Tuvalu e il 35% delle famiglie di Nauru si sono dette pronte a migrare a causa di un ulteriore peggioramento dei fattori di stress climatico che essi percepiscono come già molto evidenti. Di questi potenziali profughi solo un quarto ha i mezzi finanziari necessari per una migrazione, molti dunque hanno bisogno di essere aiutati dai Paesi sviluppati (si torna a bussare a denaro). In proposito ha destato interesse una polemica tra l’Australia ed alcuni stati insulari. I rappresentanti di questi ultimi hanno rinfacciato ad Australia e Nuova Zelanda scarso interesse per i loro problemi e li hanno invitati a fare come il presidente Obama che si è schierato apertamente con loro e con le loro esigenze. Vedremo se nei prossimi giorni la cosa avrà conseguenze.
Altro tema forte della giornata è stato il patrimonio forestale mondiale. Proprio i Paesi con il più alto tasso di rischio di scomparsa dei propri giacimenti di foreste hanno lanciato la discussione sulla necessità di concretizzare gli impegni, di governi, settore privato e società civile, per un maggiore sforzo internazionale che elimini la deforestazione e il degrado forestale naturale in pochi decenni. L’avvio di questo percorso si era già visto a Lima, a Parigi si cercherà adesso di giungere alla stesura di procedure e modalità efficaci di “gestione sostenibile di questo obiettivo comune”, come ha sottolineato il ministro dell’Ambiente del Perù Manuel Pulgar-Vidal.
Va ricordato che circa un miliardo di persone nel mondo dipendono direttamente dalle foreste per la propria sussistenza e ogni anno circa 12 milioni di ettari di foresta vengono distrutti. Questa perdita delle foreste è responsabile di circa il 11 per cento delle emissioni globali di gas a effetto serra. Nel corso degli eventi che hanno preceduto la COP21 sembrava che i negoziati erano piuttosto ben avviati e su tale tema l’accordo pareva certo, desta, pertanto, meraviglia che ci si debba tornare sopra per ridiscuterne alcune parti. Se si ricomincia a disfare quanto pareva già fatto stiamo freschi!
Per il resto la giornata di oggi è stata caratterizzata da un nuovo intervento del presidente Obama che ha ribadito la necessità di giungere ad un accordo ambizioso e vincolante almeno in parte. Strano sentire queste parole da uno che sa perfettamente che un tale accordo non potrà mai valere per gli USA in quanto dovrebbe essere prima ratificato dal Congresso in cui la maggioranza ha idee diametralmente opposte. In proposito le reazioni dei repubblicani americane al discorso di Obama di ieri sono state feroci ed al limite dell’insulto: qualcuno ha definito Obama “meteorologo in capo”. Mi sorge un dubbio: non è che i vincoli devono valere per gli altri e non per gli USA? Mah!
Altro tema che ha tenuto banco riguarda il “debito ecologico” che il mondo sviluppato ha nei riguardi dell’Africa: il prosciugamento dei bacini idrici, l’erosione e la desertificazione sono conseguenze delle azioni dei Paesi ricchi, secondo il presidente Hollande. Essi devono provvedere, pertanto, a risarcire il danno arrecato mediante un congruo contributo economico cui la Francia contribuirà con 2 miliardi di euro entro il 2020. La responsabilità dell’Occidente, sempre secondo Hollande, deve essere ricercata nelle forti emissioni di CO2 da parte dei Paesi ricchi che hanno determinato gli sconquassi climatici in Africa (responsabile solo del 4% delle emissioni globali). Di ciò si è discusso in un mini vertice a latere della Conferenza cui hanno partecipato molti leader africani. Ancora soldi, tanti, ma non troppo a dire il vero.
Altro tema che ha appassionato i commentatori degli eventi di Parigi è la proposta del presidente indiano Modi. Egli ha lanciato “l’alleanza mondiale solare” cui dovrebbero aderire circa 120 Paesi del mondo intero. Il centro decisionale ed operativo di questo nuovo organismo sovranazionale (Iasta) dovrebbe essere in India, ovviamente, e la mission dell’alleanza dovrebbe essere quella di portare l’energia elettrica anche nelle aree più sperdute dei Tropici. La soluzione dovrebbe essere costituita da fonti rinnovabili di piccole dimensioni da far cadere a pioggia su tutte le aree attualmente prive di servizi elettrici. L’idea mi sembra ottima in quanto renderebbe inutile la realizzazione di una costosissima rete di distribuzione e consentirebbe di sfruttare appieno le potenzialità della fonte solare ed anche eolica essendo tali fonti energetiche ideali per alimentare utenze isolate e disperse su territori immensi. Per poter fare questo, però, c’è bisogno di una marea di soldi che dovrebbero sborsare i Paesi sviluppati, ovviamente. Qualora tale iniziativa dovesse avere successo, credo che dovremmo esserne tutti lieti in quanto consentirebbe di fornire energia elettrica e quindi progresso sociale, economico e culturale a una parte considerevole dell’umanità. In tale ottica si inquadrerebbe anche l’iniziativa umanitaria di B. Gates e di altri magnati del mondo dell’informatica e non solo. Ogni tanto una buona notizia non guasta.
