I Tornado, o twister come li definiscono in gergo i pazzi scatenati che piuttosto che cercare ricovero quando ne capita uno li vanno a cercare, sono, sebbene a ridotta scala spazio-temporale, certamente l’evento atmosferico più violento e distruttivo che possa aver luogo.
Alcune zone del mondo, come la pianura centrale del Nord America e quella del Canada, sono per così dire ‘abbonate’ a questo genere di eventi. Altrove, è il caso per esempio del nostro Paese, è difficile ma non così raro che si generino le condizioni ideali nella colonna d’aria per la formazione di un Tornado, mentre sono molto più frequenti e non per questo meno pericolose, le cugine minori di questi temibili fenomeni, le trombe d’aria. Tuttavia, anche solo una rapida occhiata a Wikipedia, è sufficiente a chiarire che anche la nostra Pianura Padana come altre porzioni del territorio della Penisola, possono essere colpite da veri e propri Tornado. L’8 luglio scorso la provincia di Venezia è stata colpita da un Tornado classificabile come EF4 della scala Fujita, normalmente usata per la classificazione di questi eventi.
Va da se che i Paesi dove questi eventi sono più frequenti – nei mesi di aprile e maggio nella Tornado Halley negli USA possono capitarne decine in un solo giorno – abbiano sviluppato una particolare sensibilità e anche delle specifiche procedure di allertamento per la popolazione.
Presso l’università di Toronto, in Canada, c’è chi studia come sviluppare la capacità di estendere questa capacità di allertamento dall’attuale scala temporale del nowcasting, poche ore, addirittura a quella delle stagioni a venire, cercando di individuare e definire le caratteristiche delle condizioni atmosferiche a macroscala che possono essere all’origine dei cosiddetti outbreak di Tornado.
A Bayesian modelling framework for tornado occurrences in North America
L’impresa è ciclopica, per non dire utopica e si basa su di un approccio puramente statistico. In sostanza, al verificarsi di determinate condizioni più o meno favorevoli a larga scala, corrisponderebbe una più o meno elevata probabilità di formazione di Tornado. Queste condizioni, in qualche modo, sarebbero ipotizzabili con largo anticipo temporale, facendo ricorso a modelli in grado di coglierne le dinamiche. Il primo risultato che avrebbero ottenuto con questi studi, pare sia quello di aver ‘deciso’ che in Canada, in estate, quando il rischio Tornado si trasferisce dalla pianura degli USA al settore settentrionale del Nord America, ci sono più Tornado di quanti se ne osservano di solito. In un territorio vasto e con la densità abitativa bassa come il Canada questo deficit osservativo ci sta pure, tuttavia, immaginare che ne possano arrivare più del doppio (da una media di 60 a una di 150 per stagione) malgrado non ne siano mai stati osservati così tanti è molto più statistico che meteorologico e sa molto di correlazione più che di rapporto di causalità.
Negli ultimi tempi, cercando di individuare una strada da battere per migliorare le capacità di prognosi di questi eventi, o, più precisamente, dei temporali di grandi dimensioni da cui possono trarre origine, ho provato ad impiegare delle tecniche di analisi dei parametri normalmente utilizzati per questo genere di previsioni, ovvero la variazione del vento con la quota (wind shear verticale), l’Elicità, più precisamente la Storm Relative Elicity (enjoy the link 🙂 ) fattore in grado di accentuare il carattere rotante della cella temporalesca da cui può derivare l’innesco di un Tornado e, infine, il CAPE, l’energia potenzialmente disponibile per la convezione.
Al di là delle difficoltà incontrate nel definire dei limiti per questi fattori che ben si attaglino al nostro territorio ed alle caratteristiche della convezione temporalesca che lo contraddistingue (nota bene, la fisica è uguale dappertutto ma il tempo atmosferico non lo sa), l’elemento di maggiore difficoltà è quello di poter disporre di dati reali sufficientemente densi ed attendibili, cosa che la rete delle osservazioni in quota non garantisce e i sistemi di osservazione radar e satellitari ancora non sono in grado di soddisfare. Il surrogato è quindi quello dei modelli ad area limitata, che però, parola di utilizzatore quotidiano, è ben difficile che riescano a simulare con efficacia queste dinamiche nonostante la ridotta scala spaziale a cui lavorano.
Certo, all’arrivo di un fronte freddo su aria molto calda e umida è facile che corrispondano dei temporali, lo trovate su tutti i libri di meteorologia, ma da questo al wind shear, al calore latente, all’elicità, alle supercelle e poi, forse, ai Tornado, ce ne corre. E, attenzione, tutto questo alla scala temporale di previsione inferiore alle 24 ore. Pensare di traslare il tutto avanti di settimane o addirittura mesi, scontrandosi per di più con l’attendibilità spesso risibile dei modelli di lungo periodo è affascinante, certamente, ma molto, molto, improbabile.
Del resto però, se nessuno ci provasse mai, difficilmente ci potrebbe essere prima o poi qualcuno che ci riesce!
PS: Se vi interessa, qui su Science Daily, c’è il consueto commento al paper.
Sono d’accordo con Guidi: pura utopia, per non dire fantascienza. Ecco, questi a mio avviso sono classici esempi di cattiva scienza o scienza inutile. E’ come dire cercare di prevedere (ed investire risorse economiche) se e con quale sintomatologia mi beccherò l’influenza il prossimo anno. Mi sembra che le turbolenze atmosferiche siano quanto di più caotico e imprevedibile possa esistere, tant’è vero che siamo in già difficoltà ad intercettare i fenomeni soltanto pochi minuti prima del loro verificarsi. Il concetto di statistica applicato a questo ristretto campo della meteorologia mi sembra un pò fuori luogo. Meglio concentrare gli sforzi sul clima.
Saluto cordialmente