Da anni la comunità scientifica si interroga circa la natura dello iato o pausa nel riscaldamento globale. Per essa sono state proposte moltissime spiegazioni e, negli ultimi tempi, la sua esistenza è stata addirittura negata (Karl et al., 2015) in quanto frutto di polarizzazione dei dati dovuta a errori sistematici. Personalmente ho espresso forti dubbi circa la correttezza dell’operato di Karl et al., 2015, ma la mia posizione deve essere considerata per quello che è: ininfluente ai fini del dibattito in corso in quanto proveniente da persona che ha “titoli che ben poco hanno a che fare con gli argomenti trattati” e che, a tempo perso, si permette di criticare “chi, per lavoro, questi argomenti li tratta” come ama dire uno dei commentatori occasionali di CM :-).
Oggi girovagando in rete mi è capitato di imbattermi in una pubblicazione di Gerarld A. Meehl che di mestiere fa il climatologo. Il dr. Meehl è uno degli scienziati di punta della linea di pensiero principale circa il cambiamento climatico che può vantare decine di articoli scientifici pubblicati dalle riviste più prestigiose (quindi uno che tratta questi argomenti) e che di tutto può essere accusato tranne che di essere scettico. Figuratevi, quindi, la mia sorpresa quando ho letto che la pausa era reale e non un artefatto dovuto a polarizzazione dei dati.
L’articolo di Meehl non è una confutazione di Karl et al., 2015, ma è una chiara presa di distanze da questo lavoro. Appare chiaro, infatti, che a giudizio di Meehl non si può negare un fatto, ovvero una pausa nel riscaldamento globale. Meehl con il termine pausa si riferisce al una diminuzione del trend di riscaldamento e, in accordo con IPCC AR5, valuta questo rallentamento in una riduzione di circa il 50% della tendenza tra il 1980 ed il 2000.
Se la pausa è un fatto, debbo dedurne che chi la nega sbaglia e, quindi, Karl et al., 2015 non è corretto. In altre parole l’omogeneizzazione dei dati portata avanti da Karl et al., 2015 non ha motivo di essere.
Non posso negare che ho provato una certa soddisfazione leggendo l’articolo di Meehl in quanto ho capito che la mia analisi di Karl et al., 2015 non era proprio campata in aria, ma lasciamo perdere questi aspetti che non interessano nessuno, tranne chi scrive, e diamo un’occhiata al lavoro di Meehl.
L’articolo è incentrato sull’analisi dell’indice IPO (Interdecadal Pacific Oscillation) individuato in un lavoro di Power e colleghi del 1999. Tale indice viene calcolato mediante un filtro passa basso applicato alle temperature superficiali del mare (SST) nel Pacifico meridionale. Esso si può definire come il corrispettivo del più noto indice PDO (Pacific Decadal Oscillation) che è riferito al Pacifico settentrionale ed è strettamente correlato ad esso.
Analizzando le serie storiche delle SST si può vedere che esse variano secondo un ciclo interdecadale che è perfettamente individuato nel grafico riportato nella fig. 2b dell’articolo citato. A partire dal 1890 e fino ad oggi si possono vedere alternanze di fasi positive e negative che sfuggono, però, a forme di periodicità ben definite. Si distinguono, in particolare, una fase positiva molto accentuata nel periodo a cavallo dell’inizio del 20° secolo, una fase negativa molto accentuata tra il 1940 ed il 1980, una fase positiva molto forte fino alla fine degli anni ’90 del 20° secolo ed un brusco crollo a partire dagli inizi del 21° secolo e fino al 2013. Dal 2013 si è avuta una nuova inversione del segno dell’IPO e Meehl considera questo fatto come fine della pausa. Tutte le fasi negative dell’indice IPO sono state caratterizzate da una stasi nelle temperature medie globali. Tale è stato il caso della pausa molto forte tra il 1940 ed il 1980 e quella meno accentuata dei primi tre lustri del 21° secolo.
La pausa o iato è, pertanto, legata all’andamento delle temperature superficiali dell’oceano Pacifico ed è imputabile alla variabilità interna del sistema climatico che si sovrappone ad un trend lineare di aumento delle temperature globali che Meehl imputa ai gas serra di origine antropica e non.
Molto interessante l’analisi che Meehl fa del meccanismo che determina IPO e PDO. A suo giudizio il calore intrappolato dai gas serra viene accumulato negli oceani e ridistribuito dalla circolazione termoalina (AMOC in testa). Nelle fasi negative dell’indice IPO il calore viene immagazzinato nello strato oceanico al di sotto dei 300 m e al di sopra dei 2000 m, determinando un raffreddamento della superficie del mare. Nei periodi caratterizzati da IPO positivo il calore passa dalla fascia inferiore a quella superiore (0-300 m) determinando un riscaldamento della superficie del mare e, quindi, un aumento delle temperature globali. Le cause che guidano questa variabilità interna sono da ricercare, secondo Meehl, nei cicli solari, nelle piccole eruzioni vulcaniche che possono accumulare i loro effetti nel medio periodo, e via cantando. I meccanismi che determinano l’accumulo di calore negli oceani devono essere ricercati, invece, nelle celle equatoriali e negli alisei ad esse connessi (per il 50%) e, per la restante parte, nell’AMOC.
