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Quand’è che il tempo è diventato patologico?

Quand’è che il tempo atmosferico è diventato patologico? Questa domanda apparentemente banale, ma invece oltremodo interessante, l’ho intercettata in un retweet di Roger Pielke Sr:

Se l’è posta in origine tal fabius maximus, blogger opinionista a 360 gradi che entra spesso nel dibattito climatico.

Innanzi tutto, cosa si intende per tempo patologico? Facciamo un esempio nel nostro piccolo. Dopo un paio di settimane buone di tempo assolutamente stabile e di conseguente ‘calma piatta’ sul nostro Paese, è arrivato domenica scorsa il primo affondo della stagione fredda. Niente di che in verità, una bella discesa di aria polare, che ha prontamente ricevuto un nome, Attila, per quelli a cui piacciono queste cose: rapida caduta della pressione atmosferica, venti impetuosi di libeccio prima e di maestrale poi, temperature in picchiata e prime spolverate di neve anche in Appennino. La fase più acuta è passata sulle regioni centrali nella notte tra sabato e domenica. Al mattino dopo, ovunque mi girassi fioccavano i commenti: un vento pazzesco, assurdo, mai visto etc etc. Del resto, subito dopo, sarebbe dovuto arrivare il ‘freddo polare’, ‘l’aria gelida’…si sarebbero dovute spalancare le porte dell’inverno, dopo una lunga, lunghissima stagione tra gli equinozi (che dura sei mesi da sempre) che è stata bollente ma raffreddata da bombe d’acqua, nel rispetto, ovviamente, della patologia.

Il vento pazzesco, assurdo, mai visto, è arrivato tra la tarda sera e la notte. Le stazioni dell’Aeroporto di Fiumicino, sulla costa, e di quello di Ciampino, appena nell’entroterra a sud di Roma, hanno registrato per 2/3 ore rispettivamente vento teso a circa 50 Kmh con raffiche a 80 Kmh la prima e a circa 40 Kmh con raffiche a 60 Kmh la seconda. Il libeccio, che arriva dal mare, ha chiaramente frenato per attrito. Un vento Forte, certamente, ma davvero niente di che. Eppure la percezione era unanime, assolutamente patologica. E così è per ogni pioggia che arriva, per ogni giornata calda o fredda, per ogni capriccio del tempo.

A larga scala, fuori cioè dal nostro orticello, non è che le cose vadano meglio. Abbiamo passato tutto l’anno scorso in attesa di un El Niño ‘mostruoso’, che si è spento prima di uscire dalla culla. Poi, quando la congiuntura stagionale si è fatta nuovamente favorevole, ecco l’annuncio di un El Niño ‘Godzilla’; che pure è arrivato, ma, diversamente dalle previsioni, non ha superato e non prevede di superare alcun record, se non quello dell’inchiostro consumato per commentarlo. Senza che nessuno facesse notare che El Niño, come la sua sorellina La Niña, sono eventi ciclici benché randomici, altalene del freddo e del caldo sulle sconfinate acque dell’Oceano Pacifico equatoriale che battono il ritmo delle sorti di quella porzione del mondo e, per indotto, anche di quasi tutto il resto del pianeta. Quando c’è El Niño, le zone altrimenti aride dell’America centrale e meridionale occidentale, sono a rischio alluvioni; quando c’è La Niña, le loro siccità si accentuano e il continente marittimo, l’Australia e l’India orientale vanno sott’acqua, con impatto anche sulle piogge monsoniche. Così va il clima, da qualche milione di anni. Ma ora no, ora è, appunto, patologico, da curare, da sfuggire o, se possibile, da migliorare, magari con un bell’accordo interplanetario.

L’OMM, massimo organismo mondiale in materia di meteo e clima, ha fatto sapere che questo El Niño sarà tra i più intensi degli ultimi 50 anni, con precedenti illustri in epoche non sospette, va bene, ma ora c’è il climate change e vai a capire cosa potrà capitare. Quello che capiterà, stando alle previsioni, è che anche questo evento, come praticamente tutti quelli che lo hanno preceduto, vedrà il suo picco a Natale o giù di lì (El Niño = bambinello, recita la storia) per poi precipitare nel dimenticatoio, non senza aver rilasciato in atmosfera abbastanza calore da fare del 2015 l’ennesimo anno caldo tra gli anni caldi, con molta naturalezza, ma perfettamente ad uso e consumo di chi vuol curare la patologia e si appresta a farlo nel prossimo dicembre alla Cop21 di Parigi, con o senza Godzilla.