A giudizio di alcuni questa è, però, un’iniziativa demagogica escogitata dall’India per far digerire le centinaia di centrali a carbone che ha costruito e che intende costruire. Secondo il blog climateactiontracker.org queste iniziative non saranno assolutamente in grado di far raggiungere all’India i tagli nelle emissioni annunciati. Personalmente la cosa mi interessa poco, preferisco guardare con fiducia all’altro aspetto, cioè la fornitura di corrente elettrica a persone che altrimenti ne resterebbero prive.
Piccola nota di colore: a Parigi sono apparsi molti manifesti che stigmatizzano il comportamento di molti degli sponsor della COP21: nessuno di loro ha dichiarato il livello delle proprie emissioni di CO2 e di quanto intende tagliarle. Si tratta di società come Air France, Renault, Michelin, l’Oreal, ecc.. Non è che cercano di rifarsi una verginità sponsorizzando la conferenza? Il dubbio dei contestatori è plausibile.
Appare evidente da queste poche considerazioni che oggetto predominante della Conferenza delle Parti sono gli aspetti finanziari legati alla questione climatica. Detto fuori dai denti il clima è lo schermo dietro il quale ci si nasconde per ridistribuire la ricchezza mondiale. Diciamo che più che un vertice climatico è un vertice economico.
Inanzitutto un ringraziamento per gli utili resoconti giornalieri.
Riguardo la proposta del presidente indiano Modi per la creazione dell’organismo sovranazionale “Lasta” in India, va ricordato che sia IBRD che ADB e altri donatori bilaterali, hanno finanziato negli ultimi 50 anni , una quantità ingente di progetti, (sia come studi di fattibilità e come realizzazioni), di elettrficazioni rurali con energie rinnovabili, in paesi in via di sviluppo, per lo più in zone tropicali isolate, quindi non connesse a reti. (personalmente , sono stato direttamente coinvolto in uno studio finanziato da ADB per l’elettrificazione rurale del Kalimantan o Borneo indonesiano, degli anni ’80).
Data l’autorevolezza delle esistenti agenzie multilaterali citate , cui tutti i paesiOECD contribuiscono, parrebbe opportuno che fossero loro i coordinatori di una simile, ma rinnovata e potenziata iniziativa benedetta da COP21, invece di creare nuovi enti.
Carlo, conoscere qualcuno che ha lavorato nel campo è per me un onore e un’opportunità. Colgo l’occasione per invitarti (spero possa usare la seconda persona 🙂 ) a fornire, se possibile, un ulteriore contributo alla discussione mediante un commento molto più articolato (non abbiamo limiti e, se ci sono, sono molto ampi) in cui vengano illustrate le caratteristiche degli interventi e gli aspetti economici e finanziari. Personalmente non sapevo che le iniziative da te descritte fossero così consolidate e credevo che fossero frutto delle iniziative pro COP21: conoscere qualche dettaglio in più sarebbe molto istruttivo.
Ciao, Donato.
Grazie Donato. Si tratta , nel caso che ho citato,di un Studio di fattibilità di molti anni fa condotto da una società di ricerche e studi italiana ,il CESEN,(che forse oggi non esiste più come tale) parte di un Gruppo che rappresentavo nel Paese,e ottenuto vincendo una gara indetta da quel Governo e finanziata dalla Asian Development Bank. Sono spiacente quindi di non poterti aggiungere nulla di concreto e specifico alla discussione. Il lavoro che ricordo molto interessante e comprensivo per quanto riguarda biomasse, minihidro e fotovoltaico, probabilmente giacerà dimenticato in qualche polveroso scaffale di un ministero. Ed è questo il puntum dolens. Tanti programmi sulle rinnovabili nei paesi in via di sviluppo finanziate dalle agenzie multilaterali , a mio parere non hanno portato a adeguate applicazioni. C’è da sperare che in questo COP21 dove i governi e le agenzie multilaterali discutono ci possa essere un rilancio coordinato e potenziato sulle energie rinnovabili nei paesi in via di sviluppo.
Grazie ancora per i tuoi resoconti.
Ciao, Carlo