Il principale difetto di Karl et al., 2015, secondo Meehl, deve essere ricercato nel fatto che l’omogeneizzazione (con la conseguente revisione dei dati) ha eliminato la correlazione tra temperature superficiali ed IPO che è, invece, universalmente riconosciuta, ha cioè eliminato la variabilità naturale dal record delle temperature. A me sembra un fatto di grande interesse e, con questo post, voglio pubblicamente dare atto a Meehl di una grandissima onestà intellettuale: non deve essere stato facile per lui scrivere queste cose, ma il suo articolo mi consente di nutrire fiducia nella capacità della comunità scientifica di riparare agli errori dei suoi membri: fiducia che Karl et al., 2015 aveva minato.
Caro Donato,
sto pesantemente lavorando su alcune serie italiane e ho letto solo oggi il tuo post. L’articolo che hai trovato è davvero molto interessante (attraverso le tue parole perché non l’ho ancora scaricato e letto) e la pacatezza delle conclusioni è appropriata dato che gli strepiti servono solo quando il mondo non va d’accordo con le tue idee preconcette ma che devono assolutamente vincere.
Complimenti per il lavoro e la ricerca dell’articolo.
Franco
Certo Donato, è possibile, anche perchè non dobbiamo dimenticare l’attuale spinta sinergica fornita dall’indice ENSO. Magari dopo la successiva fase di Nina e il ritorno ad una eventuale neutralità, potremo avere qualche indicazione in più.
Ciao, Fabio
Dimenticavo: grazie davvero per l’articolo, che ad una prima scorsa pare davvero interessante. Lo stampo e lo leggo quanto prima.
Luigi
Caro Donato, iniziando a leggere il tuo articolo avevo pensato ad AMO, molto più vicina al mio sentire di europeo. Tuttavia vanno bene anche PDO e IPO, nel senso che anch’esse hanno ciclicità sessantennale ed inoltre precedono AMO per cui hanno anticipato il suo passaggio in fase negativa atteso per i prossimi anni. Proprio tale ciclicità dà anche a me fede nel fatto che la stasi nel GW sia qualcosa di oggettivo perché legato a ciclicità oceaniche che sono del tutto naturali. In funzione di ciò insistere a sulle serie storiche per dimostrare che la stasi non esiste mi pare poco utile a tutti. Se infatti la stasi è legata alle ciclicità oceaniche, la sua presenza non invalida alcuna teoria, ivi compresa quella dell’AGW. Più che altro dovrebbe porre alla “comunità scientifica” perlomeno 2 problemi:
1. perché i GCM non riescono a descrivere le ciclicità sessantennali
2. la necessità di comunicare all’opinione pubblica e alle autorità il fatto che quando anche AMO passerà in fase negativa le temperature europee potrebbero calare, il che ha varie implicazioni gestionali legate ad esempio agli approvvigionamenti energetici.
“Se infatti la stasi è legata alle ciclicità oceaniche, la sua presenza non invalida alcuna teoria, ivi compresa quella dell’AGW.”
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Caro Luigi, condivido completamente questa tua considerazione. Nell’articolo di Meehl ciò che più mi ha colpito è stato proprio questo: è inutile “torturare” i dati e le serie storiche quando la variabilità interna al sistema (prettamente naturale) è in grado di spiegare le oscillazioni che caratterizzano le serie storiche. E’ quanto ha sempre sostenuto, per esempio, N. Scafetta e che è stato messo in evidenza da tanti altri studiosi che hanno individuato nelle serie storiche un trend lineare o multisecolare cui si sovrappongono oscillazioni multidecadali.
Volersi impiccare all’ipotesi di un andamento pressoché lineare delle temperature che fotocopi quello della CO2 “abolendo” ogni ciclicità nel sistema, è stato un errore clamoroso di alcuni settori della linea di pensiero principale. Fa piacere, però, vedere che sempre più scienziati tornano ad attribuire a dinamiche naturali alcune variazioni del clima.
Ciao, Donato.
Guido, in merito alla causa dello iato ti consiglio questa freschissima pubblicazione, nel quale gli autori hanno identificato la causa nella presenza di un trend di raffreddamento nell’emisfero boreale.