Quindi i media ne commenteranno le malefatte, gli esperti alzeranno pomposamente le loro sopracciglia e tutti gli altri saranno lì ad attendere che la patologia ci termini tutti quanti, perché, in fondo, ce lo siamo meritato. Il tutto, sinistramente simile a ben altri e più importanti fatti che stanno mettendo a serio rischio, quelli sì, le sorti del mondo come lo conosciamo. A proposito, chissà se nei primi giorni di dicembre a Parigi a qualcuno verrà in mente che il problema più grosso che abbiamo non è la temperatura…

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Published inAttualità

6 Comments

  1. Mario

    Ma non è che, sotto, sotto, i cambiamenti climatici centrino in qualche modo anche con i fatti di Parigi?
    🙂

  2. Il Pianeta Terra è in eterno divenire e, anzi, fra qualche miliardo di anni, non ci sarà più vita su quello che resta del pianeta che abbiamo conosciuto ieri e oggi, e dal precario domani quando il Sole avrà smesso d’inviarci energia.
    Così è anche se non vi pare.

    • Massimiliano

      in realtà, a voler essere pignoli, tra 5 miliardi di anni, miliardo più miliardo meno, il Sole si trasformerà in una gigante rossa e, data la sua espansione, colmerà la distanza di 150 mln di km che attualmente ci separa da lui. In poche parole la Terra verrà vaporizzata ed ingoiata dal Sole. Chissà se qualcuno sarà capace di dare la colpa all’uomo anche di questa inevitabile tragedia…

  3. Fabio Vomiero

    Domanda non banale infatti, da cento milioni di dollari. Me ne viene in mente un’altra: ha senso parlare di tempo patologico in un sistema come quello climatico?
    -Dal mio punto di vista, considerando l’etimologia del termine (dal greco Pathos=sofferenza) e l’utilizzo classico del termine che si fa in medicina, non so quanto possa avere senso parlare di fenomeni patologici in riferimento ai fenomeni atmosferici, i quali, per loro natura sono in genere collegati alle fasi climatiche, le quali, a loro volta, tendono a seguire delle dinamiche di variabilità, a diverse scale temporali, in risposta a numerosi fattori causali che interagiscono tra di loro con meccanismi, per lo più ancora sconosciuti, che generano una gamma infinita di possibili pattern climatici sempre diversi. La locuzione, invece, potrebbe acquisire un significato più concreto, probabilmente solo nel caso di un accertato contributo antropico importante, come causa principale del cambiamento climatico in corso, in tal senso esisterebbe un agente eziopatogenetico “artificiale” che in qualche modo andrebbe ad alterare i cicli o simil-cicli, altrimenti determinati soltanto dalle dinamiche naturali. Ma se vogliamo, anche questo concetto potrebbe essere rielaborato e approfondito ulteriormente considerando diverse chiavi di interpretazione possibili.
    -Mi sembra di capire che del fenomeno Nino-Nina si conoscono abbastanza bene i meccanismi meteoclimatici che lo inducono (cioè il come), ossia principalmente la modifica degli Alisei, accumulo di calore ecc., ma non si conoscono ancora affatto bene le cause profonde che lo generano e ne regolano la dinamica per lo più caotica (cioè il perché esiste), e come esso possa modificarsi in base ad una corrispondenza biunivoca, che sicuramente esiste, con gli altri elementi variabili del sistema accoppiato atmosfera-oceani. Questo è un fattore limitante non da poco, anche in sede di previsione. Nonostante ciò, mi sembra che si possa considerare il Nino attuale sicuramente tra i tre episodi più intensi dell’epoca moderna (cioè da quando riusciamo a fare misurazioni abbastanza precise), insieme a quelli dell’82-83 e 97-98. (es. fonte CPC-NOAA)
    -Per quanto riguarda la percezione che abbiamo sugli eventi meteorologici, sono completamente d’accordo, la nostra memoria, se non ben supportata anche dall’applicazione di un metodo scientifico, può essere fallace, anche senza che ce ne rendiamo conto. Esistono in letteratura numerosi lavori che indagano questo fenomeno psicologico interessante.
    Saluto cordialmente.

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