Domanda: qual è il gas serra più importante? Facile per gli addetti ai lavori, meno facile per tutti gli altri. E’ il vapore acqueo, che fa circa i 2/3 del lavoro necessario per mantenere la temperatura del pianeta a livelli accettabili. L’altro terzo lo fa la CO2? No, l’anidride carbonica compie circa 1/5 del lavoro, il resto lo fanno il metano, l’ozono etc etc.
Altra domanda: qual è il feedback che si ritiene sia più pericoloso in termini di amplificazione del riscaldamento? Quello del vapore acqueo. Cioè, non essendo sufficiente quello che può fare la CO2 pur aumentando di molto la sua concentrazione in atmosfera, per far aumentare la temperatura del pianeta al ritmo ed ai livelli previsti dalle simulazioni climatiche, occorre aumentare la concentrazione del vapore acqueo attraverso l’evaporazione.
Il passaggio dallo stato liquido allo stato gassoso della sostanza più abbondante sul pianeta, quindi, è assolutamente cruciale ai fini della conoscenza delle dinamiche e del futuro del sistema. Conosciamo sufficientemente bene questo processo? Fino a ieri sembrava di sì, oggi pare sia un po’ meno vero.
A molecular dynamics test of the Hertz–Knudsen equation for evaporating liquids
Si tratta naturalmente di uno studio appena uscito in cui i ricercatori si sono prefissi il compito di andare ad investigare a livello molecolare il processo di evaporazione. Lo hanno fatto, scrivono, con l’aiuto di un potente modello al computer. Il risultato è interessante. La velocità con cui un liquido evapora, che sin qui si pensava fosse esclusivamente dipendente – per una data temperatura – dalla differenza tra la pressione alla superficie e la pressione che dovrebbe esserci se il liquido in evaporazione dovesse essere in equilibrio termodinamico, è invece condizionata anche dall’interazione tra la massa delle particelle evaporate e quella del liquido dal quale provengono. Se la massa del gas aumenta, deve aumentare anche la quantità di moto, processo che deve sottostare al principio della conservazione della quantità di moto. Come per un proiettile sparato, in cui una parte del moto finisce nel rinculo dell’arma. Questo rinculo, cambia la pressione alla superficie. ma, le velocità sono in effetti molto piccole, per cui sono anche condizionabili praticamente da ogni genere di flusso che con esse dovesse interagire. E buonanotte all’equilibrio termodinamico, ovvero alle condizioni ideali perché, per esempio sugli oceani, di flussi d’aria che interagiscono con la superficie ce ne sono, e sono anche molto veloci, tanto da avere certamente effetto sul processo evaporativo.
Conclusione, c’è, chi l’avrebbe mai detto, da rivedere tutta la parte relativa al passaggio di stato da liquido a solido delle simulazioni climatiche. Come non credo sia dato saperlo, almeno non ancora.
PS: come sempre, qui su Science Daily.
[…] Fonte originale: http://www.climatemonitor.it/?p=39192 […]
Caro Guido, in realtà si potrebbe serenamente dire che non c’è da rivedere la parte dei passaggi di stato perché in realtà non sono mai stati presi in considerazione sia nei modelli climatici sia nei GCM da cui sono derivati, semplicemente si danno per fissi certi valori, tipo tenere al 98% di umidità relativa lo strato d’aria a contatto col mare e poi far girare i modelli essenzialmente in funzione della temperatura e dell’umidità relativa della massa d’aria simulata per gli strati superiori.
Queste cose non sono entrate seriamente nei modelli e nemmeno nei report IPCC (4 righe striminzite sull’acqua) semplicemente perché siamo ancora lontani da una comprensione esaustiva del fenomeno, nonostante tutti quelli che non se ne sono mai interessati siano convinti del contrario, modellisti in primis.
Tore che gradito ritorno!
Grazie.
gg
Caro Guido, l’evaporazione (flusso di calore latente LE) è una voce del bilancio energetico di superficie e come tale dipende da flusso di radiazione netta RN, flusso di calore sensibile H e flusso di calore verso l’interno della superficie evaporante G. Gli aspetti aerodinamici (scambi turbolenti) incidono sia su H sia su LE ed in effetti sono un fattore di incertezza considerevole. L’approccio classico al problema è quello di Penman le cui basi furono poste negli anni 50. Penman considera tutti le variabili suddette sia per il modello evaporativo (evaporazione da superfici liquide) sia per quello evapotraspirativo (cessione di vapore all’atmosfera da parte dei vegetali attraverso gli stomi).
Un elemento critico molto importante è dato a mio avviso dal fatto che applicare l’approccio meccanicistico di Penman (che negli anni è stato affinato ad esempio ad opera di Monteith) significa avere a disposizione dati di temperatura, vento, radiazione netta e umidità relativa, che sono oltremodo scadenti per gran parte del pianeta.
In sintesi dunque:
1. abbiamo un modello meccanicistico che in sede operativa ci sentiamo di applicare con relativa tranquillità pur conoscendone i limiti
2. i dati che possiamo dare in pasto al modello fanno paura.
Come conseguenza direi che prima di mettere in discussione la teoria sarebbe a mio avviso necessario proporsi di applicarla con dati di qualità sufficiente, e qui credo che si tratti di una battaglia persa…. nel senso che oggi occorrerebbe lanciare un progetto tipo “ARGO” (ARGO è il progetto globale di monitoraggio degli oceani basato su boe) per l’atmosfera, il che non mi pare all’attenzione di nessuno. D’altronde più i dati sono scadenti e più ci leghiamo mani e piedi ai modelli, con buona pace di Galileo.