Clive Best ha pubblicato sul suo blog una breve ma interessante comparazione tra l’andamento delle temperature medie superficiali osservato e quello previsto da due modelli climatici per così dire, rappresentativi. Le due simulazioni infatti differiscono per il valore attribuito alla sensibilità climatica all’equilibrio, ovvero oltre i 4°C per il primo e circa 2°C per il secondo.
Non starò qui a ripetere il suo post, che potete facilmente consultare, anche perché il risultato è scontato: il modello altamente sensibile al raddoppio della CO2 è completamente fuori bersaglio, quello con sensibilità climatica più bassa va un po’ meglio per linee generali, ma è lontano dalla realtà a livello regionale.
Che poi è quello che interessa davvero, ossia dove effettivamente abbia senso che le variazioni della temperatura assumano un determinato segno e valore. La serie storica che ha utilizzato è quella della Climatic Research Unit inglese, Hadcrut4. Ancora più interessante direi, è l’animazione dell’intera serie nella quale salta all’occhio come sia cambiata la copertura dei dati nel corso degli anni, pur con alcune zone del pianeta, Africa e latitudini polari, la cui copertura è ancora scarsa o del tutto assente. Per vederla andate qui perché sono circa 20mb.
Così, tanto per contestualizzare il termine “globale” quando si parla di riscaldamento.
Al di là dei dati storici o rilevati (o di quelli interpretabili o di quelli interpretati), ci sono alcuni dati molto evidenti, cioè quelli relativi alle “contrazioni” dei ghiacciai. Ad esempio quelli veneti ed il ghiacciaio del Calderone in Abruzzo (notizia di questi giorni).
Oppure questo filmato del polo Sud, https://www.youtube.com/watch?v=hC3VTgIPoGU (andate al minuto 4. per vedere il filmato accelerato e le conseguenze dell’ultimo decennio).
Da tecnico trovo queste “rilevazioni” scientifiche mille volte più sconvolgenti di qualunque rilevazione satellitare o del Noaa o di qualunque altro volete.
A prescindere di quale sia la causa.
Ma non saperla, mi preoccupa ancora di più.
Il ghiacciaio del Calderone (meglio glacio-nevaio) non credo che possa essere considerato esempio del cambiamento climatico catastrofico in quanto è strano che esso esista ancora. Alla latitudine del Gran Sasso il limite delle nevi perenni è di 3100 metri: circa 300 metri più in alto della quota più alta del nevaio (si sviluppa tra i 2680 ed i 2800 metri s.l.m.). Tale accumulo si conserva solo ed esclusivamente perchè è completamente coperto di detriti, occupa una valle molto stretta e poco esposta ai raggi solari e grazie al colore chiaro dei calcari che lo circondano e lo ricoprono e che riflettono i raggi solari impedendo che essi colpiscano direttamente il ghiaccio. La peculiare natura del nevaio che ha un’estensione inferiore al clilometro quadrato, è quella di subire forti variazioni di estensione a seconda dell’innevamento invernale e dell’andamento termico delle stagioni estive: nel 2012 si cantò il de prufundis per il nevaio, ma nel 2013 si riprese tanto da far esprimere previsioni molto più ottimistiche sul suo futuro. All’inizio della stagione di ablazione del 2014 la situazione era ottima (la migliore degli ultimi 20 anni) anche se nel corso dell’estate 2014 le cose non andarono molto bene e a fine stagione la situazione risultò peggiore che nell’anno precedente. Quest’anno, partiti da una situazione in linea con gli ultimi 10 anni, siamo arrivati ad un’estensione molto ridotta comunque migliore, ad occhio, di quella del 2012.
Ciò non toglie che dalla fine della piccola era glaciale l’estensione del Calderone è diminuita sensibilmente e tende a diminuire ancora. Sparirà? Forse. E’ sparito altre volte nel passato o sarà la prima volta che capiterà? Non lo sappiamo con certezza, ma esso probabilmente non esisteva prima del 1500 e si riformò a seguito del raffreddamento globale o regionale (dipende dai punti di vista 🙂 ) noto come Piccola Era Glaciale.
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Per quel che riguarda il video, si tratta della frammentazione di un fronte glaciale marino verificatosi in Groenlandia di cui mi sono interessato nella fase di ricerca che ha preceduto la stesura di alcuni articoli che ho scritto per CM. Il distacco di simili masse di ghiaccio da fronti marine di ghiacciai terrestri non è raro e non è eccezionale in quanto è la fonte degli iceberg: in mancanza tali strutture non esisterebbero. Neanche l’estensione della parte di ghiacciaio che si è frantumata deve suscitare meraviglia. Ciò che preoccupa i glaciologi è, invece, la frequenza con cui avvengono simili distacchi: nella fattispecie se ne sono verificati due di dimensioni simili a distanza di un paio d’anni. Ciò che non quadra in tutto questo è l’attribuzione: è il riscaldamento globale. Secondo me l’attribuzione è troppo semplicistica in quanto su questi fenomeni influiscono cause molteplici: venti, correnti marine, temperature, velocità di avanzamento del fronte glaciale (influenzata a sua volta da altri fattori) e via cantando.
Puntare il dito solo su una delle possibili cause è un modo sbagliato di procedere in quanto si corre il rischio di prendere un granchio e questo, da un punto di vista scientifico, non mi convince.
Non riuscire a capire la causa di un fenomeno è frustrante, ma ciò è normale in quanto sono molte di più le cose che non conosciamo di quelle che conosciamo. Se dovessimo essere spaventati da tutto ciò che ignoriamo non vivremmo più. Ho finito da poco di rilegare il progetto di un fabbricato e domani consegnerò le copie degli esecutivi all’impresa. Ho dovuto fare un sacco di ipotesi e di calcoli basati su queste ipotesi. Si verificheranno tutte queste ipotesi? Probabilmente si anche se esiste la probabilità che qualcuna delle ipotesi legata alla struttura del terreno o all’intensità di un terremoto potrebbero non essere verificate (si indaga, si studia, ma l’imprevisto è sempre in agguato). E’ improbabile, ma è possibile. Che faccio, non costruisco più?
Ciao, Donato.
Grazie Donato per la preziosa risposta.
Una conferma ulteriore che i modelli che dipendono poco dalla forzante CO2 sono più “performanti”. Ciò che più mi ha sorpreso nell’animazione è il numero delle misurazioni durante il periodo a cavallo tra la fine del 19° secolo e l’inizio del ventesimo: quando si paragonano le temperature attuali con quelle dell’epoca sarebbe necessario tener presenti questi fatti invece di strillare “registrata la temperature più alta degli ultimi 130 anni” e “evento senza precedenti nelle serie storiche di temperature”. Parlare di temperature globali con riferimento allo sparuto numero di misurazioni ad inizio serie, infine, mi sembra un ossimoro.
Ciao, Donato.