Gran parte del carbonio presente nell’ecosistema ha peso atomico 12 (e viene in genere indicato come 12C) mentre solo un numero molto ridotto di atomi presenta peso atomico 13 (13C). Il tasso di isotopo pesante 13C nei diversi comparti dell’ecosistema si presta ad alcune interessanti ricostruzioni in ambito paleoclimatico.
In tal ambito mi pare interessante segnalare ai lettori il lavoro di ricostruzione delle temperature estive (medie di giugno, luglio e agosto) degli ultimi 1000 anni per una località dei Pirenei (il lago Gerber 2400 m. slm.) effettuata da Esper et al. (2015) a partire dai livelli dell’isotopo pesante 13C nelle cerchie di crescita del pino uncinato (Pinus uncinata Mill.), un pino europeo autoctono dell’area in esame.
Per il periodo di riferimento si sono ricavati 1007 campioni provenienti da 31 alberi diversi (meno di tre disponibili prima del 1260, 5 disponibili nel 1300 e 30 nel 2000). Ogni campione prelevato rappresenta un decennio (risoluzione del metodo). Per l’ultimo secolo si sono invece ricavati campioni con risoluzione annuale allo scopo di calibrare il modello per confronto con i dati di temperatura annuale proveniente da stazioni meteorologiche.
Tutti i campioni sono stati analizzati per ricavare il tenore di 13C, il quale è stato poi corretto nel modo che segue:
- I dati di 13C provenienti da alberi di età inferiore ai 200 anni sono stati corretti per tener conto del fatto che tali alberi da un lato sono più vicini al suolo dalla cui respirazione traggono CO2 povera in 13C e dall’altro hanno conduttività stomatiche più elevate e dunque introitano più CO2 (e dunque più 13C).
- I dati di 13C del XX secolo sono stati corretti in relazione al progressivo calo del rapporto 13C/12C che è almeno in parte frutto dell’immissione in atmosfera di CO2 proveniente da combustibili fossili, che come i residui vegetali più recenti sono poveri in C13.
Per capire l’interesse dei paleoclimatologi per l’isotopo pesante 13C occorre considerare che le piante per l’attività fotosintetica gradiscono maggiormente l’isotopo leggero (12C) rispetto a quello pesante 13C. Tuttavia il livello di quest’ultimo nei tessuti vegetali, di norma molto basso, aumenta in presenza di fasi siccitose, allorché le piante trascorrono lunghi periodi a stomi chiusi e quindi sono costrette a “mangiar questa minestra” consumando fino all’ultima molecola la CO2 presente al loro interno e dunque cibandosi anche del meno gradito 13C.
Fasi siccitose, dicevamo. Ma che c’entrano con le temperature? Bè, c’entrano in quanto lo stato idrico della pianta è strettamente legato al bilancio idrico (bilancio fra apporti – precipitazione, risalita di falda – e perdite – evapotraspirazione, infiltrazione, ruscellamento) dello strato di suolo esplorato dalle radici. Una delle variabili chiave del bilancio idrico è l’evapotraspirazione, la quale a sua volta dipende da temperatura, umidità relativa, velocità del vento e radiazione netta. La pianta chiuderà dunque gli stomi arricchendosi di 13C quando le riserve idriche del suolo saranno insufficienti e/o la richiesta evapotraspirativa dell’atmosfera sarà eccessiva. Questo spiega perchè, come sta scritto all’inizio del lavoro di Esper et al., il livello di 13C sia utilizzato a seconda dei casi per stimare temperatura, precipitazione, siccità, umidità relativa e copertura nuvolosa.
Occorre peraltro considerare che la richiesta evapotraspirativa è in genere ben correlata con la temperatura, come dimostrano svariate formule empiriche per la stima dell’evapotraspirazione da coltura di riferimento basate sulla temperatura dell’aria (es: metodi di Thorntwaite, di Baney-Criddle e di Hargraves & Samani).
Una catena causale, quella fra 13C e temperatura, che si rivela dunque di una certa complessità, il che giustifica il fatto che non si sia adottato un un approccio meccanicistico basato sulla risoluzione del bilancio idrico per ricavare la quota di evapotraspirazione in base alla quale ricavare poi la temperatura.
Come quasi sempre accade in paleoclimatologia è stato invece privilegiato l’approccio empirico per cui gli autori hanno proceduto ad una verifica preliminare del livello di correlazione esistente fra 13C e temperatura di cui si rende conto nel diagramma in figura 1. Da tale diagramma emerge infatti che il livello di correlazione fra 13C e temperatura è più elevato per il trimestre estivo (giugno, luglio ed agosto). E’ per tale trimestre dunque che gli autori hanno sviluppato un modello di correlazione fra temperatura del trimestre e livello di 13C, calibrandolo sul periodo 1901-2010.
Il modello ottenuto è stato poi applicato ai secoli passati per ricostruire l’intera serie a decorrere dall’anno 1000 (figura 2), con il risultato da noi sottolineato nel titolo.
Gli autori concludono che:
- Le temperature ottenute sono più elevate di quelle ottenute con ricostruzioni precedentemente effettuate;
- Le temperature del periodo 1350-1700 appaiono più elevate rispetto a quelle 1951-2009 anche se le bande di incertezza (bande in grigio nella figura 2 e che sono funzione del numero di alberi disponibili nei diversi periodi) rendono impossibile affermare che il periodo attuale sia più freddo del periodo 1350-1700.
Nel suo complesso dunque da tale ricostruzione emerge una piccola era glaciale relativamente mite e un colmo del freddo estivo che ricade nel periodo immediatamente precedente al 1900. Quest’ultimo aspetto mi pare abbastanza contro-intuitivo in quanto la mia esperienza mi porterebbe a collocare il colmo del freddo estivo nella prima metà del XIX secolo..
Bbibliografia
- Esper et al., 2015. Long-term summer temperature variations in the Pyrenees from detrended stable carbon isotopes, Geochronometria, 42, 53-59.
- Wang etal 2011 A 200 year temperature record from tree ring d13C at the Qaidam Basin of the Tibetan Plateau after identifying the optimum method to correct for changing atmospheric CO2 and d13C, Journal of Geophysical Research, VOL. 116, G04022, doi:10.1029/2011JG001665, 2011
Lo studio, con tutte le precisazioni ed i caveat di L. Mariani, dimostrerebbe anche un’altra cosa molto sorprendente: il periodo caldo medievale che coincide, grossomodo, con il periodo a cavallo dell’anno mille sembra del tutto assente nella ricostruzione di Esper et al., 2015. Sembrerebbe, invece, di trovarsi di fronte ad un evento freddo per cui invece che MWP si dovrebbe parlare di MCP.
E’ vero che ci troviamo all’estremo inferiore della serie di dati ove sono massime le probabilità di errore e che i dati grezzi sono relativi solo a tre alberi e, tra l’altro, pesantemente trattati per estrarne il segnale, ma la cosa è piuttosto sorprendente per non dire sospetta e, secondo me, getta qualche ombra su tutto lo studio.
Ciao, Donato.
Bè, gli stessi autori hanno dubbi sulla prima parte della serie, come dimostra il modo in cui è tracciata sul diagramma sopra riportato ed il commento stesso ai dati, in cui gli autori si riferiscono agli ultimi 750 anni.
Comunque concordo sul fatto che la serie pone al lettore vari dubbi, il che ci ammaestra ad usare una notevole dose di prudenza quando si usano dati dendrocronologici per ricostruzioni dei climi globali del passato.
Ciao.
Luigi