Li, C., B. Stevens, and J. Marotzke (2015), Eurasian winter cooling in the warming hiatus of 1998–2012, Geophys. Res. Lett., 42, 8131–8139, http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/2015GL065327/abstract
Interessante, apprendiamo nell’ordine:
– Che lo iato esiste e lotta insieme a noi;
– Che l’emisfero nord pesa più di quello sud, con tutto il suo portato di terre emerse e di modifica dello stato dei suoli;
– Che nonostante il forcing antropico principale – la CO2 – sia well mixed e agisca sul bilancio radiativo, gli effetti sono diversi sui due emisferi ma il disastro sarà globale;
– Che l’ipotesi di attribuzione del freddo al caldo avanzata un paio di anni fa non sta in piedi;
– Che il raffreddamento (è la prima volta che ne sento parlare), nonostante il trend di riscaldamento, degli inverni in Eurasia, ha origini naturali ed è un evento climatico estremo;
– Che tutto ciò che viene definito internal variability in realtà è qualcosa che non sappiamo spiegare e che non rientra nell’equazione del clima a base CO2;
– Che comunque l’AGW ci mette lo zampino perché, in quanto estremo, come evento è destinato ad aumentare di frequenza.
Grazie, leggerò.
gg
Dr. Cioni, grazie per la segnalazione. Sto leggendo l’articolo e mi ha colpito la conclusione che né la diminuzione di albedo conseguente alla riduzione dell’estensione dei ghiacci artici, né l’aumento delle SST alle alte latitudini hanno determinato variazioni nella circolazione atmosferica a grande scala o dei principali indici climatici del nord emisfero. La cosa è sorprendente in quanto alcuni studi sembra che avvalorassero l’idea che l’aumento di temperatura connesso all’amplificazione artica fosse in grado di alterare addirittura le correnti a getto stratosferiche. Non ho ancora completato la lettura (e comprensione 🙂 ) dell’articolo per cui potrei aver frainteso il senso di qualche frase, ma se la cosa è come l’ho capita effettivamente è estremamente interessante.
Ciao, Donato.
Condivido pienamente l’impostazione dell’articolo e l’equilibrata prospettiva di Donato e del dr. Meehl. In effetti le critiche a Karl et al., ci possono stare tutte, ma ricordiamo che si tratta per il momento ancora di un singolo lavoro scientifico e non, se non erro, di una nuova acquisizione assodata nell’ambito della comunità scientifica. Per il resto la prospettiva disegnata da Meehl e da Donato, mi sembra abbastanza in linea con quello che è il reale e attuale pensiero della comunità scientifica, depurato dai sempre numerosi fraintendimenti, e cioè di una dinamica delle temperature globali che tende ad un trend di lungo periodo orientato all’aumento e sostenuto anche dall’incremento dei gas serra antropici e relativi feed-back positivi, perturbato nel breve periodo da fasi di relativa stasi dovuta all’interazione di numerosi altri fattori causali, uno dei più importanti potrebbe essere proprio la variabilità interna naturale del sistema accoppiato atmosfera–oceani, e in questo caso particolare, delle temperature superficiali del Pacifico, espressa principalmente dagli indici ENSO, PDO e IPO (vedi anche Roy Spencer per esempio). Altri fattori ipotizzati e ritenuti importanti nel definire questi segmenti dinamici di breve periodo, sarebbero principalmente l’attività vulcanica, gli aerosol troposferici (naturali e antropici), in parte l’attività solare e poi molti altri, anche se alcuni di quest’ultimi, sarebbero di dubbia consistenza concreta. Interessante anche la descrizione dei meccanismi all’origine della variabilità dell’indice climatico citato. Quindi, in sostanza, che si tratti di vero Iato o più semplicemente di un sensibile rallentamento del riscaldamento globale, credo che ciò sia oramai abbastanza assodato dal punto di vista scientifico e, un’analisi statistica, secondo me molto appropriata, del fenomeno, è stata fatta da Franco Zavatti tempo fa proprio qui su climatemonitor. E’ importante però aggiornare costantemente le informazioni, e quindi dire anche che da fine 2013, i dati sembrano segnalare, una nuova ripresa dell’aumento delle temperature globali, in tal caso la durata più probabile dello iato (o simil iato), ad oggi, sarebbe di circa 12 o 13 anni. Finora quindi, salvo un eventuale ulteriore perpetuarsi di questo iato, o il verificarsi inatteso di una osservabile inversione di tendenza delle temperature, non mi sembra di riuscire ancora a cogliere, purtroppo, grandi segnali di cambiamento di prospettiva, se non nel recente e comunque importante maggiore rivalutazione da parte della comunità scientifica delle cause di origine naturale nel contribuire alle dinamiche, soprattutto di breve periodo, dell’attuale riscaldamento globale.
Saluto cordialmente
Fabio, condivido in gran parte le tue considerazioni.
Vorrei, però, spendere qualche parola circa una delle ultime cose che hai scritto. Il dr. Meehl sostiene come del resto fai anche tu, che lo iato è finito nel 2013. Ciò perché a partire dal 2013 la tendenza dell’indice IPO si è invertita: da negativa sembra passare a positiva e, quindi, sembra segnare la fine della pausa. Personalmente ho qualche dubbio perché è vero che il trend fortemente negativo dell’indice IPO si è arrestato, ma la circostanza potrebbe essere anche frutto di un’oscillazione temporanea come ce ne sono state anche in passato. Dal mio punto di vista sarebbe opportuno aspettare ancora un poco prima di decretare la morte della pausa e l’inversione di fase dell’indice IPO.
Ciao, Donato.