Sono mesi, ma dovrebbero essere anni, che i flussi migratori dal sud del mondo occupano le prime pagine dei giornali. Qualcosa che ha assunto ormai i tratti di una tragedia, dietro cui, approfittando della legittima ricerca della sopravvivenza di molti, si celano disegni e interessi di pochi, mentre è palese invece l’incapacità della porzione di mondo che sarebbe chiamato a gestire il problema.
Non entrerò oltre in un tema che mi coinvolge da cittadino, ma che mi vede anche assolutamente digiuno di informazioni utili ad una riflessione che vada al di là del personale e quindi di scarsa o nulla utilità. Piuttosto, mi pare calzante ricordare che nell’ambito del dibattito sul clima e nel quadro catastrofico che dovrebbe attenderci nel prossimo futuro, sarebbero previsti flussi migratori al cui confronto quelli attuali finirebbero per sembrare insignificanti. Decine, anzi, centinaia di milioni di persone che, per la verità, stando alle previsioni, dovrebbero aver già cominciato a lasciare i loro paesi per sopraggiunta insostenibilità delle condizioni climatiche.
Così non è, ovviamente, sebbene ci sia stato già qualche tentativo di collegare quanto sta accadendo da qualche anno al fattore climatico, nonostante l’evidenza dei fatti chiarisca che sono ben altre e ben più stringenti le origini di questi avvenimenti.
Infatti, appena qualche giorno fa, mi sono imbattuto in uno studio che, almeno con riferimento ai tempi recenti esclude il fattore ambientale di medio e lungo periodo, cioè quello climatico, dalle cause dei flussi migratori più importanti.
Climatic factors as determinants of International Migration
Dal titolo non si direbbe, perciò, leggiamo l’abstract:
In questo paper, si esaminano i fattori ambientali come potenziali determinanti per la migrazione internazionale. Si distingue tra fattori improvvisi, individuati nei disastri naturali, e più lunghi cambiamenti climatici e variabilità climatica individuate nelle deviazioni e instabilità di temperature e piovosità rispetto e attorno alle loro medie di lungo periodo. Si parte da un semplice modello neo-classico, rinforzato per includere fattori ambientali d’origine nella forma di comodità. Si procede poi a testare il modello utilizzando un dataset di flussi migratori bilaterali per il periodo 1960-2000, la cui dimensione temporale e accoppiata permette di controllare numerosi fattori varianti e invarianti nel tempo. Utilizzando la nostra specificazione principale, avendo tenuto conto di altri ben documentati fattori determinanti delle migrazioni, non si trova alcun impatto diretto di cambiamenti climatici sulle migrazioni internazionali nel medio e lungo periodo per l’intero campione. Questi risultati appaiono robusti soprattutto quando si tengono in considerazioni i migranti che tornano a casa. Condizionando le nostre regressioni alle caratteristiche dei paesi di origine, si trova prova del fatto che una riduzione delle precipitazioni limita le migrazioni dai paesi in via di sviluppo da quelli sostenuti più pesantemente dall’agricoltura e stimola i movimenti da quelli con minori risorse idriche. Si utilizza inoltre il rateo di urbanizzazione come dato vicario per la migrazione interna trovando forte evidenza che i disastri naturali provocano flussi migratori più grandi verso gli ambienti urbani.
Due le cose. O il disastro climatico deve ancora cominciare, o se è già iniziato, qualcuno tra IPCC, ONU, UNHCR e similia ha sbagliato le previsioni.
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